Senti la testa che va letteralmente in fumo e non sopporti più nessuno: questa brutta sensazione va avanti da giorni tanto che ormai non ci fai nemmeno più caso. Sbagliato! Per evitare il rischio burnout corri ai ripari adesso. Casa, famiglia, lavoro e a complicare ulteriormente le cose la pandemia: i casi di stanchezza emotiva sono in forte aumento.
Un’indagine coordinata dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli ha calcolato che dopo il lockdown i sintomi legati a stress, ansia e depressione hanno colpito in media 4 persone su 10. Il nostro orgnismo non è fatto per sopportare lo stress in maniera continuativa. Se ti senti emotivamente esausto è il momento di affrontare il problema: ripartirai con più slancio ritrovando la chiave di un benessere profondo dal corpo alla mente.
Che cos’è la stanchezza emotiva?
Dormire poco e male, tensione fisica ed emotiva, fino a capogiri, nausea, sensazione di avere la testa pesante e la mente “troppo piena”: sono solo alcuni segnali spia di un disagio in grado di coinvolgerci a livello fisico e psicologico. Quando arriviamo al punto di essere emotivamente esausti la debolezza è su ogni fronte e coinvolge il piano fisico, mentale e psicologico. Facciamo fatica a concentrarci e prestare attenzione; è possibile percepire un senso di confusione e, talvolta, ci sentiamo assenti. Alla sensazione di stanchezza possono aggiungersi disturbi psicosomatici e, paradossalmente, insonnia. Proprio quando se ne avrebbe più bisogno si fa fatica ad addormentarsi o capita che il sonno sia agitato e la vita onirica particolarmente intensa, salvo poi svegliarsi il mattino dopo con le occhiaie e la sensazione di non aver dormito affatto.
Situazioni stressanti prolungate non vanno sottovalutate e sono in grado di condurre al burnout, uno stato di esaurimento che l’OMS ha classificato come manifestazione dello stress, sul piano emotivo, fisico e mentale. Il rischio di burnout è più alto nelle professioni di aiuto alla persona, nel sociale e e a contatto con il pubblico. Letteralmente burnout significa “bruciato, esaurito”, è la psichiatra statunitense C. Maslach a utilizzare il termine nel 1975 per definire questa sindrome, che oggi sappiamo essere una patologia derivante da situazioni di forte stress, il quale non solo ha un impatto sul corpo e sulla mente, ma affligge anche le relazioni sociali e interpersonali.
Sindrome burnout
Soprattutto nelle professioni che si fondano sulla relazione la mole di impegno, le difficoltà e l’energia profusa possono portare a uno stato di crisi. Parliamo di oss e infermieri, psicologi, educatori, ma non solo. Quando il coinvolgimento emotivo è profondo diventa più facile sentirsi scarichi, fisicamente ed emotivamente. Forse l’hai sperimentato anche tu. Tu che fai sempre tardi sul lavoro ma non riesci a dire no all’ennesima richiesta del capo, tu che accudisci i genitori anziani, ti occupi della spesa e magari finisci per stirare di notte. Ti senti stanca, esaurita, con le batterie a terra. Ma non ci fai più caso.
Se sei donna tutto questo ti riguarda ancora più da vicino. Secondo il 46esimo rapporto Censis il 70% dei caregiver è donna e ha un’età compresa fra 45 e 55 anni: nel 60% dei casi la professione è stata abbandonata per sopperire alle necessità dei familiari e dedicarsi a tempo pieno alla cura. L’accudire è “donna”? No, in realtà non lo è. In ogni angolo del mondo ci sono uomini che si prendono cura… di bambini, genitori anziani, di figli e famiglia, mogli. Probabilmente, molte più persone potrebbero fare scelte differenti se avessimo la possibilità di gestire il nostro tempo in maniera più flessibile: una logica da cui il mondo del lavoro è ancora troppo, drammaticamente, distante.
Uno (dei molti) problemi che, se non altro in Italia, dobbiamo tutti affrontare riguarda il tempo. Parliamo non del Tempo in senso esistenziale, ma semplicemente del tempo lavorativo. Un cambiamento importante per l’organizzazione familiare e del lavoro viene dalla possibilità di gestire il proprio tempo in una modalità flessibile, tuttavia siamo ancora lontani da questo obiettivo e lo smartworking, sebbene sempre più diffuso, in tanti casi ha peggiorato la qualità della vita. È necessario un cambio di mentalità e di ritmi produttivi, ma la società non sembra ancora pronta ai passi che servono per questa trasformazione, così a farne le spese è il singolo.
