Arrivano buone notizie per quanto riguarda la possibilità di rallentare il decorso dell’Alzheimer. Uno studio, condotto su un nuovo farmaco sperimentale, mostra l’efficacia nel ritardare l’aggravamento dei sintomi della patologia che fa parte della famiglia delle demenze. Ed è proprio questa la principale novità perché i medicinali a disposizione finora agiscono solo sui sintomi dell’Alzheimer.
Il nuovo anticorpo monoclonale
Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista dell’American Medical Association, è stato condotto su 1.700 pazienti con Alzheimer in fase iniziale, che sono stati divisi in due gruppi: ad uno è stato somministrato il donanemab, un farmaco sperimentale che consiste in un anticorpo monoclonale, mentre al secondo gruppo è stato offerto un placebo. Al termine della sperimentazione, denominata ‘Trailblazer-Alz 2’ e durata un anno e mezzo, si è visto come nei soggetti trattati con il nuovo ritrovato la malattia era progredita più lentamente, con risultati migliori nei pazienti con forme precoci (35%) rispetto a campione generale (in media con un rallentamento del 22,3%). Tradotto in termini temporali significa che l’Alzheimer si è presentato con un “ritardo” di 4,36 mesi.
A questo risultato si aggiunge il fatto che per circa il 50% delle persone che hanno ricevuto l’anticorpo monoclonale la patologia non è peggiorata a livello clinico per almeno un anno, mentre in chi aveva ricevuto il placebo il dato è sceso al 29%. «Si tratta di un farmaco che ha mostrato una sua efficacia soprattutto nei pazienti nella fase iniziale della malattia: non dobbiamo dimenticare, infatti, che in questa patologia è cruciale la tempestività di intervento», ha commentato Gennaro Barbato, Neurologo Cure Primarie della ASL NAPOLI2 Nord, specializzato in malattie neurodegenerative e autore di Almanacco del paziente parkinsoniano.
Un farmaco contro l’Alzheimer è appena stato approvato
I risultati dello studio arrivano a pochi giorni dalla piena approvazione di un altro farmaco contro l’Alzheimer con azione analoga, da parte dell’Fda, la Food and Drug Administration, ossia l’ente regolatore dei farmaci negli Stati Uniti. Si tratta di lecanemab che, come il donanemab, agisce con l’obiettivo di rimuovere la beta-amiloide, responsabile della formazione delle placche che causano la patologia. «Questi farmaci rappresentano l’inaugurazione di una nuova era della terapia della malattia di Alzheimer. Restano però da sciogliere alcuni nodi, per esempio l’entità dei benefici clinici in relazione ai rischi di questi trattamenti. Una diagnosi accurata e tempestiva, una discussione ponderata su rischi e benefici individualizzati e un’enfasi sulla gestione delle cure croniche non sono mai stati così importanti», si legge nell’editoriale della rivista che ha pubblicato lo studio.
Come agiscono i nuovi farmaci per l’Alzheimer
La sperimentazione del nuovo farmaco e l’approvazione di lecanemab sono state accolte con entusiasmo dagli addetti ai lavori. Nonostante l’aumento delle diagnosi, infatti, non esiste ancora una terapia specifica contro l’Alzheimer, che solo negli Stati Uniti colpisce 6,5 milioni di persone; in Europa gli ultimi dati di Eurostat la maggior parte dei pazienti con demenza, tra cui l’Alzheimer, è costituita da donne: si stima siano 6.650.228 rispetto ai 3.130.449 uomini.
«L’Alzheimer è una malattia invalidante per chi ne è affetto e ha effetti devastanti per le persone che stanno vicino», ha dichiarato Illy Dunn della Food and Drug Administration, nello spiegare il motivo dell’approvazione di lecanemab. «Questa opzione di trattamento è l’ultima a prendere di mira il processo sottostante dell’Alzheimer, invece che curare i sintomi», ha aggiunto.
Il nuovo farmaco rallenta il decadimento cognitivo
«In fase di studio 2, in effetti, si erano già vista la capacità di questo farmaco nel rimuovere l’amiloide, ossia la proteina responsabile dei sintomi dell’Alzheimer a livello cerebrale. In fase 3, invece, è emersa anche l’efficacia da un punto di vista cognitivo e funzionale nei pazienti affetto dal morbo: analizzando un grande numero di pazienti è stato dimostrato in modo statisticamente significativo il beneficio nel rallentamento del decadimento cognitivo ed è la prima volta che accade», ha spiegato Elio Scarpini, Professore di Neurologia, già Direttore del Centro Alzheimer e Sclerosi Multipla “Dino Ferrari” dell’Università di Milano – IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.
Quando arriverà in Europa il farmaco per l’Alzheimer?
La FdA statunitense, dunque, ha dato il proprio via libera. «La dimostrazione dell’importanza dell’approvazione negli Usa sta nel fatto che sia in Giappone che in Europa la pratica sarà esaminata dagli enti regolatori come l’Ema in tempi ristretti. Ciò ci rende ottimisti», ha spiegato ancora Scarpini, confermando che molti familiari di pazienti hanno iniziato a chiedere informazioni sul nuovo farmaco: «Gli effetti collaterali sono sostanzialmente di tipo radiologico, come micro-emorragie, che sembrano essere fenomeni reversibili. Sono stati segnalati anche pochi casi di sintomi come lieve stato di confusione, cefalea, nausea, comunque di tipo transitorio».
Chi potrà assumere il farmaco per l’Alzheimer
Se per l’ultima molecola testa manca ancora l’approvazione, per la precedente che ha ottenuto il via libera definitivo a maggio il costo è molto elevato: 26.500 dollari all’anno per ciascun paziente. In Europa, quando arriverà, occorrerà capire il tipo di approvazione e, in Italia, la copertura da parte del Sistema sanitario nazionale. Il costo può rappresentare un problema? Insomma, potranno accedere solo in pochi? E come si sceglieranno i pazienti adatti? «In teoria è vero che potrebbe essere limitato a una certa platea di potenziali pazienti, ma in ragione soprattutto delle indicazioni terapeutiche. Significa che non sarà un farmaco per tutti i pazienti con demenza perché, sulla base degli studi, emerge che sarà adatto a chi ha un decadimento cognitivo lieve e in coloro che, sottoposti ad esami come la Pet, avranno un accumulo di amiloide nel cervello. C’è una controindicazione, che riguarda i soggetti che assumono anticoagulanti, perché per loro potrebbe esserci un rischio di micro-emorragie più importanti – spiega l’esperto – Il numero di pazienti effettivamente suscettibili alla terapia, dunque, non sarà enorme».
Per avere il farmaco non conta l’età anagrafica
Questo non significa, però, che sarà limitato ai più giovani: «Non si tratta di età anagrafica, ma di condizioni cliniche, perché ricordiamo che l’Alzheimer può comparire anche a 40 anni. Quanto al costo, è vero che è molto alto, ma anche per la sclerosi multipla esistono terapie costose, ma in grado di migliorare la qualità di vita ai pazienti. Insomma, ne varrà la pena per tutti i pazienti che abbiano i requisiti di inclusione nelle cure», spiega ancora Scarpini.