Un nuovo studio, condotto dalla Stanford University in California e della Rockfeller University a New York, conferma il nesso tra l’artrite reumatoide e la salute della bocca. In particolare, gli esperti statunitensi hanno studiato come alcune malattie dentali come la parodontite possono incidere sulla patologia autoimmune che colpisce le articolazioni. La “colpa” sarebbe legata alla presenza di alcuni batteri orali che finiscono poi nel ciclo del sangue. Questi, una volta in circolazione, possono aumentare la risposta immunitaria che è alla base dell’artrite.

Parodontite e artrite: quale nesso

Da tempo molti studi indagano il nesso tra la presenza di alcuni batteri orali e l’insorgenza della malattia. L’ultimo in ordine di tempo, pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine, è stato condotto negli Usa. I ricercatori sono giunti alla conclusione che la parodontite, cioè l’infiammazione delle gengive causata da alcuni batteri, può peggiorare l’artrite reumatoide. Il team di Camille Brewer di Stanford ha dimostrato che questi batteri, una volta raggiunto il loro picco massimo di concentrazione nel sangue, sarebbero in grado di attivare alcune cellule immunitarie (i “monociti”), responsabili della risposta degli anticorpi contro le articolazioni che si verifica nell’artrite. “È la conferma che per noi parodontologi sarà sempre una buona pratica clinica quella di investigare lo stato di salute generale del paziente. Siccome il dentista vede una certa quantità di soggetti è bene che informi il paziente anche dei potenziali rischi di una parodontite non trattata e dei benefici per la salute in generale nel trattarla”, ha spiegato all’ANSA Stefano Corbella, esperto della Società italiana di Parodontologia e implantologia SidP.

Lo studio italiano

A indagare sul ruolo di un batterio della bocca tra le cause dell’artrite reumatoide erano stati anche alcuni ricercatori italiani della Fondazione Policlinico Gemelli e dell’Università Cattolica. Anche in questo caso la scoperta contribuisce ad aiutare nella diagnosi, oltre che nella cura, di una malattia che può essere molto dolorosa, invalidante e che colpisce soprattutto le donne, con un rapporto di 7 a 1 rispetto agli uomini.

La presenza del batterio scatena la reazione autoimmune

Lo studio, pubblicato nel 2021 su Frontiers in Medicine, mostrava come a causare l’artrite reumatoide concorra il Glaesserella parasuis, un batterio presente in bocca e che è stato riscontrato nel 57,4% delle gengive dei pazienti con la malattia. Il batterio è responsabile di infiammazioni gengivali e parodontiti ma soprattutto porta il sistema immunitario a scatenare un attacco autoimmune.

L’artrite è una malattia con tante cause

«Il meccanismo che porta dall’infezione batterica alla malattia è studiato da molti anni e la scoperta conferma l’importanza di questo filone di ricerca, che ancora prosegue. Sappiamo, infatti, che l’artrite reumatoide è una malattia multifattoriale: contribuiscono a scatenarla sia una predisposizione genetica, sia fattori ambientali, come il fumo di sigaretta, l’inquinamento ambientale e alcuni batteri, come quello appena scoperto. Averlo individuato nei pazienti con artrite reumatoide darà sviluppi molto importanti» spiegava Giovanni Adami, medico reumatologo presso l’ospedale di Verona, ricercatore presso l’Università della città veneta e coordinatore di un altro studio su questa malattia.

Gli autoanticorpi e il danno alle articolazioni

Il batterio Glaesserella parasuis è in grado di produrre alcune alterazioni nelle proteine del collagene che, non essendo riconosciute dall’organismo, scatenano una risposta da parte del sistema immunitario con anticorpi particolari: «Sono molto specifici della malattia e associati alle forme più aggressive dell’artrite reumatoide. Sono detti autoanticorpi o anti-CCP, cioè anticorpi che combattono contro l’organismo stesso che li produce e le sue articolazioni» spiega il dottor Adami.

L’artrite reumatoide è infatti una malattia autoimmune che colpisce le articolazioni, soprattutto delle mani e dei piedi. L’infiammazione causa gonfiare e dolori di per sé invalidanti. Ma il vero danno è all’interno: i linfociti T prodotti dal sistema immunitario aggrediscono il collagene di tipo 2 delle articolazioni che vengono progressivamente distrutte.

Come cambieranno le diagnosi

Le scoperte possono avere effetti importanti nella diagnosi della malattia: «Da 20 anni uno dei principali indicatori dell’artrite reumatoide è la presenza degli anticorpi anti-CCP, insieme al dolore. Ma se si rileva anche il batterio vuol dire che l’artrite si svilupperà in forma aggressiva. Velocizzare la diagnosi e la prognosi permetterà quindi di intervenire subito con un trattamento più deciso» spiegava l’esperto.

Attenzione alle infiammazioni delle gengive

Gli studi sono «importante anche per la prevenzione: quando la malattia non è ancora conclamata e il paziente non lamenta dolore, se si registra un’alta presenza di anti-CCP correlata a parodontiti e infiammazioni delle gengive, si può intervenire per limitare i fattori di rischio che potrebbero far sviluppare l’artrite. In concreto, è essenziale evitare fumo, inquinamento, migliorare l’igiene orale e curare le infezioni batteriche in modo tempestivo».

Come si tratta oggi l’artrite

L’artrite non ha una cura risolutiva ma la scoperta può aiutare a rendere i trattamenti con i farmaci più mirati. «Nel momento in cui la parodontite si manifesta si potrà scegliere una cura adatta, puntando sui farmaci biologici. Si tratta per lo più di anticorpi monoclonali, già impiegati oggi nelle forme più gravi di malattia» spiega Adami. Nelle manifestazioni meno gravi, invece, si utilizzano per lo più gli immunosoppressori «che però hanno lo svantaggio di agire sul sistema immunitario in modo indiscriminato».

Oltre a nuovi farmaci biotecnologici sotto forma di pillole si ipotizza anche la possibilità di realizzare un vaccino specifico: «Il problema dell’artrite è che le cause sono diverse: non è come il Covid, che è un’infezione provocata solo da un virus. Concorrono i geni e non conosciamo ancora tutti quelli responsabili. Però, ritengo possibile e plausibile che si possa arrivare in futuro anche a un vaccino» concludeva Adami.