Prima il caso di un uomo di 71 anni, ricoverato con sintomi – poi confermati – di colera. Poi il timore di essere in presenza di un’epidemia della malattia, che in Italia non si vedeva da 50 anni. La situazione ora è sotto controllo, ma l’idea che la patologia, che colpisce con sintomi gastrointestinali, possa tornare allarma. Ecco come si manifesta, come si interviene e a cosa prestare attenzione, con i consigli di Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova.
Il caso in Sardegna
Dopo una settimana di ricovero, sta bene il pensionato di Arbus, piccolo centro nel sudovest della Sardegna, che i primi di luglio era stato trasportato nel reparto Infettivi dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari con una diagnosi di colera, una malattia che in Italia e, in particolare, in Sardegna, non si vedeva da 50 anni. Era il 1973, infatti, quando si registrarono 4 vittime a causa di questa patologia.
Cos’è il colera
Oggi la malattia è considerata endemica in alcuni Paesi, soprattutto nel sud-est asiatico come l’India. Proprio nell’Asia meridionale ha avuto origine la settima pandemia, iniziata nel 1961 e che nel 1991 ha raggiunto gli Usa dopo essersi diffusa anche in Africa. «È una patologia batterica causata da un batterio chiamato Vibrio cholerae, un vibrione, un micro organismo che assomiglia come forma a un’anguilla, che causa una gravissima gastroenterite. Questo perché può portare fino a 50 scariche di diarrea al giorno», spiega Bassetti.
Come si riconosce la malattia
La diarrea, ma senza febbre, è il sintomo principale, a cui si possono accompagnare anche nausea e dolori alle gambe. Il batterio che causa il colera «si trasmette soprattutto per via oro-fecale, quindi è più raro che si trasmetta in via diretta da persona a persona, mentre è più comune che il passaggio avvenga per via indiretta: eliminando il batterio tramite le feci, c’è il rischio che qualcuno si contagi tramite il contatto con superfici o acqua contaminata, oppure mangiando frutti di mare, o ancora tramite feci o alimenti contaminati», spiega l’infettivologo. L’incubazione è solitamente molto breve, di 2/3 giorni. Grazie all’analisi di un campione di feci è poi possibile avere conferma della presenza del vibrione del colera. In caso si sospetti un’epidemia o possibilità di rischio di una diffusione, l’Istituto superiore di Sanità a Roma monitora la situazione, individuando il sottogruppo di appartenenza del batterio, come sta avvenendo ora.
Come si cura il colera
Il trattamento del colera prevede solitamente una terapia reidratante, per compensare la grande perdita di liquidi che la diarrea porta con sé. «Non c’è, invece, una terapia antibiotica raccomandata in modo specifico, anche se nei casi più gravi si possono utilizzare dei disinfettanti intestinali, antibiotici come le tetracicline. Ma occorre prestare attenzione al potenziale rischio di antibiotico-resistenza», chiarisce l’esperto. «Fortunatamente nei Paesi evoluti come l’Italia è una malattia che ha mortalità molto bassa, quindi non comporta dei rischi seri, se si interviene in modo appropriato e per tempo – aggiunge Bassetti – Occorre, però, prestare attenzione, specie d’estate, a ciò che si mangia e alle condizioni di igiene».
I cibi a rischio colera
Acqua infetta o alimenti che contengono il batterio responsabile del colera, quindi, sono il principale veicolo di trasmissione della malattia, in particolare i frutti di mare. «Il pesce che arriva sulle nostre tavole di casa o nei ristoranti dovrebbe essere certificato e garantito dai veterinari per quanto riguarda ogni tipo di microorganismo, dai veterinari preposti ai controlli, quindi problemi non dovrebbero essercene. Ma questo non esclude del tutto i rischi, specie perché è aumentata l’offerta di pesce crudo anche nei locali, perché “di moda”. È evidente che questo cibo, se non adeguatamente controllato e preparato, pone dei rischi importanti, non solo per il colera, ma anche per salmonella, stafilococco, escherichia-coli, anisakis, epatite A. Attenzione, infine, anche quando si mangia il pesce pescato in modo autonomo, senza farlo controllare», spiega Bassetti. Sintomi e diagnosi del colera.
Le condizioni igienico-sanitarie e i cambiamenti climatici
Un fattore altro di rischio importante è rappresentato anche dalle condizioni igienico-sanitarie. Il batterio che causa l’infezione (soprattutto i sierogruppi del Vibrio cholerae 01 e il Vibrio cholerae 0139) si trova in un habitat naturale nelle acque salmastre presenti negli estuari, spesso ricchi di alghe e plancton. Secondo alcuni studi recenti i cambiamenti climatici potrebbero incrementarne la diffusione: «Va fatta una premessa: nel caso della Sardegna, ad esempio, occorrerà capire se il pensionato si sia contagiato bevendo da un pozzo in cui c’era acqua infetta, oppure per cause attribuibili al sistema di potabilizzazione delle acque o il cibo consumato. Quello che mi sento di dire è che non si tratta di un’emergenza, ma di un campanello d’allarme: va fatta attenzione alla gestione igienico-sanitaria, a maggior ragione con cambiamenti climatici in corso, che possono spingere, per esempio in caso di siccità, ad attingere maggiormente proprio da pozzi potenzialmente infetti», conclude Bassetti.
I rischi in Italia
«Il servizio Igiene pubblica della Asl di Sanluri, che ha competenza sulla zona di Arbus dove vive il paziente, sta facendo controlli a tappeto”, ha spiegato Goffredo Angioni, direttore del reparto Malattie infettive presso la Asl di Cagliari, dove è in cura il pensionato 71enne. Nel suo caso, il possibile veicolo di infezione è stato il consumo di frutti di mare: «Inizialmente ha fatto capire di aver mangiato cozze crude, ma non c’è la certezza che lo fossero. Nelle campagne di Arbus quest’uomo cura un orto e lì si stanno analizzando le verdure, l’acqua del pozzo e la rete fognaria. Si valuta anche se abbia avuto contatti con persone che arrivano da Paesi dove il colera è una realtà: nulla resterà intentato», ha spiegato ancora Angioni.