Prima le Influencer del dolore, ora una serie tv (molto bella, Antonia) e un libro (Avevo un fuoco dentro, di Tea Ranno). Di endometriosi si parla sempre di più, dai social alla tv. Marzo è perfino il mese dedicato alla diffusione di conoscenze e informazioni su questa malattia. Eppure, stupisce che ancora oggi la conoscano solo una donna su due. Stupisce che alla domanda se sia vero o falso che l’endometriosi è facile da diagnosticare, solo il 35 per cento risponda che è falso. Solo una donna su tre, cioè, sa che per avere la diagnosi di endometriosi possono volerci anche dieci anni.
Endometriosi: malattia sottovalutata anche dalle donne
Sono dati di una ricerca commissionata a SWG da Carrefour, prima insegna della GDO ad aver introdotto dal 2022 una policy per l’endometriosi: un giorno al mese di congedo retribuito, dietro presentazione di certificato medico alla direzione del personale. Un’opportunità di cui hanno usufruito finora 30 donne. Troppo poche? «Forse sì, considerando l’incidenza della malattia. Ma questo deve farci riflettere sul tabù che ancora circonda le patologie dell’apparato riproduttivo legate al ciclo mestruale» commenta Nicoletta Orthmann, coordinatrice medico-scientifica di Fondazione Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere), che di recente ha attribuito proprio a Carrefour il riconoscimento di Health-Friendly Company, azienda impegnata nella tutela della salute dei collaboratori. Con Carrefour, ha anche realizzato una pubblicazione digitale sull’endometriosi, distribuita a tutti i collaboratori per informare sulla patologia e contribuire a creare maggiore consapevolezza sul tema. «Le informazioni sono ancora confuse e frammentate. Dal sondaggio emerge che quasi il 60% delle donne che ha il dubbio di essere affetta da endometriosi non ha mai effettuato una visita di controllo: un dato allarmante se pensiamo che si tratta di donne in età fertile che, pur essendo consapevoli delle caratteristiche e delle implicazioni dell’endometriosi, non hanno ancora trovato il coraggio o l’opportunità di verificare le proprie preoccupazioni. La percentuale di donne che non si sottopone a controlli aumenta tra le over 45 e tra chi non conosce la malattia».
Endometriosi: le più informate sono le giovani
Le giovani sono le più informate. «Tra le donne intervistate, solo il 4% afferma di soffrire di endometriosi, 1 su 3 conosce almeno una persona che ne è colpita mentre l’11% non esclude di poter essere affetta» commenta la dottoressa Orthmann. «Quest’ultimo dato in particolare segnala una pericolosa superficialità: lo stesso atteggiamento di derubricazione del problema che viviamo nei luoghi di lavoro, dove si fatica a far emergere il disagio delle donne». Se più aziende istituissero il congedo mestruale, come in Spagna, il problema emergerebbe dal sommerso? Forse sì, o forse no, proprio per paura di essere “etichettate”. Il dibattito sul congedo mestruale è intanto aperto, da tempo. Tant’è che in Italia il disegno di legge sul tema è fermo dal 2016, mentre le aziende cominciano a muoversi in ordine sparso, e perfino qualche istituto scolastico segna nuove strade, isolato. Per i fautori del sì, il congedo rappresenterebbe un passo avanti nella conquista dei diritti femminili all’insegna della specificità delle donne. Per i detrattori, una misura che rischia di aumentare lo stereotipo della donna “debole”, per cui molte aziende sarebbero frenate nell’assumerle.
L’infertilità spia (e conseguenza) dell’endometriosi
In Italia si stima che siano tre milioni le donne colpite da endometriosi. Donne che dopo anni di diagnosi di depressione e stanchezza, incomprensioni e stigma («Perché ti lamenti, è normale stare male durante il ciclo»), approdano in un centro specializzato e finalmente ottengono le giuste cure e attenzioni. Come Elena Crobu, l’anima della costola sarda dell’associazione A.L.I.C.E. odv (Associazione Lotta Italiana per la Consapevolezza sull’Endometriosi), impegnata a fare cultura e prevenzione sull’endometriosi, e dipendente di Carrefour. «Dai primi sintomi di dolore forte, troppo forte per essere normale, alla diagnosi, ho impiegato dieci anni: sono partita dall’essere ragazza, e mi sono ritrovata donna, con il desiderio di avere un figlio, e quel bambino che non arrivava. Non arrivava perché in molti casi l’infertilità è proprio una delle conseguenze dell’endometriosi. Diciamo una grossa spia, che dovrebbe accendersi soprattutto al momento del mancato concepimento.
Dopo tanti consulti, finalmente il ginecologo che mi ha spianato la strada. Perché sì, la diagnosi è un trauma, da digerire a metabolizzare, ma allo stesso tempo è una liberazione. Almeno, sai con chi hai a che fare».
Il congedo mestruale non è la soluzione, ma aiuta
Una vera cura per l’endometriosi non c’è. «Esistono alcuni farmaci ormonali e tanti trattamenti, dalla fitoterapia alla meditazione all’alimentazione specifica: uno stile di vita che aiuta a controllare i sintomi» spiega ancora Elena, molto attiva nell’associazione è diventata un punto di riferimento per le pazienti. «Per questo la malattia va presa il più presto possibile: per evitare l’intervento chirurgico, come invece è successo a me». Dopo l’operazione, però, Elena è diventata mamma. Il suo bambino oggi ha un anno e l’endometriosi è sotto controllo, anche se a fasi alterne si riaccende. «Di sicuro un giorno di congedo al mese non risolve il problema, ma è il segnale di una cultura aziendale all’insegna del rispetto e dell’accoglienza. Può aiutare a superare la malattia? Certamente a diffondere consapevolezza, che è quello che più conta». La stessa consapevolezza che dovrebbe portare a diagnosi più veloci e a una maggiore e più specifica formazione dei ginecologi: questa sì sarebbe la soluzione.