Dicono che per capire come si sente chi soffre di fibrosi cistica bisogna provare a respirare attraverso una cannuccia, a naso chiuso. Dopo pochi minuti realizzi che l’ossigeno non ti basta, il senso di fiacchezza ti assale, persino camminare diventa una fatica intollerabile. Non per tutti i pazienti e non sempre è così, certo, ma il test rende bene quali effetti drammatici può avere questa malattia che ti mangia il respiro. Tra le rare è la più diffusa in Europa e anche nel nostro Paese che conta circa 6.000 persone malate, e di queste solo il 20% è over 36, una su cinque.
Cos’è la fibrosi cistica
Quel 20%, però, è oggi un grande traguardo raggiunto grazie alla ricerca. Fino a 30 anni fa la fibrosi cistica era considerata una patologia pediatrica, diventare adulti non era contemplato, si moriva prima. La fibrosi è una malattia che colpisce diversi organi e anche per questo non ti lascia scampo. «È causata da una doppia mutazione genetica a carico del gene Cftr. Le mutazioni conosciute sono più di 2.000, e ciascuna è associata a una gravità e a caratteristiche differenti» spiega Nicoletta Pedemonte, dirigente sanitaria e biologa all’Istituto Gaslini di Genova oltre che vice direttrice scientifica della Fondazione ricerca fibrosi cistica. Ogni malato è un caso a sé o quasi, un paziente da seguire e da curare per tutta la vita, per preservare il suo organismo così fragile il più a lungo possibile.
Cos’è il Cftr
«Il Cftr» continua la biologa «è il gene che codifica una proteina importante per mantenere l’idratazione delle vie aeree, fa sì che tutto quello che viene inalato venga espulso insieme al muco. A causa di questo “difetto”, però, il meccanismo di difesa viene a mancare, si crea una diminuzione del liquido che copre le stesse vie aeree, e di qui un ristagno dei batteri, che causano infezioni croniche e infiammazioni». Chi ne soffre impara molto presto che deve costantemente “pulire” polmoni e bronchi, pena il non riuscire più a respirare. E sa anche che spesso questo non basta perché ci sono infezioni che possono colonizzare e danneggiare quei polmoni e bronchi così delicati. E poi c’è il problema degli altri organi, quelli che sempre per colpa della mutazione genetica subiscono danni importanti, specie il pancreas, altro bersaglio della malattia. Sono tanti i pazienti che alla fine si ritrovano a convivere con uno stato di malnutrizione o con una diagnosi di diabete.
Fibrosi cistica: i farmaci modulatori
«La ricerca ha fatto negli ultimi 30 anni balzi in avanti, e la massa critica di conoscenze accumulate ci consente di andare a una velocità sempre maggiore» mi spiega la dottoressa Nicoletta Pedemonte con un’ombra di soddisfazione ma anche di urgenza nella voce. «Oggi abbiamo farmaci modulatori che migliorano alla base la funzione della proteina Cftr. Sono molecole di ultima generazione che intervengono sul “guasto”, non possono riparare i danni già causati agli organi, ma sicuramente rallentare o mettere uno stop al decorso della malattia». Come dire, se riesci a fermarla il prima possibile e con i farmaci giusti questa mutazione genetica diventa meno pericolosa. Anche per questo oggi su ogni nascituro viene fatto lo screening. Non tutti i pazienti, però, hanno già la fortuna di una terapia su misura: solo per alcune mutazioni sono stati messi a punto farmaci ad hoc.
