Da tempo gli infettivologi lanciano appelli per ridurre il consumo (e la prescrizione da parte dei medici) di antibiotici per evitare così l’antibiotico resistenza. Secondo alcune stime, infatti, entro il 2050 potrebbe causare fino a 10 milioni di vittime all’anno. Ma da uno studio appena pubblicato arrivano buone notizie: i test su una nuova classe di antibiotici sono incoraggianti e mostrano come sarebbe efficace contro il temutissimo Acinetobacter baumannii.

La lotta contro il super batterio killer

Si tratta di un batterio molto potente, in grado di causare polmoniti anche gravi, contro il quale gli antibiotici esistenti si sono finora rivelati poco efficaci. Stando a uno studio, appena pubblicato sulla rivista specializzata Nature, grazie al principio attivo Zosurabalpin si potrebbe disporre a breve di una classe di farmaci in grado di contrastarlo. A studiare i nuovi antibiotici è la casa farmaceutica Roche, che ha portato avanti la ricerca su un campione di topi in laboratorio. «Ogni nuova classe di antibiotici in grado di trattare infezioni causate da batteri multiresistenti come l’Acinetobacter baumannii resistente ai carbapenemi rappresenterebbe un successo importante», ha affermato il co-autore dello studio, Michael Lobritz.

Un antibiotico per fragili e immunodepressi

Il principio attivo alla base della nuova classe di antibiotici sarebbe dunque in grado di superare l’antibiotico resistenza dimostrata anche dall’Acinetobacter baumannii, particolarmente temuto dai pazienti fragili. «I più a rischio sono i soggetti immunodepressi, quelli spesso ricoverati nelle terapie intensive. Il batterio fa parte della famiglia dei cosiddetti “gram-negativi”, molto resistenti grazie a una membrana esterna che li protegge dall’azione di diversi antibiotici. Il principio con cui agisce sarebbe in grado di bloccare la creazione di quel loro scudo esterno», spiega il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’IRCCS Galeazzi-Sant’Ambrogio e Direttore della Scuola di specializzazione di igiene e medicina preventiva dell’Università degli Studi di Milano.

Il primo antibiotico dopo 50 anni

Oltre alla potenziale efficacia, dimostrata con due studi pubblicati entrambi sulla rivista Nature e condotti da team dell’Università di Harvard e della casa farmaceutica svizzera F. Hoffmann-La Roche, a infondere ottimismo è il fatto che si tratterebbe del primo nuovo antibiotico dopo 50 anni. Per questo Andrew Edwards, docente senior di microbiologia molecolare presso l’Imperial College di Londra, sul Guardian parla di «fiducia nel fatto che gli approcci utilizzati per trovare nuovi antibiotici possano dare i loro frutti». «L’aspetto positivo di questo primo esito degli studi condotti in laboratorio è proprio il fatto che si tratterebbe del primo principio attivo nuovo da anni, con un meccanismo d’azione mirato contro questo temutissimo super batterio killer», conferma Pregliasco.

Un’arma specifica contro la nuova pandemia da antibiotico-resistenza

«Finalmente qualcosa si muove, insomma, nel panorama degli antibiotici dove da anni non c’erano novità. Certo è presto per poter cantare vittoria, perché si tratta di risultati incoraggianti, ma ancora limitati alla sperimentazione su topi in laboratorio. Ora occorrerà attendere anche le fasi cliniche sull’uomo e ci vorranno anni. Il Covid ha sicuramente impresso un’accelerazione nella ricerca, ma rimangono tempistiche lunghe prima dell’approvazione di un nuovo farmaco, in efficacia e sicurezza», osserva il virologo, autore del libro I superbatteri. Una minaccia da combattere, in cui parla della “pandemia silente da antibiotico-resistenza“. Da questo punto di vista, però, un aiuto potrebbe arrivare dall’intelligenza artificiale.

L’AI per mettere a punto nuovi farmaci

Pensando all’immediato futuro, proprio l’AI si è già dimostrata uno strumento prezioso. La scorsa primavera, infatti, un team di ricerca coordinato dalla McMaster University e dal Massachusetts Institute of Technology, aveva utilizzato un algoritmo dell’intelligenza artificiale per identificare una nuova molecola (tra circa 7mila potenziali composti) proprio contro il batterio baumannii. Come dichiarato a Nature Chemical Biology dall’autore dello studio, Jonathan Stokes, «possiamo cercare più rapidamente e aumentare significativamente le possibilità di scoprire molecole antibatteriche fondamentalmente nuove». «Il vantaggio dell’AI sta proprio nel fatto che permette di individuare più velocemente i luoghi “da colpire” per fermare la produzione di batteri» conferma Pregliasco.