Boomers, millennials, persino senior: chi di noi si colloca in un’età fra i 40 e i 60 anni viene spesso catalogato in “ere” sociali. Di fatto, in un Paese fra i più vecchi d’Europa e del mondo, molti appartengono alla generazione sandwich, quella schiacciata “fra due fette di pane”, da una parte gli impegni con i figli, dall’altra quelli con i genitori anziani: i primi ancora troppo giovani per spiccare il volo, i secondi bisognosi, col tempo che passa, di sempre più attenzioni.
Depressione e demenza: i primi segnali
Parole di Antonella Brugola e Claudia Campisi, autrici di Genitori anziani, che fare? Una guida per figli adulti e (im)preparati. Antonella è stata anche lei una “donna sandwich” per anni e ha una lunga esperienza nel campo delle malattie delle persone di una certa età, mentre Claudia è psicologa e HR consultant specializzata nella comunicazione etica della psicologia sul web.
Nella loro guida ci spiegano quali sono i comportamenti da tenere d’occhio per salvaguardare la salute fisica e psichica dei parenti over 70, ma anche come intervenire e aiutarli concretamente nei vari casi. I problemi più impattanti sulla vita di queste persone e delle loro famiglie sono due, per frequenza e gravità anche gestionale: la depressione e le demenze come l’Alzheimer. L’obiettivo principale è sempre lo stesso: prima ci si accorge della situazione, prima si potrà agire al meglio, bloccando o rallentando l’evoluzione dei disturbi.
Demenza, l’importanza di ascoltare
«L’ascolto attento e costante è fondamentale per cogliere sul nascere i possibili cambiamenti nei comportamenti di mamma e papà, possibili spie di depressione o Alzheimer» spiega Claudia Campisi. «Questi, il più delle volte, avvengono in modo graduale e non immediatamente percepibile se non si pone la massima attenzione, anche perché non sempre i genitori sono collaborativi, anzi, molti tendono a nascondere. Sono tendenzialmente reticenti perché fanno fatica a non essere più genitori al 100%, e non chiedono aiuto perché non vogliono essere un peso. Soffrono di sensi di colpa e non accettano certi “effetti collaterali” della vecchiaia, come le cadute, una vera e propria fobia per molti anziani, che certe volte scopriamo non perché ce ne parlano ma perché notiamo un livido».
Come mettere in pratica queste attenzioni? Condividendo dei momenti specifici delle loro giornate o spezzando la routine che le contraddistingue: «A loro fa piacere avere degli appuntamenti fissi come un pranzo o una cena settimanali, ma anche delle visite a sorpresa, che serviranno a “investigare” meglio se tutto va bene. Anche in videochiamata se abitiamo lontani e non è sempre possibile essere presenti» spiega la psicologa. «Facciamo poi domande sempre aperte (anche semplici, come che programmi vedono in tv) in modo da farci raccontare la loro giornata, ma non completiamo mai le frasi al loro posto se vediamo che sono incerti. Infine, in questi frangenti, devono sentire che, per noi, loro sono interessanti non per quello che sono stati, ma per quello che sono adesso».
Demenza: occhio ai segnali della depressione
Anche chi non ha mai avuto problemi psicologici può iniziare a soffrire di un disturbo del tono dell’umore o d’ansia: il rischio maggiore è la depressione dalla quale, se non si riesce a prevenire (è il nostro obiettivo primario), si esce solo con i farmaci e una psicoterapia specifica. «Molti di noi sono molto attenti a quanto mangiano i genitori e se tendono a dimagrire o ingrassare: è importante certo, ma lo sono altrettanto i loro cambiamenti di umore, i primi segnali sui quali agire» sottolinea Campisi. «La cura dell’immagine è una delle cartine di tornasole più preziose. Vanno ancora dal barbiere e dal parrucchiere? Possiamo andarci insieme, no? E poi, curano il loro aspetto in generale? L’igiene è sufficiente o sono diventati trasandati? Infine, dormono bene?
I cambiamenti dell’umore spia della depressione
L’insonnia non è mai un segnale positivo per lo stato dell’umore, così come un eccessivo bisogno di stare a letto più a lungo o più volte al giorno». Anche la perdita di interesse nelle cose che una volta erano gli hobby preferiti è un primo campanello d’allarme. «La tristezza e la tendenza a isolarsi sono fattori da non sottovalutare. Per esempio, se il genitore anziano si rinchiude in casa perché si sente sicuro solo lì, anche se fuori c’è il sole e una volta faceva lunghe passeggiate. In questi casi è bene fare una prima visita neuropsicologica» commenta la professoressa Federica Alemanno, primario del Servizio di Neuropsicologia del Dipartimento di Riabilitazione e Recupero Funzionale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele a Milano e docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, a Milano. «Accorgersi dei cambiamenti del tono dell’umore consentirà di decifrarli subito e gestirli al meglio con un supporto specialistico, oggi possibile anche con collegamenti di telemedicina periodici, molto apprezzati dai più anziani perché comodi e rassicuranti come presenza frequente e qualificata».
Anche la vista può rivelare la demenza
Ancora una volta occhi aperti! «Perché i genitori tendono a minimizzare i malesseri o non li riconoscono, oppure a volte li percepiscono ma non riescono a definirli» spiega la professoressa Alemanno.
«La prima cosa da fare insieme per verificare se ci sono i primi possibili segnali di una demenza è accompagnarli fuori casa dove si potranno notare di più gli eventuali problemi di orientamento spaziale, come il non riuscire a trovare la strada della posta o del supermercato vicini a casa (facciamoci guidare da loro). Infatti, in questi casi, la persona ha problemi a fare le cose che faceva prima, persino le più semplici».
Verificare le difficoltà di orientamento
La difficoltà a leggere deve essere oggetto poi di particolari attenzioni, anche se ci dicono “sono gli occhiali”: una visita oculistica ci dirà se è davvero così o se c’è un problema di comprensione delle parole, tipico di certe demenze iniziali. Importante poi notare se non trovano le cose nel posto in cui solitamente le ripongono e dicono che qualcuno le ha spostate.
«Insieme ai problemi di orientamento, sono i disturbi di memoria e di linguaggio a costituire i campanelli d’allarme che ci devono portare a una prima visita specialistica per vedere se c’è un disturbo cognitivo» spiega Federica Alemanno. «La diagnosi precoce ha come obiettivo quello di rallentare la progressione della malattia, ripristinare un tono dell’umore adeguato e stimolare il cervello a reagire al decadimento. A volte serve anche togliere interferenti come le cure farmacologiche inappropriate, magari datate nel tempo o mal gestite, ormai inefficaci o, peggio, dannose per i processi mnesici, tra i primi che “saltano” in questi casi. Si interviene poi con la riabilitazione neuropsicologica cognitiva, una sorta di ginnastica della memoria che si fa con neuropsicologi esperti, certificati».
Scoprire una demenza nei propri genitori è un’esperienza dolorosa, carica di responsabilità ed emozioni forti. «Ma non bisogna arrendersi, abbattersi o, peggio, non voler vedere il problema, sottostimarlo» conclude Claudia Campisi. «In questo caso occorre fare rete e non isolarsi, anche come caregiver: un valido supporto e conforto può arrivare dalle associazioni di volontariato ormai capillari sul territorio. È lì che si incontrano altri familiari impegnati nella cura dei malati, per confrontarsi e aiutarsi».