I malati e le cure
Il 30% dei malati è ancora senza cure. È un lavoro continuo quello dei ricercatori, una lotta contro il tempo, perché si è visto che le molecole già approvate potrebbero rivelarsi efficaci anche su pazienti con mutazioni diverse, mentre per altri c’è bisogno di sviluppare nuovi principi attivi. Serve testare, sperimentare, capire. E serve farlo in fretta. «Al punto in cui siamo, possiamo avere risultati in tempi accettabili, cambiando l’esistenza di molti malati e la raccolta fondi diventa veramente strategica» continua la dottoressa Pedemonte parlando del lavoro messo in pista dalla Fondazione.I numeri sono importanti: più di 36 milioni di euro spesi in 454 progetti di ricerca. Ma ancora c’è molto da fare, e che si può fare subito. Curarsi con queste nuove molecole sin da bambini significa infatti non dare il tempo alla malattia di danneggiare irreversibilmente l’organismo.
Le aspettative di vita
«Oggi l’aspettativa di vita media di chi ha la fibrosi cistica è di 40 anni, ma chi è nato anche solo dieci anni fa, e ha cominciato le terapie in età pediatrica, può già sperare di vivere più a lungo, anche se ha mutazioni gravi». Certo non è facile convivere con una patologia così invalidante. «Nella maggior parte dei casi viene diagnosticata con lo screening neonatale o comunque quando dà le sue prime manifestazioni, come bronchiti ricorrenti, problemi intestinali. E da quel momento in poi si crea il bisogno di assistere il malato ma anche tutte le persone che gli vogliono bene perché noi specialisti vediamo quanto questa diagnosi sa stravolgere l’esistenza di una famiglia» spiega Carlo Castellani, direttore del Centro di fibrosi cistica del Gaslini di Genova e presidente della Fondazione. «Per i genitori la cosa più difficile è accettare una malattia che può degenerare da un momento all’altro, ma anche imparare a scandire le giornata sugli orari delle terapie, che sono lunghe e impegnative, e che il bambino dovrà seguire per tutta la vita».
La quotidianità di un malato di fibrosi cistica
Nella giornata di un malato le cure occupano anche più di 4 ore al giorno, deve imparare a fare la fisioterapia respiratoria, ci sono gli aerosol, gli enzimi da assumere per assorbire i grassi, in alcuni casi le somministrazioni di insulina per il diabete. E ci sono i limiti che la malattia impone nella vita dei bambini e dei ragazzi. La stessa Rachele Somaschini ha raccontato a Donna Moderna quanto sia stato complicato il passaggio dell’adolescenza quando la discoteca le veniva negata – troppi germi potenzialmente pericolosi e concentrati in uno spazio chiuso – e anche una trasgressione le costava a volte settimane a letto. «Non sempre tutto va liscio e ci sono gli intoppi da gestire» conclude il dottor Castellani. «Ma oggi quando sono di fronte a una famiglia che deve affrontare la malattia cerco di spingerla a guardare con ottimismo al futuro, una cosa che anche solo qualche anno fa era impensabile».
Check up per i portatori sani
Ogni 30 persone c’è un portatore sano di fibrosi cistica: significa che ha nel proprio corredo genetico la presenza di un gene Cftr mutato. Non ha sintomi, ma se incontra un altro portatore sano la coppia ha una probabilità su quattro di avere un figlio malato. Oggi esiste un test genetico da fare, che è gratuito solo per i parenti di persone con fibrosi cistica., Il costo dell’esame parte da 250 euro. Su tutti, i neonati invece si esegue uno screening genetico gratuito che individua i bambini con fibrosi.
In terapia con équipe specializzate
Oggi in Italia in ogni Regione ci sono strutture specializzate per la cura della fibrosi cistica. «Sono centri multidisciplinari, dove non c’è solo il medico specialista, ma un pool di esperti, che aiutano il malato e la sua famiglia. Nei più strutturati c’è almeno uno psicologo, indispensabile al momento della diagnosi. E poi fisioterapisti respiratori, dietisti e assistenti sociali per le pratiche legate all’invalidità e ad altri tipi di supporti» spiega Castellani. È qui il primo canale a cui rivolgersi. «Importanti sono anche le associazioni di famiglie come la Lega pazienti fibrosi cistica (fibrosicistica.it), che hanno una psicologa e spesso organizzano piccoli gruppi di incontro».