Le cure palliative sono «un diritto umano inalienabile»: così le definisce l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e a sottolinearne l’importanza di recente è stato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha visitato la sede di Palermo della Samot, l’Associazione che si occupa proprio di cure palliative. L’obiettivo è «garantire dignità e qualità di vita alle persone che vivono condizioni di sofferenza a causa di malattie gravi, in particolare di coloro che si avvicinano alla fine della vita», come ha sottolineato il fondatore Giorgio Trizzino. «Un’attività non soltanto preziosa, ma che incontra una domanda crescente», ha ribadito Mattarella.

Cure palliative: un bisogno crescente

Come spiega l’Istituto europeo di oncologia, solo nella Regione Lombardia «Il bisogno di cure palliative domiciliari o residenziali riguarda circa 27.000 pazienti oncologici e circa 23.000 pazienti non oncologici. Nel Territorio area sud di Milano vivono 410.000 cittadini: ogni anno avvengono circa 1.300 decessi per tumore per cui si stima che 1.150 pazienti con patologia oncologica avanzata dovrebbero accedere alla Rete delle Cure palliative, come previsto dalla Legge 38/2010 e dalla DGR 28.12.2012».

Cure palliative: non solo per malati oncologici e terminali

Le cure palliative sono «l’insieme degli interventi (terapeutici e assistenziali), finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti» la cui malattia di base (con il dolore che comporta) è di fatto inarrestabile e caratterizzata da una prognosi infausta, quindi non risponde più a trattamenti specifici», come spiega Raffaella Antonione, Direttrice presso la SC Rete Cure Palliative e Hospice dell’Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina. «Si occupano non solo di malati oncologici, ma anche di tutte quelle malattie gravi e progressive, inguaribili ma non per questo incurabili (neurologiche, cardiologiche, nefrologiche, pneumologiche, etc.). Non si occupano solo delle fasi terminali della vita (ore o giorni), come spesso ancora si crede, ma sempre più si fanno carico di malati in fasi più precoci e che spesso stanno ancora facendo trattamenti specialistici (cure palliative “precoci e simultanee”)».

Quando e come si può alleviare il dolore

«Le terapie mediche hanno il fine di alleviare o ridurre tutte le sofferenze e si avvalgono dei farmaci più adeguati in relazione ai sintomi del malato, che possono essere dolore, affanno, stanchezza, mancanza di appetito, nausea, vomito, ansia, delirium e molti altri ancora. La morfina (e i suoi derivati) si usano per il dolore e l’affanno, ma nelle cure palliative sono utilizzati molti altri principi (alcuni di questi sono benzodiazepine, antiemetici, cortisonici) su fondate evidenze scientifiche e di letteratura. Esiste anche un elenco di “farmaci essenziali” stilato sempre dall’OMS e delibere dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) a garanzia della sicurezza del loro utilizzo», spiega ancora Antonione.

Chi ha bisogno di cure palliative

Il ricorso, quindi, non riguarda solo i malati oncologici e non solo gli anziani: «Queste cure – chiarisce l’esperta – sono rivolte a malati di qualunque età, dai neonati ai grandi anziani. Le Cure Palliative Pediatriche, per esempio, si occupano specificatamente di neonati, bambini, adolescenti e delle loro famiglie. Le cure palliative dell’adulto, invece, si fanno carico anche di persone molto giovani, oltre che delle persone più anziane». Aumentando la popolazione anziana, però, è anche presumibile che il ricorso alle palliative possa aumentare, considerando anche i cambiamenti sociali, con sempre meno reti familiari e maggiori nuclei monofamiliari.  

Il punto in Italia: dove c’è più bisogno di cure palliative

Come chiarisce l’Istat, in termini di bisogno è possibile definire il ranking delle prime dieci regioni per bisogni di cure palliative nella popolazione adulta. La prima regione, secondo l’elaborazione di CERGAS su dati 2017, è la Lombardia, che è anche la più popolosa a livello nazionale. A seguire si trovano Lazio, Campania, Sicilia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Puglia e Liguria. Sempre le stime ufficiali indicano che nel 2017 il numero di Hospice era di 240 strutture (erano 231 nel 2014) mentre il numero dei posti letto risultava di 2.777. Nello stesso anno (e in attesa di dati più recenti) erano state 42.572 le persone ricoverate in Hospice (+ 12,53% rispetto al 2014).

Perché sono così importanti

«Le cure palliative sono importanti perché sono un diritto del cittadino e un Livello Essenziale di Assistenza (Legge 38 del 2010) e hanno lo scopo di migliorare la qualità di vita dei malati e delle loro famiglie che attraversano momenti estremamente difficili della loro vita, accompagnandoli e supportandoli, rispettando i loro desideri e pianificando il percorso di cura nel rispetto dei loro valori – chiarisce Antonione – Forniscono inoltre sostegno alla famiglia e ai caregivers, se necessario, anche nella fase del lutto. Comprendono prevenzione, identificazione precoce, valutazione completa e gestione di problemi fisici, disagio psicologico, disagio spirituale e bisogni sociali. Anche per questo possono influenzare positivamente il decorso della malattia. Sono applicabili, infine, a tutti i luoghi di cura (casa, ospedale, strutture protette, Hospice)».

A quale specialista rivolgersi

Ma a chi rivolgersi, in caso di bisogno? Oltre ai medici in possesso di specializzazione in una delle discipline equipollenti (ematologia, oncologia, medicina interna, neurologia, geriatria, radioterapia, malattie infettive, pediatria, anestesia, medicina di comunità e delle cure primarie) e a coloro che hanno maturato un’esperienza triennale nelle reti di cure palliative certificata dalla regione di appartenenza, da poco più di due anni «è stata istituita la specializzazione in Medicina e Cure Palliative (durata di 4 anni) su cui contiamo molto per formare i palliativisti del futuro» spiega Antonione. L’intervento, però, è spesso in team.

Il lavoro in team

«Direi che è indispensabile e imprescindibile, ed è il valore aggiunto delle cure palliative. I “bisogni” del malato non sono solo clinici (di pertinenza medica), ma anche di altra natura: quelli assistenziali, ad esempio, sono soddisfatti dagli infermieri e da operatori socio-sanitari; quelli psicologici dallo specialista competente; quelli spirituali dall’assistente spirituale o dal Ministro di culto. Solo in questo modo, il malato vede soddisfatti tutte le sue necessità, nell’ottica della cura centrata sulla Persona, che a mio personale avviso è l’unico vero modo di praticare la “Medicina”», sottolinea l’esperta palliativista.

Come funziona all’estero

«Anche all’estero ci sono medici palliativisti specialistici, anche se ogni nazione ha sistemi sanitari peculiari e diversi canali di formazione. Alcuni Paesi sono adeguatamente sviluppati, mentre altri purtroppo sono ancora molto indietro. Le società scientifiche si sono date come mandato lo sviluppo di collaborazioni con Paesi che chiedono supporto formativo, proprio per cercare di colmare queste gravi lacune. Anche per questo, recentemente, a Trieste abbiamo organizzato un convegno che ha coinvolto i Paesi dei Balcani Occidentali, Austria, Slovenia e Croazia (“Overcoming Barriers and Borders in Palliative Care: 100 uniTS of opportunities”)», ricorda Antonione.