Con un semplice esame delle urine si potrebbe individuare un tumore alle ovaie. Si tratterebbe di una grande svolta nel percorso di diagnosi di un cancro la cui incidenza è in aumento nei paesi industrializzati. Secondo i dati ufficiali, si registrano 17 casi su 100.000 persone ogni anno, con una mortalità di 12 su 100.000 all’anno. Il vero problema è che nel 60-70% dei casi esordisce in fase avanzata, diminuendo le probabilità di prognosi favorevole.
Il nuovo test per individuare il carcinoma ovarico
Il nuovo test potrebbe rivoluzionare la diagnosi di un tumore che In Italia colpisce approssimativamente 1,5 donne ogni 10.000. A mettere a punto l’esame, che consiste nell’analisi di un campione di urine, è stato un team della Virginia Commonwealth University, che ne ha presentato i risultati in occasione del 68° incontro della Biophysical Society. Come spiegato dai ricercatori, guidati da Joseph Reiner, il punto di partenza è stata la considerazione che le urine delle donne con tumore alle ovaie sono ricche di alcuni peptidi, ossia sostanze composte da amminoacidi, considerate i “mattoncini” che compongono le proteine nel nostro organismo.
La difficoltà di diagnosi precoce
Una delle difficoltà nel trattamento del carcinoma ovarico sta proprio nella diagnosi. Secondo l’Associazione italiana per la Ricerca sul Cancro-AIRC, la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi di cancro dell’ovaio è pari a circa il 43% (contro l’88% del tumore al seno). Nel 20% dei casi, quando «il tumore viene diagnosticato precocemente, la sopravvivenza a cinque anni aumenta notevolmente e questo rende particolarmente importante identificare dei marcatori della malattia nelle fasi iniziali». Ma come? «La ricerca di marcatori biologici nel sangue in grado di facilitare la diagnosi precoce non ha ancora dato i risultati sperati e i test disponibili non sono sufficientemente affidabili», osserva l’AIRC sul proprio sito. Dalla ricerca statunitense, invece, arriva la buona notizia.
Dalle urine un indicatore del tumore
Gli scienziati della Virginia Commonwealth University hanno sviluppato un test basato sui nanopori, dei piccoli sensori (che hanno la forma che ricorda una chiavetta USB) che, al passaggio delle urine e dei peptidi che vi sono contenuti, sono in grado di effettuare misurazioni che ne rilevano la presenza in base alle caratteristiche. «Il nostro metodo – ha spiegato Reiner – permette di identificare simultaneamente più peptidi. Nelle prove cliniche ne abbiamo riconosciuti 13, compresi quelli associati a LRG-1, un biomarcatore trovato nei pazienti con cancro ovarico». «Abbiamo imparato a distinguere tra le varie firme dei vari peptidi – conclude Reiner – e ora sappiamo che potrebbero essere utilizzate per il nostro schema di rilevamento. Il nostro obiettivo finale è quello di sviluppare un test che, in combinazione con altre informazioni, possa facilitare l’individuazione del cancro ovarico in stadio iniziale».
Per chi è adatto il nuovo test
Il test, dunque, verrebbe associato ad altre informazioni. «Sicuramente potrebbe essere utile se unito a informazioni sulla storia familiare della paziente, che è molto importante», conferma Roberto Marci, Professore Ordinario in ginecologia e ostetricia presso il Dipartimento Medicina Traslazionale dell’Università di Ferrara. «Si potrebbe utilizzare con ulteriore esame nelle donne che hanno cisti ovariche sospette, per arrivare a una diagnosi possibilmente precoce, che permette di aumentare la sopravvivenza del 75%. Il vero problema del tumore ovarico è proprio la difficoltà di una diagnosi in uno stadio iniziale. Il test delle urine allo studio, quindi, appare interessante, ma valutare con prudenza fino a che non sarà realmente disponibile ed efficace», aggiunge l’esperto.
Come si diagnostica oggi il tumore ovarico
Come spiega ancora l’AIRC, «I tumori ovarici sono caratterizzati da una grande variabilità di mutazioni genetiche (anche a carico del ben noto gene BRCA) che rendono difficile l’identificazione dei bersagli più efficaci per una terapia mirata». «Oggi la diagnosi passa da un’attenta anamnesi, quindi l’ascolto della paziente e della sua storia familiare. Occorre poi ricercare eventuali marker tumorali, tramite esami del sangue, e al momento quello individuato correlato a questo carcinoma è il CA125 – spiega Marci – Infine, ma non ultimo per importanza, occorre effettuare un’accurata ecografia transvaginale che permette di individuare possibili cisti anomale e altri parametri importanti. Il test sui peptidi tramite urine si potrebbe aggiungere a questo percorso, ricordando che la prevenzione rimane l’arma principale, con controlli ginecologici regolari».