Viareggio, estate 1997. Ho quasi 17 anni, esco tutte le sere con le mie tre amiche “disgraziate”, Roxy, Selene e Paola, mi godo le giornate di spensieratezza prima della maggiore età, l’ultima vera estate di libertà prima dei doveri di adulta, «l’ultima occasione per fare casino». Non potrò mai dimenticare quello che successe il 10 giugno del 1997, il giorno in cui lo vidi per la prima volta, il giorno in cui la mia dipendenza da “binge drinking” ebbe inizio.
Binge drinking: l’evento scatenante
È in quel pomeriggio che incontro Luca, nei pressi di una sala giochi sul lungomare viareggino intorno alle 19, il classico colpo di fulmine, roba da commedie anni ’90 alla Julia Roberts. Non può capitare a me, mi ripeto. Io che rimbalzo tutti, l’eterno spirito libero che si vanta di esserlo, e che non considera i corteggiatori, sono ancora freschi i miei successi dell’estate precedente quando ho vinto a Viareggio la tappa toscana di The look of the year, ho posato in Egitto in un servizio fotografico per Cosmopolitan e ho iniziato a lavorare per l’agenzia Elite di Milano. E invece, proprio in quel 10 giugno mi innamoro per la prima volta.
Quel pomeriggio sarà lo spartiacque della mia adolescenza, non rinuncerò mai al mio folle amore non corrisposto, insisterò per anni facendomi del male. Il mio sarà un chiodo fisso, un atteggiamento non sano, disfunzionale. Non riuscirò mai a dimenticare Luca se non oltre i 30 anni, trovandomi a sognarlo regolarmente di notte ben oltre i 35. In quell’estate del ’97 il mio unico rifugio da quell’amore malato sarà l’abuso di alcol, cercherò di affogare la mia depressione e il dolore ubriacandomi, scegliendo la strada peggiore. Bevo, perché sono depressa e più bevo più peggioro la mia situazione psichica.
Binge drinking: l’inizio della dipendenza
Ho bevuto in modo smodato per mesi insieme alle mie tre migliori amiche, tutte forti bevitrici. Non mi sono limitata, vomitando anche l’anima, ogni sera mi ripetevo che sarebbe stata l’ultima volta ma non lo era mai. La bottiglia è stata per me una compagna di viaggio fedele e il bere alla fine ci ha dominato. Ho minato il fegato, il cuore, distruggendo i neuroni, finendo per essere lo zimbello fra i miei pari. Quando l’effetto della droga liquida sparisce, di me rimane solo un guscio vuoto, insieme ai postumi di un vizio che per noi si trasforma in una condanna.
Sullo sfondo della mia storia ci sono gli anni ’90, la, musica, la vita mondana viareggina, le sbronze al Festival latinoamericano, le feste sulla spiaggia. Le abbuffate alcoliche a base di sangria nella pinetina di via Zara, i quattro litri di birra ingurgitati ogni sera. Le amicizie tossiche, la nostra debolezza, i cattivi esempi. L’indifferenza dei proprietari sciacalli dei locali che organizzavano folli sfide alcoliche per i minorenni hanno completato il quadro. La nostra estate riassunta in poche righe: ricoveri in ospedale, vomitate quotidiane di succhi gastrici, cene saltate, svenimenti nei parcheggi della Darsena viareggina, bagni nude in mare alle due di notte.
Un vortice di umiliazione e dolore
Per quattro mesi il medesimo schema comportamentale: sbronza – vomitata – svenimento, come se fossi dentro un esorcismo diabolico. Ho scritto La ragazza che aveva sete per raccontare la mia esperienza, per aiutare chi è in difficoltà dimostrando che se ne può uscire e mostrando la pericolosità di questo veleno liquido: voglio che si sappia cosa significa vomitare i succhi gastrici due volte a sera e, dopo averlo fatto, ricominciare a bere. O svenire tutte le sere nella pozza del proprio vomito puzzolente. O rischiare di essere violentate quando ci si ritrova incoscienti, inermi per strada con la bava alla bocca.
I tre quarti dell’estate del 1997 mi sono stati raccontati dal momento che o ero ubriaca o svenuta o in preda ai postumi della sbronza, raramente lucida. C’è un inquietante rito che ogni sera prima di andare a letto mi ero abituata a fare per tranquillizzarmi: mi annusavo i genitali, per capire se ero stata violentata o se mi era andata bene, per l’ennesima volta. Ero consapevole che se fosse capitato, avrei percepito un odore maschile su di me, un ph estraneo, qualcosa che non tornava sulla mia pelle.
Binge drinking: sensibilizzare i ragazzi
Ho perso il conto dell’infinita lista di incidenti in motorino, delle scene umilianti a cui mi sono sottoposta: capitava spesso che dal nulla, in mezzo ai miei pari mi buttassi giù i jeans improvvisamente e iniziassi a urinare tra lo sconcerto dei presenti e le risatine schernenti delle ragazze. Ho perso la mia dignità nell’alcol.
Oggi giro le scuole per sensibilizzare i ragazzi, i più fragili nella società odierna, ho scritto questo libro per loro. Io sono una miracolata, ma tanti del mio gruppo hanno fatto una brutta fine tra gravi incidenti, TSO, abuso di sostanze, problemi psichici, suicidi. Selene, dopo essere stata violentata a 15 anni da ubriaca, non si è più ripresa. È un attimo rovinarsi la vita, indietro poi non si torna.
Se ai miei tempi qualcuno ci avesse sensibilizzato non avremmo sprecato una grossa fetta della nostra esistenza in un modo così stupido e sciocco. Ci siamo rovinati i nostri anni più belli che non torneranno più, quell’estate ci ha segnato profondamente e per sempre e a distanza di anni quando mi è capitato di incontrare le ex ragazze disgraziate abbiamo fatto finta di non conoscerci… Troppa sofferenza condivisa ai tempi, troppe scene imbarazzanti in quella dannata estate per poter far finta di niente e salutarci come vecchie amiche.