Psicosi da Jolie, da quando l’attrice ha confessato in un’intervista di essersi sottoposta ad una doppia mastectomia per ridurre le probabilità del tumore al seno, le richieste per eseguire lo screening sono aumentate dell’80%.
All’Unità di Diagnosi e Terapia in Senologia del Sant’Andrea a Roma le prenotazioni non si contano più: le donne chiamano in continuazione per sapere se è possibile eseguire il test o avere una consulenza genetica, utile quest’ultima a capire se si è predisposti a tale malattia.
«L’effetto Jolie è stato uno tsunami, anche perché trova una popolazione impaurita e poco informata in fatto di prevenzione» spiega Adriana Bonifacino, Responsabile UDTS – Unità Diagnostica e Terapia Senologica presso il Sant’Andrea, «Il messaggio che è passato è “Ho paura del cancro e mi tolgo le mammelle”. Qui parliamo invece di un rischio concreto di una popolazione che si è sottoposta a un test avendo le caratteristiche familiari per sottoporsi ad una consulenza genetica». Risulta infatti ancora poco chiaro alle donne quali siano gli elementi che dovrebbero indurre a fare uno screening prematuramente «Secondo i protocolli internazionali adottati nel nostro Paese, per sottoporre al test le persone sane è necessario che nel familiare affetto dalla malattia sia dimostrata la presenza della mutazione» questo per capire se la parente sana possa aver ereditato il gene.
Secondo la Bonifacino «E’ inutile fare il test a tutta la popolazione. Innanzitutto solo sapendo qual è il gene malato so cosa cercare nel soggetto sano».
La mastectomia deve essere vista pertanto come ultima spiaggia e solo una volta che si è certi di avere la mutazione genetica in questione. Chi presenta questa caratteristica dovrebbe infatti valutare altre alternative meno invasive e drastiche. Prima tra tutte quella di entrare a far parte da subito dei protocolli di prevenzione, il che significa consultarsi con il medico per iniziare un percorso che preveda una risonanza magnetica all’anno a partire dal venticinquesimo anno di età, un’ecografia ogni 6 mesi ed una mammografia annuale già a partire dai 30 anni. La seconda alternativa potrebbe essere quella di prendere in considerazione una mammectomia, cioè l’asportazione della sola ghiandola mammaria e la ricostruzione del seno all’interno del medesimo intervento. Infine la terza prevede una prevenzione di tipo farmacologico, questa soluzione si trova però ancora in fase sperimentale.
Tra l’altro bisogna sottolineare che una mutilazione come quella effettuata dalla Jolie non annulla del tutto il rischio di ammalarsi di cancro e a spiegarlo è il genetista Bruno Dallapiccola, il quale afferma che l’asportazione del seno «non protegge del tutto: anche con la mastectomia, infatti, la donna portatrice di tale mutazione genetica avrà comunque il 5% di possibilità di sviluppare recidive, o potrà avere un tumore all’ovaio al quale tale mutazione rende suscettibili».
Sempre il dottor Dallapiccola chiarisce che «le donne che hanno a che fare con la “spada di Damocle” del gene difettoso che predispone al cancro al seno ereditario sono, all’incirca, una su 800» pertanto la sua conclusione è «che è bene lasciarsi consigliare dai medici e non, invece, farsi trasportare solo dal clamore legato alla vicenda di un personaggio noto».