Le diagnosi di celiachia sono in aumento. A indicarlo sono i dati contenuti nella Relazione annuale al Parlamento, realizzata dal Ministero della Salute. Nel report si parla di 10.210 nuove diagnosi di celiachia (riferite al 2022), in aumento rispetto ai due anni precedenti, quando i pazienti con celiachia erano rispettivamente 7.729 e 8.582. Il trend, quindi, è in crescita, ma soprattutto colpisce che la maggior diffusione della patologia sia tra le donne, con il 70% di casi contro il 30% degli uomini. Perché?

Diagnosi di celiachia in aumento

La celiachia, patologia autoimmune che colpisce i soggetti intolleranti al glutine, ancora oggi colpisce ufficialmente l’1% della popolazione italiana. Nel complesso le persone con diagnosi di celiachia sono 251.939, secondo il report della Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione. Circa 176mila sono donne, mentre i restanti 78.885 sono uomini, con una proporzione in media 1:2 e, in alcuni casi, di 1:3. A seconda delle regioni, infatti, la situazione può variare anche di molto.

Ancora troppi celiaci non sanno di esserlo

«Ancora una volta questo documento è importantissimo per il monitoraggio della malattia celiaca nel nostro Paese, che è l’unico ad avere un rapporto annuale, introdotto a partire dal 2005, con un numero di diagnosi non stimate, ma certe e raccolte sul territorio», premette Caterina Pilo, Direttore generale di AIC-Associazione Italiana Celiachia. «Nonostante un po’ di ritardo rispetto all’anno corrente, il report ci mostra la fotografia del Paese. Intanto ci conferma un aumento delle diagnosi, pur rimanendo una malattia sottostimata, perché oltre la metà dei celiaci che sappiamo esserci nella popolazione generale non ha ancora una diagnosi. Questo li rende esposti a gravi rischi per la salute perché non accedono all’unica cura disponibile, cioè la dieta senza glutine», aggiunge Pilo.

Perché ci sono più donne con la celiachia?

Quanto all’aumento delle diagnosi, Pilo spiega che «non siamo ancora ai dati di tre anni fa, cioè all’inizio della pandemia quando si è registrata una flessione», dovuta anche alla riduzione dei controlli e degli screening a causa dell’emergenza Covid, «ma c’è una costante risalita. Un’altra conferma è il dato relativo alle donne celiache, che sono il doppio degli uomini. Secondo l’ultimo report sono anche di più: in alcune regioni sono anche il triplo. In particolare questo avviene in tre regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise e Sardegna». Ma perché? «La ragione scientifica della prevalenza femminile è ancora sconosciuta, ma certamente uno dei motivi è che le donne sono più attente alla salute, proprie e dei familiari», ammette il direttore generale dell’AIC.

Chi sono i celiaci: l’identikit

Dei 251.939 soggetti celiaci, la maggior parte ha tra i 18 e i 59 anni: rappresenta, infatti, il 67% delle diagnosi per un totale di 168.776 persone. A seguire si trovano gli over 60 (12%, pari a poco meno di 30mila persone) e coloro che hanno tra i 14 e i 17 anni (l’8% pari a 20.380 giovani); si trova poi un’altra fascia di età giovane, cioè i pre-adolescenti tra i 10 e i 13 anni, che rappresentano il 7% /16.463). Concludono il quadro i bambini tra 6 e 9 anni (4%, per 11.066 soggetti) e tra 6 mesi e 5 anni (2%, pari a 5.401 bambini).

Migliora la conoscenza della malattia

«Dal 2007 in poi, da quando abbiamo le rilevazioni annuali, le diagnosi crescono: sicuramente crescono la capacità e le modalità di diagnosi, ma aumenta anche la sensibilizzazione della popolazione che riesce a mettere in relazione i sintomi generali più noti con la malattia, quindi si rivolge al medico per avere conferme – spiega Pilo – Quello che invece va approfondito è la conoscenza della celiachia che si può presentare con caratteristiche non classiche».

La “nuova celiachia”: i sintomi non tradizionali

Può capitare (e accade sempre più spesso) che la celiachia si presenti «dietro a sintomi non correlati all’organo bersaglio che è l’intestino, ma che riguardano altri organi», sottolinea Pilo. Può essere il caso della cosiddetta “celiachia della pelle” o dermatologica, ossia il morbo di Duhring, che si presenta con bolle molto pruriginose sulla pelle. «Ma possono esserci alcune spie come i problemi legati alla infertilità, all’abortività spontanea, oppure problematiche del cavo orale come le afte ricorrenti o la carenza di smalto dei denti o ancora l’alopecia. In questi casi è molto difficile che un medico che non sia uno specialista gastroenterologo (anche pediatra) o celiacologo, quindi con conoscenza specifica della malattia, possa attribuirli a questa patologia».

I sintomi sospetti in donne e bambini

Esiste anche una gamma di “spie” alle quali le donne dovrebbero prestare particolare attenzione: «Mi riferisco a sintomi come l’anemia, l’osteoporosi precoce, ecc. – spiega Pilo – Migliorare la capacità di diagnosi in questi casi, dunque, è fondamentale. In Italia oggi e per la prima volta si sta sperimentando lo screening pediatrico. Lo scorso anno è stata approvata una legge (130 del 15 settembre 2023, NdR) che ha introdotto un finanziamento pubblico per lo screening pediatrico nei confronti del diabete di tipo I e appunto celiachia. In queste ore si sta dando il via a un progetto pilota che interessa quattro regioni che per prime applicheranno questi esami per poi estenderli a tutto il territorio nazionale».

Le differenze tra le regioni

Ancora oggi, infatti, esistono differenze territoriali, ad esempio con più diagnosi in Toscana, Valle d’Aosta e provincia autonoma di Trento. «A volte è dovuto a una tradizione medico-scientifica sulla celiachia, con centri di ricerca specializzati. L’obiettivo è uniformare le conoscenze e la stessa Associazione organizza un convegno scientifico annuale per i medici di tutte le regioni, oltre a incontri tra i comitati regionali e quello nazionale – spiega Pilo – Quanto ai contributi economici per l’acquisti dei prodotti senza glutine, dal 2018 gli importi sono stati uniformati e sono diversi solo per fasce di età e sesso. Ciò che è diverso è il costo medio per celiaco, sotto i 1.000 euro, cioè inferiore nei pazienti con diagnosi rispetto a chi non sa ancora di essere celiaco, non riconosce i sintomi e magari esegue esami inutili e gravosi in termini economici».