Nella coppia spesso entrambi i genitori hanno un impiego full time, domenica compresa per chi lavora in centri commerciali, supermercati, negozi. Significa che in molte famiglie si riesce a stare tutti insieme, in media, una domenica al mese, senza contare le corse e l’affanno costante per incastrare tutto durante la settimana, gli impegni dei bambini e quelli degli adulti. E poi la spada di Damocle del mutuo di casa sulla testa, le spese e questa corsa, ogni giorno senza tregua, a tentare di afferrare un domani migliore, sempre preoccupati e stanchi, nonostante tutto ancora in piedi. Ti senti stanca, è normale. Te lo ripeti da mesi. Invece, no.
Dovremmo smettere di considerare ovvia la stanchezza. Scalare la marcia non è mai ovvio e può non essere semplice, né immediato, ma è possibile. Una strategia che può aiutarti a capire come cambiare è uscire dall’abitudine. Sì, perché mentre crei un po’ di allegro disordine nella solità della tua routine emergeranno le piccole crepe dove trovare nuovi spiragli: saranno gli spunti per dare avvio a un nuovo ritmo. Un ritmo più umano, gentile e a misura di ciò che ti serve per tornare a respirare.
L’allarme che può cambiarti la vita
Relativamente alla sindrome burnout sono state identificate quattro fasi: la prima fase, detta preparatoria, è il periodo dell’entusiasmo idealistico, a cui segue una progressiva stagnazione che tenderà a trasformarsi in frustrazione, terza fase, fino all’ultimo stadio, dove a vincere sono disimpegno e apatia. Hai presente? Forse, in forma attenuata o più importante, hai sperimentato anche tu alcune di queste sensazioni. Quando ci troviamo di fronte a un nuovo compito o un cambio di lavoro proviamo un incontenibile e trascinante entusiamo. È la forza trascinante che ci spinge a dare il meglio, il momento del fare-fare-fare. Ma di questa energia potentissima è facile anche rimanere vittime. Accade quando la disillusione inzia a svelare la realtà per come è davvero. Lentamente smettiamo di combattere per la causa in cui crediamo, la carica idealista si va rapidamente esaurendo. Può accadere in maniera particolare agli idealisti, a chi ha un carattere generoso e a chi si dona senza spese.
La realtà arriva a inglobare e sommergere, fino al rischio di annegare, letteralmente. Eppure, gradualmente emerge una sensazione sgradevole. Può essere necessario molto tempo prima che arrivi allo scoperto perché fa sentire degli ingrati, invece sarà il campanello d’allarme in grado di accompagnare a un profondo cambiamento. Alla fine, pur con senso di colpa dovremo ammetterlo: la realtà non coincide con le nostre aspettative, con i nostri sogni. È la caduta degli ideali e a questa delusione si aggiunge la frustrazione, la sensazione di essere stupidi e non aver capito, la rabbia. Tutto questo fa parte dell’esaurimento che accompagna la stanchezza emotiva: conoscerla ti aiuterà a fermarti prima di scoppiare come una pentola a pressione.
Cambia sguardo
Spesso ciò che facciamo, il nostro lavoro e l’impegno che mettiamo nelle cose, non viene riconosciuto dagli altri, ma la verità è che noi per primi non riconosciamo in nostro valore. L’apatia subentra proprio quando ci sentiamo così stanchi e sfiduciati da non vedere altre possibilità. Invece, questo è il momento in cui agire e portare una rivoluzione nel quotidiano, prima di tutto nel nostro sguardo sulle cose. La stanchezza emotiva è quello stato di prostrazione emotiva in cui rischiamo di incorrere quando il carico di stress diventa troppo pesante. La sensazione di sentirsi in trappola o bloccati sono due elementi su cui soffermarsi. Ti senti in una situazione senza via d’uscita? Sappi che una soluzione è sempre possibile, ma il primo passo è saperlo… e fare uno switch, che nel gergo informatico agisce sull’indirizzamento e il traffico della rete. Invece di focalizzarti sul problema, inizia a guardare verso le soluzioni possibili. Che cosa puoi fare per migliorare le cose?
