Un fastidioso mal di pancia, un gonfiore che non passa, emicranie, aumento di peso senza apparente spiegazione: le intolleranze alimentari si possono presentare sotto diverse forme e in qualsiasi momento della vita.
La diagnosi non è sempre semplice perché i sintomi spesso tendono a confondere. Con l’aiuto della dottoressa Francesca Noli, biologa nutrizionista, facciamo chiarezza su alcune tra le più comuni intolleranze alimentari e scopriamo come orientarci riguardo a dieta e menu.
Intolleranza ai lieviti
L’intolleranza ai lieviti, una condizione che pare ormai molto comune, è caratterizzata da rallentamento della digestione, gonfiore addominale, aumento di peso e aerofagia.
A differenza di altri tipi di intolleranze alimentari (per esempio quella al lattosio), l’intolleranza ai lieviti è difficile da diagnosticare con certezza.
«Per capire se vi sia una possibile intolleranza ai lieviti, si va per tentativi. Si parte dai problemi riferiti al proprio medico dopo l’ingestione di alcuni cibi. Per esempio, vi sono persone a cui il pane non dà alcun problema, altre che riescono a digerire solo determinati prodotti da forno. In linea di massima, esistono alimenti più “difficili” per chi manifesta disturbi conseguentemente all’assunzione di lievito: tra questi, spiccano le brioches surgelate e riattivate al momento, la pizza mal lievitata, panettoni e colombe» spiega la dott.ssa Noli.
Ma non del solo forno ci si deve preoccupare. «Chi non tollera il lievito, potrebbe manifestare disturbi anche dopo il consumo di birra, di alcune tipologie di vino e dei funghi» precisa l’esperta.
In caso di intolleranza ai lieviti, è possibile preparare in casa pane e pizza a lievitazione lenta. Infatti, quando il processo di lievitazione è incompleto, la fermentazione continua nel nostro organismo e provoca diversi tipi di fastidi, più o meno accentuati.
«Lievitazione lenta significa maggiore tollerabilità. Una soluzione, per chi manifesta fastidi dopo il consumo di prodotti lievitati, potrebbe arrivare dalla preparazione casalinga di pane e pizza, utilizzando piccole quantità di pasta madre. Risulta comunque piuttosto difficile arrivare a una diagnosi certa da parte del medico in questo campo, le situazioni andrebbero infatti valutate caso per caso» precisa la dottoressa Noli.
Intolleranza al lattosio
I sintomi dell’intolleranza al lattosio sono solitamente riconoscibili e, il più delle volte, si manifestano con dolori (anche molto forti) e disturbi a livello gastro-intestinale, associati a cattiva digestione.
«Per diagnosticare l’intolleranza al lattosio, esiste un test specifico, il breath test ovvero il test del respiro. Si tratta di un esame non invasivo e dai risultati attendibili. Se viene diagnosticata un’intolleranza al lattosio, è bene sostituire il latte vaccino “tradizionale” (e spesso, ma non sempre, anche i suoi derivati) con le sue varianti delattosate o con bevande di origine vegetale, supplementate di calcio. Anche l’intolleranza al lattosio si presenta in maniera differente a seconda dei singoli casi: vi sono infatti diversi gradi di intolleranza. Per esempio, si può non digerire il latte o i formaggi freschi, ma riuscire a tollerare lo yogurt vaccino e i prodotti caseari stagionati, come il parmigiano» spiega la dott.ssa Noli.
Come funziona il breath test per il lattosio? Il paziente assume una dose prestabilita di lattosio e, in seguito, ne viene analizzato il respiro. In particolare, si ricerca tra i gas il picco di idrogeno, spia di fermentazione intestinale e, quindi, di non assorbimento dello zucchero.
Sensibilità al glutine
Con il termine sensibilità al glutine ci si riferisce all’insieme di disturbi (come celiachia, sensibilità non celiaca al glutine, allergia al grano etc.) derivati dall’ingestione di alimenti contenenti glutine.
All’interno di questo insieme, però, è necessario distinguere tra sensibilità al glutine non celiaca, un disturbo che presenta gli stessi sintomi della celiachia ma che non presenta le caratteristiche basi genetiche della malattia, e la celiachia vera e propria, una patologia che colpisce circa l’1% della popolazione e che si manifesta come una reazione infiammatoria a carico delle cellule, conseguentemente al consumo di glutine.
Più che un’intolleranza, infatti, la celiachia è una malattia autoimmune, poiché il sistema immunitario risponde in modo anomalo a uno specifico componente del glutine, la gliadina. I sintomi variano da disturbi gastrointestinali di diversa entità (per esempio, diarrea), fino ad anomalie di tipo nutrizionale (dimagramento rapido ed eccessivo) e di malassorbimento di alcuni nutrienti (per esempio, ferro e calcio).
Cosa mangiare, dunque, se si soffre di sensibilità al glutine? Se viene diagnosticato uno dei disturbi afferenti a questo insieme, è necessario astenersi dall’ingestione di glutine. Quindi, no al grano e a tutte le farine derivate così come ai prodotti industriali che utilizzano il glutine tra gli addensanti: tra i cibi insospettabili, per esempio, figurano i preparati per budini o mousse.
Gli alimenti alternativi, permessi, sono cereali quali: mais, grano saraceno, riso, quinoa e, in generale, tutti i cibi senza glutine caratterizzati dal simbolo della spiga barrata.