Il colesterolo alto è molto più diffuso di quanto non si possa pensare, soprattutto in Italia e soprattutto tra le donne. A dirlo sono gli ultimi dati dell’Italian Health Examination Survey, che indicano come l’ipercolesterolemia sia presente in oltre il 25% della popolazione. Significa che più di 1 italiano su 4 ha valori superiori alla norma. Ma in particolare colpisce che le donne siano maggiormente interessate dal problema.
Colesterolo alto nelle donne: ma quante lo sanno?
Quasi 1 italiano su 2, dunque, non ritiene il colesterolo LDL dannoso per la salute, mentre per 1 italiano su 3 il rischio di mortalità legato al colesterolo alto dovrebbe preoccupare solo chi ha problemi cardiaci pregressi. Il dato è confermato dall’Osservatorio Passi, che mostra come il 18,3% di italiani e italiane non sia consapevole dei propri valori di colesterolo e dunque neppure dei rischi connessi, specie riguardo alla maggior probabilità di andare incontro a malattie cardiache come l’infarto. Come detto, però, il fenomeno è maggiore tra le donne.
Le malattie cardiache colpiscono maggiormente le donne
«Purtroppo oggi le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte tra le donne, e nella popolazione femminile la mortalità per queste patologie è persino maggiore rispetto agli uomini. Ma di questo le donne spesso sono poco a conoscenza o ignorano persino i dati», spiega Ciro Indolfi, Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia (FIC). Per questo, insieme alla Società ilaliana di Cardiologia abbiamo avviato campagne di sensibilizzazione per aumentare l’importanza della conoscenza e della prevenzione, che riguarda i livelli di colesterolo».
Diagnosi più difficili e interventi meno efficaci per le donne
I motivi sono almeno tre: «Va premesso che le donne sono più protette fino a una certa età, mentre con l’arrivo della menopausa perdono la protezione naturale, in particolare nei confronti delle malattie ischemiche e del cuore in genere – spiega Indolfi – In più va ricordato che gli studi sui farmaci sono condotti soprattutto su una popolazione maschile». «Infine, non dimentichiamo che anche interventi come bypass, stent o angioplastica hanno risultati meno efficaci nelle donne rispetto a quelli sugli uomini, per diversi motivi anatomici e tecnici», aggiunge Indolfi.
I sintomi dell’infarto sono differenti
Un’ulteriore differenza sta nella diagnosi e, in particolare, nei sintomi con cui si presentano le malattie cardiovascolari nelle donne: «Negli uomini il sintomo principe dell’infarto è il cosiddetto dolore toracico o retrosternale, di tipo costrittivo, cioè la sensazione di avere un peso al centro del petto, che può irradiarsi al braccio sinistro o anche al dorso. Spesso è accompagnato da sudorazione o difficoltà nella respirazione. Nella donna, invece, può mancare e essere sostituito da difficoltà nella respirazione (la classica dispnea) o nausea e vomito. Per questo l’infarto può essere confuso con altre patologie, portando a ritardo nella diagnosi e quindi a maggiori rischi di mortalità». Come se non bastasse «la capacità di sopportazione della donna, in termini di dolore, e la reticenza a chiamare il 118. può ritardare gli interventi».
Le conseguenze del colesterolo alto
Per questo la prevenzione rappresenta un’arma importante per ridurre la mortalità, anche femminile, per le malattie cardiovascolari: «Dobbiamo ricordare che il colesterolo alto non è solo un fattore rischio nel senso che aumenta la probabilità di andare incontro a un evento cardiovascolare, ma ne è anche una causa diretta. La creazione di placche, che poi possono dar luogo a infarto ostruendo le coronarie, è strettamente legata alla presenza di colesterolo», sottolinea il cardiologo.
Chi sono i più reticenti alle cure
La consapevolezza dei rischi pare sia ancora bassa anche nella cosiddetta “prevenzione secondaria”, cioè in chi ha già avuto un evento cardiovascolare come un infarto: più dell’80% dei pazienti, infatti, non raggiunge il target di colesterolo LDL previsto dalle più recenti linee guida in materia, cioè inferiore a 55mg/dL. Solo il 44%, inoltre, segue correttamente le cure e questo è ancora più evidente con l’aumentare dell’età: insomma, meno si è giovani, meno si ha voglia di seguire le indicazioni del medico.
Colesterolo alto: poca prevenzione tra le donne
«Purtroppo il colesterolo è un killer silenzioso: anche quando raggiunge valori di 180/190 o 200 milligrammi per decilitro, non dà sintomi, quindi il paziente dà più peso ai possibili eventuali effetti collaterali di un farmaco che non ai suoi benefici sul lungo periodo. Maggiore consapevolezza, invece, c’è tra chi ha già avuto per esempio un infarto e che, magari, è stato colpito da ciò che gli è accaduto e dunque aderisce maggiormente alla terapia. Tra le donne e tra coloro che non hanno avuto nulla, invece, è difficile far passare il concetto di prevenzione».
Non ci sono valori uguali del colesterolo per tutti
Un aspetto importante, però, è legato al fatto che non esistono valori uguali per tutti. Per questo gli esperti esortano a un cambio di prospettiva: «Questo rappresenta un po’ una novità. Oggi sappiamo quali sono i valori preoccupanti dell’LDL nella popolazione generale: dovrebbe essere inferiore a 116 milligrammi per decilitro. Ma un soggetto con un rischio alto, per esempio un diabetico con altri fattori di rischio come un infarto precedente, un intervento di bypass o angioplastica, dovrebbero averlo al di sotto di 55 ml/dl», osserva Indolfi.
Le nuove terapie per il colesterolo alto
Un aiuto, però, può arrivare dalle terapie più avanzate e innovative. «Con una semplice tac (che oggi è meno invasiva perché non serve un catetere nel cuore, ma è sufficiente un’iniezione con liquido di contrasto nelle vene) è possibile osservare se esiste un’ostruzione coronarica – spiega il cardiologo – Inoltre esistono molte più terapie: alle statine, per esempio, si associa l’ezetimibe, che impedisce assorbimento intestinale del colesterolo; ci sono poi anticorpi monoclonali che si possono somministrare per via sottocutanea ogni 15 giorni, oltre a un farmaco da assumere due volte all’anno (molto utile per l’aderenza del paziente alla terapia) e l’acido bempedoico, che ha meno effetti collaterali delle statine. Insomma, il ventaglio è ampio».
Le ricadute economiche
Eppure, oltre agli oggettivi rischi per la salute, la mancata prevenzione o aderenze alle terapie porta anche svantaggi economici. Come sottolineano gli esperti, se si seguissero le indicazioni dei medici si potrebbe ridurre fino al 38% il costo complessivo per il servizio sanitario, che per l’ipercolesterolemia ammonta a circa 1,14 miliardi di euro. All’incirca il 60% dei costi, infatti, è legato ai ricoveri per complicanze dovute a infarti e ictus evitabili. Inoltre, gli eventi successivi al primo sono ancora più onerosi (+7,1%), principalmente a causa delle ri-ospedalizzazioni. Proprio per questo occorre investire in campagne di sensibilizzazione e prevenzione.