Chris Hemsworth sa che un giorno potrebbe dover fare i conti con il morbo di Alzheimer, ma convive con questa predisposizione, nonostante i fan lo ritengano già “ammalato”. Non solo: non ha alcuna intenzione di ritirarsi dalle scene e nelle scorse ore è tornato a parlare della sua condizione, spiegando: «Questa non è una condanna a morte, tutti mi vedevano già come spacciato. Mi sono sentito vulnerabile per avere condiviso una cosa del genere».

Nessuna “condanna a morte”

Il protagonista di Thor, dunque, non ci sta a chiudersi in casa, porre fine alla sua carriera d’attore e, men che meno, piangersi addosso. In un’intervista a Vanity Fair, l’attore 41enne ha spiegato: «Tutto quello che ho sentito su probabili ritiri o cose simili mi ha fatto davvero inc***». Il riferimento è alle precedenti rivelazioni, quando ha fatto sapere di avere una predisposizione genetica all’Alzheimer. Lo ha scoperto mentre, nel 2022, girava la serie televisiva “Limitless“.

Una vita più consapevole

In un’altra intervista l’attore ha anche spiegato come vive oggi: «Lo scenario immaginato è sempre peggiore della realtà, ma devo dire che tutto questo mi ha fatto molto pensare alle mie azioni e al mio futuro. Prima, avevo una mentalità tale che mi portava a pensare che se non uscivo dalla palestra troppo sudato, non avevo lavorato abbastanza. Mentre ora, sto cercando di ascoltare di più il mio corpo, ho pazienza e cerco di non sforzarmi o fare qualcosa che mi pesa. Inoltre, ero molto stressato perché passavo da un lavoro all’altro troppo velocemente, senza godermi nulla. Davo sempre un extra del mio tempo e, a volte, tutto finiva per diventare eccessivo. La mia salute e la mia famiglia vengono prima di tutto». Ma come si fa a scoprire la predisposizione?

Chris Hemsworth e la predisposizione all’Alzheimer

Chris Hemsworth ha iniziato a dover fare i conti con il maggior rischio di ammalarsi di morbo di Alzheimer due anni fa, quando si è sottoposto ad alcuni esami genetici. Ne è emerso che, a causa della presenza di due copie del gene Apoe4, l’attore un giorno poter sviluppare la malattia. Lui stesso ne aveva parlato, ma l’effetto è stato negativo perché molti supporter lo ritengono già “spacciato”: «La cosa mi ha davvero fatto incazzare perché, nonostante avessi chiarito che non si trattava di una condanna a morte, si è diffusa la notizia che avessi la demenza e stessi riconsiderando la vita, pensando al pensionamento e così via», ha reagito l’interprete di Thor.

La differenza tra malattia e predisposizione

La questione, infatti, sta nella differenza tra l’avere una predisposizione a una patologia e l’essere ammalati: «Hemsworth, stando a quanto dichiarato, rientra in quella piccola quota (ma non minuscola) di persone che possono avere una qualche forma di cosiddetta “malattia biologica”, ma non la “sindrome clinica”: significa che hanno un maggior rischio di ammalarsi, ma solo il tempo dirà se andranno incontro alla malattia clinica vera e propria, quella che presenta dei sintomi», chiarisce Mauro Colombo, ricercatore in Gerontologia clinica presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso (MI), segretario e consigliere per la sezione lombarda della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria.

Come si scopre il rischio di ammalarsi

Nel caso di Hemsworth, la scoperta è arrivata in seguito ad alcuni esami, in particolare genetici. «Oggi c’è molta attenzione a cercare di individuare quali sono possono essere i predittori del morbo di Alzheimer, tramite esami clinici e anche con il ricorso all’intelligenza artificiale – spiega Colombo – Ci sono esami genetici, sul sangue e sul liquido cerebrospinale. Questi ultimi sono particolarmente diffusi nel mondo anglosassone. A questo tipo di indagini si possono affiancare anche le risonanze al cervello». La maggior parte dei casi di morbo di Alzheimer è associata alla presenza di una mutazione del gene Apolipoproteina E (ApoE), che influenza alcune attività del cervello come apprendimento e memoria.

Il rischio di Alzheimer nella vita quotidiana

La probabilità di andare incontro alla malattia, però, non significa che questa si svilupperà necessariamente. «Rappresenta, piuttosto, un fattore, che si associa ad altri di tipo ambientale, legati quindi allo stile di vita. In ogni caso va usata molta cautela, altrimenti si rischia di far vivere una persona come se fosse già ammalato clinicamente», sottolinea Colombo. «Al momento il limite degli esami per scoprire una eventuale predisposizione all’Alzheimer è dato dal fatto che è molto difficile associarne il risultato al reale rischio di ammalarsi, sui singoli. C’è ancora molto da fare: per essere chiari, se una persona ha la glicemia a 300 è molto verosimile che abbia il diabete. Questo automatismo, invece, non esiste con la predisposizione all’Alzheimer», spiega il gerontologo della Fondazione Golgi Cenci.

Cosa si può fare per “prevenire”

Esistono, poi, una serie di fattori ambientali che possono giocare un ruolo di primo piano. Sono esattamente 12: ipertensione, obesità, problemi di udito, fumo, depressione, scarsa attività fisica, diabete, poca socializzazione, basso livello di istruzione, consumo eccessivo di alcol, traumi cerebrali e inquinamento atmosferico. «Sono fattori di rischio noti ma, se ribaltati, possono diventare fattori di protezione. Ad esempio, chi ha problemi di udito se inizia a portare una protesi acustica può proteggersi dal rischio di Alzheimer – sottolinea Colombo – Anche il National Institute of Aging sul proprio sito fornisce alcuni suggerimenti. Certo, non sono la panacea, ma certi comportamenti possono fungere da freno all’insorgenza della patologia, compresi la giusta quantità di sonno e il rispetto dei ritmi sonno-veglia, la cui importanza è stata dimostrata da diversi studi».