L’atrofia muscolare spinale (SMA) entra a far parte delle malattie per le quali sono previsti gli screening neonatali. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha infatti firmato il decreto che prevede l’estensione dei test anche per questa patologia, aggiornando la lista delle malattie rare per le quali questi esami possono rappresentare un vero salvavita. Riguardano centinaia di bambini che soffrono di questa patologia rara degenerativa, che colpisce soprattutto gli arti inferiori e i muscoli respiratori, rendendo progressivamente difficile (e poi impossibile) camminare e respirare.

Arrivano gli screening per la SMA

«I bambini che nasceranno con questa malattia rara saranno curati perché avranno diagnosi tempestive», ha commentato su X la senatrice Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia Viva e promotrice di una petizione che chiedeva proprio l’estensione delle liste, insieme a Maria Elena Boschi e Lisa Noja. Quest’ultima, avvocata, già parlamentare e ora Consigliera in Regione Lombardia, concorda nel sottolineare l’importanza del provvedimento: «Alcune Regioni si sono mosse singolarmente per garantire l’accesso a questi esami. Oggi, finalmente, abbiamo compiuto un ulteriore passo avanti, ma non c’è più tempo da perdere. Questo diritto alla diagnosi e alle cure migliori deve essere alla portata di tutti i bambini».

Dalle Regioni virtuose a tutto il territorio nazionale

Gli screening neonatali, che esistono già per altre patologie, sono obbligatori dal 2016, quando la legge 167 li ha inseriti nei livelli essenziali di assistenza (LEA). L’atrofia muscolare spinale, però, non era inclusa nonostante nel 2021 il gruppo di lavoro apposito avesse dato parere positivo all’introduzione anche di questa patologia tra quelle per le quali fossero previsti i test. Alcune Regioni, però, si sono mosse autonomamente. È il caso della Lombardia che dal 15 settembre 2023 ha introdotto anche la SMA.

Gli screening neonatali per le malattie rare salvano la vita

«A migliorare è la scienza, perché col tempo aumentano sia i test diagnostici che le terapie a disposizione per curare o almeno migliorare la qualità della vita dei malati di queste patologie rare» sottolineava Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore dell’Osservatorio Malattie Rare (OMaR), prima dell’estensione delle liste alla SMA. «Questi test spesso permettono di evitare disabilità gravissime o di dover seguire terapie molto pesanti sia da bambini che da adulti, o di vivere potendo camminare o senza respiratore artificiale», aggiungeva Ciancaleoni. «Nel 2020 sono stati identificati grazie allo Screening neonatale ben 426 neonati, uno ogni 1.250 nati (Rapporto SIMMESN), bambini a cui è stato possibile assicurare precocemente terapie e diete che hanno cambiato radicalmente il decorso della patologia e la qualità della loro vita» confermava Manuela Vaccarotto, Vicepresidente AISMME, Associazione Italiana Malattie Metaboliche Ereditarie.

Come si fanno i test per le malattie rare

I requisiti per effettuare uno screening sono tre: che la patologia sia molto grave, invalidante o possa mettere in pericolo di vita; che ci sia una sia terapia efficace che possa migliorare la qualità della vita del malato; che ci sia un test affidabile per individuare la patologia in fase precoce e che rappresenti a sua volta una fonte di pericolo. «Se ci sono questi requisiti, allora si può procedere e la modalità è spesso semplicissima: basta effettuare un prelievo di sangue dal tallone nel neonato entro le prime 72 ore di vita. Bastano pochi giorni per avere il responso, che arriva quando il bambino è ancora in ospedale o è appena tornato a casa – spiega la Direttrice di OMaR – A quel punto è sufficiente effettuare un secondo test di conferma e, se si individua la malattia, il neonato viene messo in sicurezza avviando un percorso specifico a seconda della patologia».

Per quali patologie

Fino ad oggi erano almeno 7 le patologie che avevano già i requisiti per essere inserite nell’elenco: oltre alla SMA ci soni, infatti, la sindrome adrenogenitale, la mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I), la Fabry, la Gaucher, la Pompe e le immunodeficienze congenite. «Prevedere gli screening per queste patologie consentirebbe interventi precoci. Ci sono Regioni che hanno deciso di inserire alcune di queste patologie in modo autonomo negli screening: è il caso di Toscana, Lazio e Puglia, ma partiranno a breve anche la Liguria, il Piemonte e la Campania. Ad esempio, in alcuni casi dopo gli screening può aiutare anche solo una prima somministrazione iniziale di vitamine, decisa ovviamente in modo specifico a seconda dei casi. Le terapie sono poi differenti a seconda della malattia: per quelle metaboliche in genere si procede con interventi dietetici, a base di supplementazioni o privazioni di alcuni alimenti; per quelle enzimatiche, cioè causate dal fatto che l’organismo non produce alcuni enzimi, si seguono cure anche per tutta la vita per sopperire a questa mancanza. Per le immunodeficienze, invece, si possono prevedere terapie geniche o trapianti, a volte anche in combinazione, ma la valutazione viene effettuata di volta in volta, tenendo conto dell’età e della specificità». Il fattore tempo, però, è fondamentale sempre.

I fondi vanno spesi meglio

Un altro nodo riguarda poi i fondi a disposizione per gli screening, che comunque sono stati confermati. «Ora bisogna essere rapidissimi nella calendarizzazione del provvedimento nelle commissioni parlamentari competenti per i pareri. Non serve richiedere ulteriori fondi, che sono già stanziati. E non c’è necessità di altri approfondimenti, visto che diverse Regioni, tra cui la Lombardia, hanno già avviato progetti pilota che funzionano benissimo. Quindi, non c’è nulla da inventare. Anzi, auspico che questo passaggio sia velocissimo. Il Ministro ha parlato di una norma operativa a inizio aprile: io spero che sia realtà anche prima e ci impegneremo in modo che sia così», ha concludo Noja.