Puoi iniziare col farti qualche domanda. Per esempio, quanto chiedi aiuto agli altri? Saper delegare non è affatto scontato, anzi. Colpisce soprattutto le donne, abituate a fare tutto da sole: è la sindrome del controllo. È vero, te la sai cavare da sola, sbrighi ogni cosa in fretta e bene: probabilmente impiegheresti più tempo a spiegare al collega o ai figli come fare una certa cosa anziché farla tu te stessa, anche questo è vero. Però guarda questo fatto in un’altra prospettiva: essere insostituibile è terribilmente stancante. L’impegno investito nel formare qualcuno si rivaluta nel lungo periodo, perché significa rendere autonoma una persona… e liberare te.
Gli altri non fanno le cose come le faremmo noi, ma è proprio questo il punto: non sei tu. Accettare di delegare significa imparare ad allentare il controllo. Non esiste un unico modo per fare le cose: far pace con questa idea ti aiuterà ad affrontare il quotidiano con meno rigidità e toglierti un peso dal cuore. Di frequente il gesto che non ci concediamo con facilità è proprio quello di chiedere aiuto, al contrario accettare di (con)dividere le responsalità aiuta una migliore organizzazione, sia in famiglia sia sul lavoro.
“Mi piace usare il concetto di “saldo della banca energetica”. Proprio come un’auto che ha bisogno di benzina per funzionare, anche noi abbiamo bisogno di energia durante il giorno. Il self care ci permette di fare il pieno: ogni attività è un deposito nella nostra banca energetica. Se stentate a tenere il saldo in attivo, come farete ad affrontare gli imprevisti della vita” è con queste parole che Suzy Reading, personal trainer, insegnante yoga e psicologa, spiega il concetto di self care nel suo libro “Rivoluzione self care” (Gribaudo). L’autrice agiunge: “Un’altra immagine che amo usare è quella di “riempire la propria coppa”: risulta particolarmente utile quando ci sentiamo egoisti nel ritagliarci tempo per noi stessi. Non si può versare niente da una coppa vuota, quindi riempirla è l’unico modo che esiste per continuare a utilizzarla”.
Trova le tue attività “rifugio”
Che cosa ami fare quando hai bisogno di ricaricarti? Le tue attività “rifugio” rappresentano una sorgente di energia, uno spazio tutto tuo dove spogliarti dei ruoli e tornare a respirare liberamente, fare (o non-fare!) ciò che ti rende felice e porta allegria nella tua vita. Perché il segreto contro la stanchezza è proprio questo: tornare a occuparti dei tuoi bisogni profondi. Ecco 4 domande su cui riflettere per una nuova quotidianità.
Perchè vuoi quello che vuoi? – Avere degli obiettivi non basta: scava dentro di te e trova le tue motivazioni profonde. Sapere perché fai ciò che fai ti renderà più chiaro il vero percorso della tua vita, facendo emergere i valori e il senso che dai alle cose e alle relazioni
Quali sono (state) le tue passioni? – Se continui a coltivarle, se le hai dimenticate oppure hai smesso di chiedertelo: sappi che la passione e le passioni ci mettono fuoco, danno energia e sapore ai nostri giorni. Ma non si può bere da una fonte quando è secca. Curare le nostre passioni significa (ri)scoprire ciò che ci fa sentire vivi e inondare di energia ogni cosa della nostra esistenza
Quante volte dici “non ho tempo”? – Sappi che non si fa una certa cosa perché si ha tempo, al contrario si trova tempo per ciò che ci interessa. Quindi, la vera domanda è un’altra, ovvero… che cosa ti interessa veramente? Potresti scoprire che ci sono cose e persone che vedi solo per educazione o altre nobili ragioni che nulla hanno a che fare con l’autentico sentimento
Cos’è che ti fa ridere? – Quando ridiamo le spalle si rilassano, ogni muscolo danza e le contratture (finalmente) si sciolgono: tutto ciò che ci fa sorridere combatte la rigidità e allena a essere più elastici. Porta ispirazione nella giornata, esercita il senso di meraviglia, ridi di più: giorno dopo giorno sarà una piccola cura per affrontare anche le cose più ostiche e dure con spirito nuovo.