Classe 1976, Monica Priore aveva solo 5 anni quando le è stato diagnosticato il diabete mellito di tipo 1. I medici esperti della malattia erano pochi e non c’erano pediatri diabetologi, quindi è stata ricoverata nel reparto per adulti. Oltre al terrore della malattia, in lei è nato un pensiero spaventosissimo: doveva essere proprio lei l’unica bambina al mondo con il diabete.

Monica Priore: sconfiggere il diabete con lo sport

Monica Priore

Oggi Monica ripensa a lei piccina e a quella sicurezza così angosciante col sorriso, mentre fatica a ricordare tutte le imprese che da allora è riuscita a portare avanti. La piccola Monica di ieri ora è Monica Priore. Nuotatrice professionista che ha fatto il pieno di traguardi e di avventure estreme, spingendosi al limite e superandolo ancora. Non è di sicuro la prima bambina col diabete, ma è la prima diabetica di tipo 1 ad aver attraversato a nuoto lo Stretto di Messina. Dici poco.

«La scoperta della mia malattia era stata un dramma per tutta la famiglia, le indicazioni dei medici erano rigidissime. Era vietato mangiare dolci, i dosaggi di insulina erano prestabiliti e non si poteva sforare. Non si poteva fare attività fisica, perché si pensava mettesse a rischio la vita del malato» racconta Priore. La voce al telefono arriva forte e chiara, come il suo messaggio. Lei lo sapeva che lo sport – che la faceva stare così bene – non poteva fare male e non ci avrebbe mai rinunciato.

Lo sport è parte integrante della lotta al diabete

Oggi questa non è più solo una teoria da discutere: lo sport è una delle tre più importanti fasi della terapia diabetica. Ce lo conferma il professore Dario Iafusco, responsabile del Centro regionale di Diabetologia Pediatrica “G. Stoppoloni” AOU Luigi Vanvitelli: «Sono tre i punti fondamentali per la cura del diabete: insulina somministrata correttamente, alimentazione appropriata e tanta attività fisica».

Il dottore è specializzato nella cura del diabete mellito di tipo 1, la patologia autoimmunitaria che si diagnostica generalmente in tenera età. «Questi bambini hanno un sistema immunitario che funziona fin troppo bene, impedendogli di ammalarsi di malattie virali. Ad un certo punto, però, questo funzionamento diventa estremo e comincia a distruggere se stesso. Si distrugge il pancreas, l’organo formato da cellule beta che producono le insuline. Questa carenza fa sì che non si possa utilizzare il glucosio, che viene cacciato con le urine. Dunque arrivano i sintomi più evidenti: i bambini fanno tanta pipì (poliuria) e hanno molta sete. Finché riescono a bere quanto urinano, stanno abbastanza bene, ma piano piano cominciano a disidratarsi. Allora può esserci il vomito, il dimagrimento, l’alitosi dovuta alle scorie dei grassi, in certi casi addirittura coma).»

Già dal momento della diagnosi – che per i malati di diabete di tipo 1 può avvenire anche da piccolissimi – lo sport è un alleato imprescindibile. I benefici dell’attività fisica per le persone malate di diabete sono stati teorizzati oltre vent’anni fa: maggiore è l’esercizio fisico, più il glucosio viene consumato e di conseguenza serve meno insulina.

Eppure, solo negli ultimi dieci anni le ricerche in campo medico hanno permesso di strutturare le linee guida per ridurre al massimo i rischi e massimizzare i risultati. «Non ci è mai concesso» ricorda Priore «di lasciare a casa la malattia, dimenticarcene. Dobbiamo prendere 180 decisioni al giorno e controllare costantemente i nostri livelli glicemici, soprattutto quando svolgiamo attività fisica».

Diabete e sport: quali sono i rischi?

Il rischio principale è, infatti, quello dell’ipoglicemia, ovvero il calo dei livelli di glicemia nel sangue. Questa possibilità era il principale timore della medicina che arrivava addirittura a vietare lo sport, ma oggi grazie a tecnologie come i sensori sottocutanei e i microinfusori si possono tenere controllati costantemente i valori. In caso di abbassamento, è sufficiente bere liquidi contenenti glucosio o saccarosio.

Come conferma anche la dottoressa Angela Zanfardino, diabetologa pediatrica presso il Centro Vanvitelli, oggi è molto raro che si verifichino situazioni pericolose quando i bambini fanno sport. Sono richieste loro maggiori sfide, ma non devono scoraggiare. È importante scegliere l’attività fisica più adatta per le proprie attitudini, conoscerne le caratteristiche ed agire di conseguenza. Molti genitori, spaventati all’idea che i figli possano stare male, faticano ad adeguarsi ai consigli dei medici sull’attività fisica. Queste paure sono comprensibili, ma di fatto si fondano su false credenze e rischiano di ottenere conseguenze opposte a quelle sperate.

