Ipotiroidismo: la storia
«Mi dicevano che era una questione di ansia, a volte mi guardavano come se fossi pazza. Soltanto quando sono rimasta incinta è arrivata una diagnosi definitiva e io ho ricominciato a far pace con il mondo. Ora mi sento un’altra, una donna nuova». Giada Porro, 47enne ligure, si abbraccia la figlia Asia anche se ormai questa ragazzina è quasi più grande della mamma. Ma la sua nascita ha davvero cambiato le cose. E non si tratta delle solite frasi di circostanza. «Poco dopo il test di gravidanza positivo, nel 2007, i medici hanno finalmente scoperto i miei problemi alla tiroide. Soffro di ipotiroidismo per colpa di una malattia autoimmune, ma ci sono voluti anni per capirlo».
Ipotiroidismo, disturbo molto diffuso
Giada mostra la montagna di fogli, cartelle, esami. Conserva tutto, come monito a non darsi mai per vinta e a prendersi cura della propria salute. «Mi sono sentita persa tra medici e ospedali poco umani» confessa.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità e la società di ricerche Doxa, sono oltre sei milioni gli italiani che hanno un problema alla tiroide e quasi tre, ovvero il 5% della popolazione, soffrono proprio di ipotiroidismo. Anche se i sintomi e la poca attenzione verso questa ghiandola non sempre rendono semplice la diagnosi. «I primi disturbi sono comparsi mentre stavo preparando la tesi in Economia e commercio: ero sempre fiacca, mi dimenticavo le cose e davo la colpa allo stress del momento».
Ipotiroidismo: i sintomi
Il tempo passa, ma non i problemi, così Giada si rivolge al medico di base che le prescrive gli esami del sangue. «Senza il dosaggio degli ormoni però» precisa Giada. «Quindi non è emerso nulla di strano. Mi ha consigliato degli integratori per combattere la stanchezza. Poi sono arrivati anche altri campanelli d’allarme, come l’aumento di peso e il freddo perenne. Ma anche qui ho percorso la strada sbagliata, dilungandomi tra psicologi ed esami inutili. Alla fine, io ero l’eterna insoddisfatta, quello che aveva sempre mille acciacchi e anche gli amici mi etichettavano così. Ho finito per crederci anche io. Mi sono rifugiata tra le braccia di quello che poi è diventato mio marito, l’unico che credeva ai miei sintomi».
Cos’è l’ipotiroidismo
Proprio questi, all’inizio possono essere sfumati e mal interpretati. «In 7 casi su 10 i disturbi alla tiroide riguardano l’universo femminile» spiega Anna Maria Colao, Professoressa di Endocrinologia e Malattie del sistema metabolico all’Università Federico II di Napoli e Presidente della Società Italiana di Endocrinologia. «Le donne sono attente a salute e prevenzione ma spesso sottovalutano l’importanza di questa ghiandola». Invece, questa piccola “farfalla” (le assomiglia come forma) che si trova alla base del collo produce degli ormoni preziosi per il metabolismo, l’apparato circolatorio e quello muscolare, la crescita delle ossa e l’umore. «Se non lavora bene, o lo fa più lentamente, abbiamo a che fare con l’ipotiroidismo. Non si tratta di una patologia che esplode all’improvviso, ma di qualcosa che progredisce pian piano, e viene spesso confuso con altro. Le cause? Può essere una carenza di iodio, che si risolve integrando questo elemento, oppure una malattia autoimmune».
Ipotiroidismo e fertilità
E, spesso, la gravidanza fa da spartiacque, da stress test per la malattia. «Rimanere incinta non è stato una passeggiata, io e mio marito ci abbiamo provato a lungo e così quando ho saputo che sarei diventata mamma ho scelto la miglior ginecologa della città» ricorda Giada. «Alla prima visita le ho confessato i miei disturbi e lei mi ha subito consigliato di fare il dosaggio del Tsh, l’ormone che valuta la funzionalità della tiroide, e di prenotare una visita dall’endocrinologo. In poche settimane questa specialista poi mi ha diagnosticato la tiroidite di Hashimoto, una patologia autoimmune. È come se il mio sistema immunitario aggredisse la ghiandola. Ci credete che saperlo è stata una liberazione? Ho iniziato a capirci qualcosa e, soprattutto, a curarmi». Ovvero a prendere gli ormoni sostitutivi, che sopperiscono le carenze.
Diagnosi e terapia
Diagnosi e terapia sono infatti fondamentali quando si è alle prese con un bebè. «L’ipotiroidismo può mettere a rischio la gravidanza. Non solo: nei primi tre mesi è la mamma a dare al feto iodio e ormoni che gli permettono di svilupparsi, quindi la ghiandola deve fare un superlavoro e se si soffre di ipotiroidismo bisogna aumentare la dose del farmaco» specifica il Prof. Alfredo Pontecorvi, Direttore di Endocrinologia e Diabetologia al Policlinico Gemelli di Roma. «Quando ginecologo ed endocrinologo lavorano in team i 9 mesi si vivono in tranquillità, basta controllarsi e prendersi cura del proprio benessere». Giada lo ha fatto e da allora non ha più smesso. «Le gocce del mattino sono una routine, ormai non ci faccio neanche più caso.
Il peso è sotto controllo, così come la stanchezza o la memoria. Sono più serena tanto che quattro anni fa ho lasciato il posto fisso per realizzare il sogno di sempre: aprire un negozio di antiquariato. Mi tengo monitorata perché in futuro, per esempio, potrebbe essere necessario rivedere le dosi del farmaco. Adesso poi arriverà un periodo da “bollino rosso”».
Tiroide e menopausa
La menopausa è infatti un altro momento clou. Per molte donne, l’ipotiroidismo si manifesta proprio in questa fase della vita. «Le pazienti di solito confondono i sintomi che sono molto simili: bilancia ballerina, gonfiore a viso, occhi e mani, soprattutto al risveglio, magari la stitichezza o la pelle secca» nota la Professoressa Colao. «Anche in questo caso, bisogna farsi seguire dallo specialista che imposta la terapia ormonale». Ma Giada non ha paura di affrontare questo passaggio. «Ormai so che la tiroide è il mio tallone d’Achille, quindi mi curo senza troppa agitazione. Periodicamente, faccio anche un’ecografia per vedere se la tiroide si ingrossa o se ci sono situazioni anomale». A dare problemi, infatti, possono essere anche i noduli, ovvero masse benigne o maligne che si sviluppano intorno alla ghiandola, bloccandone la funzionalità. «Un tempo si asportava tutta la tiroide, oggi si fa un intervento conservativo, che permette di salvarne la metà» dice il Prof. Celestino Pio Lombardi, Direttore del Dipartimento di Chirurgia endocrina al Policlinico Gemelli di Roma. «Si procede con la chirurgia mininvasiva: si fa un piccolo taglietto all’altezza del collo, si entra con una minuscola telecamera e si opera. In Italia siamo leader mondiali in questa tecnica: è un’operazione precisa ed efficace, è quasi indolore e lascia una cicatrice di poco più di un centimetro. La ripresa è veloce. Se il nodulo è maligno si valuta anche la terapia radiometabolica, una radioterapia particolare. In Italia si contano tra i 10.000 e i 15.000 interventi all’anno, ma la guarigione è totale se i noduli vengono presi in tempo». Ed è per questo che Giada ha deciso di raccontarsi, di regalare la sua storia perché possa essere d’aiuto a qualcuno. «Ho perso anni di salute e tranquillità, voi non fatelo e ricordatevi sempre che questa piccola ghiandola, questa specie di farfalla, è molto importante per il nostro equilibrio»