Le demenze rappresentano una delle patologie più diffuse tra la popolazione anziana, ma di recente cresce l’attenzione nei confronti di casi che riguardano anche i più giovani. Si tratta della fascia d’età tra i 40 e i 50 anni, in cui si potrebbe verificare la cosiddetta Young Onset Dementia (YOD). Consiste nell’esordio giovanile della malattia, che può portare spesso al morbo di Alzheimer. Secondo un recente studio, però, esistono alcuni fattori di rischio e campanelli d’allarme la cui conoscenza può ridurre l’incidenza delle demenze.
Cos’è la demenza giovanile
Si tratta dei primi sintomi delle classiche patologie che in genere colpiscono con l’avanzare dell’età e che, invece, in questo caso possono fare il loro esordio in maniera precoce, intorno ai 40/50 anni e talvolta anche già a 30 anni. Stando alle conoscenze attuali, la YOD ha un’incidenza del 5/10% e in piccola parte ha cause ereditarie (5-15%). Esistono, però, anche fattori di rischio legati allo stile di vita, che sono stati indagati dai ricercatori della Maastricht University in Olanda, che possono aiutare a prevenire la malattia.
La demenza può arrivare anche a 50 anni
«Per la prima volta si mostra come potremmo essere in grado di agire per ridurre il rischio di questa condizione debilitante, prendendo di mira una serie di fattori diversi», ha commentato l’epidemiologo David Llewellyn dell’Università di Exeter nel Regno Unito. Ad essere analizzati sono stati oltre 360.000 pazienti i cui dati sono custoditi nell’UK Biobank, individuando i casi di demenza giovanile (circa 100.000) in persone tra i 40 ed i 50 anni. «In particolare l’età media è intorno ai 55 anni. È uno studio interessante perché sono stati presi in considerazione diversi fattori simultaneamente», osserva Mauro Colombo, ricercatore in Gerontologia clinica presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso (MI), segretario e consigliere per la sezione lombarda della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria.
I fattori di rischio per la demenza in età giovanile
Secondo lo studio, pubblicato su JAMA Neurology, a incidere nell’esordio della malattia in fase “precoce” sarebbero in particolare 15 fattori, dei quali alcuni in modo particolare: basso reddito, isolamento sociale, disturbi dell’udito, depressione e una serie di patologie cardiovascolari e metaboliche come ictus, diabete insieme alla carenza di vitamina D e alti livelli di proteina C-reattiva, prodotta dal fegato in presenza di infiammazioni. «Intanto è importante notare che l’ereditarietà incide, ma non in maniera così importante come invece si sarebbe propensi a ritenere. Un altro elemento di interesse riguarda lo stile di vita, che certamente influisce, ma sembra meno incisivo nelle forme giovanili, perché verosimilmente occorre più tempo perché ci sia un effetto. È invece importante sottolineare il peso, ad esempio, delle condizioni socio-economiche e dell’isolamento sociale», spiega ancora Colombo.
Il rischio di demenza alcolica: cos’è
Ma se molti dei fattori di rischio erano già noti, ad attirare l’attenzione è stato anche il consumo di alcol. «Certamente si conosceva già l’effetto dell’alcol in relazione alle demenze. Questo si spiega con la presenza di un metabolita, acetaldeide, che è tossico per il sistema nervoso e in particolare, per le strutture dell’ippocampo. Per questo un consumo eccessivo di acolici può generare una cosiddetta ‘demenza alcolica’ per effetto cumulativo: più se ne consuma, maggiore è il rischio di sviluppare il decadimento giovanile, quindi iniziando in età giovanile aumenta la probabilità di andare incontro alla malattia», spiega Elio Scarpini, Professore di Neurologia, Direttore del Centro Alzheimer e Sclerosi Multipla “Dino Ferrari” dell’Università di Milano – IRCCS Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.
Attenzione alle dosi
«Va osservato, però, che l’alcol e in particolare il vino può anche avere un effetto protettivo, nelle corrette quantità e modalità di consumo – osserva Colombo – Anche lo studio appena pubblicato mostra come non sia minore il rischio di demenze nei casi di ‘non alchohol use’. Questo si può spiegare in due modi: il primo è che gli astemi possono astenersi dal consumo di alcol per motivi di salute, quindi perché hanno già una patologia; il secondo, invece, perché il vino può avere proprio un effetto protettivo, sempre nell’ambito di un’assunzione corretta. Il massimo fattore di rischio, dunque, si ha con un abuso».
Quanto è diffusa la demenza giovanile?
Difficile capire se le demenze giovanili siano in aumento e soprattutto se la maggiore attenzione sia legata anche a un miglioramento nelle diagnosi: «Non è detto che ci sia aumento delle demenze giovanili. Sicuramente tra i 15 fattori di rischio appena individuati molti sono modificabili e questo dovrebbe incoraggiarci a una maggiore prevenzione agendo proprio su stile di vita e fattori socio-economici: ricordiamo che una demenza su 12 è a esordio giovanile a livello mondiale, parliamo di quasi 4 milioni di persone che magari lavorano ancora, hanno figli non ancora autonomi e genitori anziani da accudire. L’impatto su una persona, magari fisicamente ancora in buone condizioni, può essere devastante», sottolinea Colombo.
L’importanza della prevenzione
«Sapevamo già dalla ricerca su persone che sviluppano demenza in età avanzata che esistono una serie di fattori di rischio modificabili. Il fatto che questo sia evidente anche nella demenza ad esordio giovanile mi ha sorpreso e potrebbe offrire opportunità per ridurre il rischio anche in questo gruppo», ha commentato il neuro-epidemiologo Sebastian Köhler dell’Università di Maastricht. «Occorre agire a livello individuale, sugli stili di vita, ma anche a livello istituzionale – spiega l’esperto della Fondazione Golgi Cenci – Non è un caso che in Inghilterra abbiano istituito un ministero apposito, per intervenire su problematiche socio-economiche e sull’isolamento sociale, che possono avere un forte impatto. Basti pensare che nel mondo occidentale la quota di persone sole si aggira intorno al 30%».