«Ci sono alcuni sport più consigliati – quelli che prevedono attività aerobiche o di durata – e altri meno – quelli “esplosivi”. Qui l’energia arriva dall’adrenalina e di conseguenza si rischiano picchi di glicemia» chiarisce Iafusco. «Nel momento in cui si vieta ad un bambino di svolgere uno sport, sarà proprio quello il suo nuovo preferito. Noi abbiamo imparato a non vietare mai: d’altronde, tutti i diabetici che hanno scelto di raggiungere un obiettivo e l’hanno perseguito con sicurezza, poi ce l’hanno fatta. Perché non puntare sempre al massimo?».

Lo sport per sentirsi più forti

La dottoressa Zanfardino racconta: «In base alla mia esperienza, sono due i momenti in cui i bambini cominciano a vivere con serenità la loro nuova condizione: quando tornano a scuola e quando tornano a fare sport con i loro compagni”» Lo sport di squadra è consigliato anche dal dottor Iafusco, che non si limita a prendersi cura di giovani sportivi, ma cerca di renderli giovani campioni.

«Mi piace spingerli a vincere, perché molti di loro si sentono dei perdenti per il fatto di avere una malattia. Nel momento in cui fanno sport, vogliono farlo al meglio e ottenere una rivalsa: quando vincono scoprono di essere non solo normali, speciali!».

L’importanza di avere ispirazioni

Ecco perché Monica Priore racconta la sua storia nelle scuole, negli ospedali, nei convegni. La sua vittoria è quella di una bambina a cui era stato dato un limite, ma che ha trovato la forza di seguire i suoi sogni. Il suo impegno è stato riconosciuto anche dal Presidente Mattarella, che il 13 novembre 2016 l’ha insignita del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana «per la testimonianza dell’importante contributo dello sport nel superamento dei limiti derivanti dalla malattia».

«Dopo aver parlato con i ragazzi, spesso mi contattano. Mi ringraziano di avere dimostrato che anche loro possono realizzare i loro sogni, non solo nello sport». La spaventa vedere in loro le sue stesse paure, ma ricordando le sue convinzioni di bambina sa come aiutarli a trovare la forza di convivere con la malattia.

«Mi rendo conto che oggi che siamo aiutati da tante tecnologie, gli altri tendono a considerare la nostra malattia come qualcosa di semplice con cui convivere. Dal punto di vista medico abbiamo fatto passi da gigante, sì, ma dal punto di vista psicologico, accettare di avere tante limitazioni è ancora difficile. Ecco perché è importante che i ragazzi abbiano degli esempi da cui lasciarsi ispirare, ma senza che questi diventino metri di paragone davanti a cui sentirsi inadatti».

Il rischio, infatti, è che raccontando loro solo storie eroiche questi fatichino ad accettare i propri limiti, che si sentano sbagliati se non riescono a raggiungere i loro obiettivi. «Non tutti i malati sono uguali: ognuno deve imparare a conoscersi e a dare il massimo, ma anche ad accettare i suoi limiti. Per questo è importante che accanto alla persona con diabete ci sia un vero e proprio team: il medico diabetologo, lo psicologo e il medico dello sport».

Sport e diabete: la malattia non deve fermare

Nonostante ci sia ancora molta strada da percorrere, il mondo dello sport si sta rendendo sempre più conto dell’importanza di integrare i malati di diabete. Molti campioni in diverse discipline lottano con la malattia, ma questo non impedisce loro di continuare a fare ciò che amano. Prima fra tutti Monica, che non si limita a gareggiare da sola, ma la scorsa estate ha partecipato alla gara Dominate The Water (organizzata da Gregorio Paltrinieri) con una squadra di dieci persone con diabete.

Grazie all’aiuto dell’associazione Diabete Italia, la più importante rete di associazioni di volontariato per il diabete, ha “reclutato” atleti affetti da diabete da ogni parte d’Italia: il più piccolo aveva 9 anni e veniva da Parma, molti avevano diabete di tipo 2 (una persino la forma di tipo “lado”), eppure si sono quasi tutti conquistati il podio.

Per Monica è stato l’ennesimo sogno realizzato, l’ennesimo traguardo raggiunto. Ma questa volta la soddisfazione è immensa, perché in quei ragazzi sui loro primi podi si rivede bambina. La loro vittoria è una vittoria sull’ignoranza – che è la peggiore delle malattie: alla faccia di chi ancora crede il contrario, oggi il diabete si sconfigge già da piccoli.