Le immagini del cibo risvegliano un desiderio irresistibile di mangiare o almeno questo accade nelle persone obese. A dimostrarlo è uno studio italiano, condotto da un team dell’Università Bicocca di Milano, che per la prima volta ha mostrato cosa accade nel cervello di chi soffre di obesità, alla vista del cibo.
Le immagini del cibo e il senso di fame
Di fatto i ricercatori italiani hanno voluto indagare cosa accade a livello cerebrale in una persona obesa, quando vede il cibo. Si è scoperto che la visione di immagini di alimenti «crea un eccessivo desiderio per il cibo», spiegano i ricercatori. Questo perché si crea una connessione maggiore tra le aree cerebrali “del desiderio” e alcune regioni che invece sono deputate al controllo.
Lo studio: cosa accade nel cervello delle persone obese
A condurre lo studio, già pubblicato online su The Obesity Society e da settembre disponibile sul numero cartaceo di Obesity, è stato un gruppo di ricercatori delle università milanesi Bicocca, Statale e IRCCS MultiMedica e IRCCS Galeazzi-Sant’Ambrogio. Come scoperto dal dottor Francantonio Devoto, con il coordinamento del professor Eraldo Paulesu, «Nel nostro studio abbiamo indagato la forza delle connessioni tra alcune aree cerebrali, che appartengono al cosiddetto “circuito del desiderio”, e il resto del cervello sia in persone normopeso che in pazienti affetti da obesità. I risultati mostrano uno sbilanciamento nella forza di alcune di queste connessioni cerebrali nelle persone con obesità – spiega Devoto – in particolare si è vista una connessione più forte con aree del cervello specializzate nell’elaborazione visiva di cibi, e una connessione più debole con un’area del lobo frontale coinvolta nel controllo inibitorio del comportamento. Abbiamo ipotizzato che questo sbilanciamento nelle connessioni possa riflettere la difficoltà dei pazienti obesi di “resistere alla tentazione” quando vengono esposti al cibo». La conseguenza, quindi, è che negli obesi c’è un’associazione più forte tra lo stimolo (la vista del cibo) e la ricompensa (il consumo di cibo)».
Obesità: perché si fatica di più a “resistere alle tentazioni”
Le persone obese, dunque, faticherebbero maggiormente a resistere alle tentazioni? «Sì. Per fare un esempio più concreto, immaginiamo lo scenario in cui un paziente con obesità sta guardando la televisione: ad un certo punto inizia la pubblicità di un cibo molto gustoso e appetibile, ma anche molto calorico. La visione di queste immagini, in virtù di questa aumentata connessione fra aree “del desiderio” e aree visive, è accompagnata da una maggiore anticipazione del senso di gratificazione che deriva dal mangiare quel cibo e questo rende l’alimento eccessivamente saliente. Questa componente di anticipazione, unita ad una ridotta capacità di esercitare controllo inibitorio, può rendere più difficile per il paziente resistere alla tentazione di consumare quel particolare tipo di alimento», chiarisce il ricercatore.
Perché si desidera il cibo
Ma cosa spinge verso i cibi più calorici? Dai risultati del nostro studio non possiamo stabilire cosa accade nel cervello quando si scelgono cibi altamente calorici rispetto ad altre alternative. Abbiamo però osservato che i pazienti con obesità mostrano una minore connettività fra aree “del desiderio” e aree del controllo inibitorio. Abbiamo anche osservato un’associazione fra la forza di questa connessione e il desiderio per il cibo misurato prima della scansione cerebrale: maggiore è la connessione fra queste due regioni cerebrali, minore è il desiderio per il cibo riportato dal partecipante; al contrario, minore è la connettività fra queste regioni, maggiore il desiderio per il cibo», spiega il ricercatore del Dipartimento di Psicologia di Milano-Bicocca. Di fatto, quindi, le persone obese avrebbero meno freni e questo potrebbe di per sé spiegare perché consumino più cibo, anche altamente calorico.
Il cervello attratto dal cibo anche a riposo
Questo fenomeno accadrebbe anche “a riposo”. «C’è una crescente letteratura scientifica che suggerisce l’esistenza di alterate risposte cerebrali in risposta a immagini, gusti e odori di cibo in pazienti con obesità. Nel nostro studio, i partecipanti non erano coinvolti in alcun compito cognitivo e non erano esposti a immagini di cibo: in gergo tecnico, abbiamo scansionato i loro cervelli “a riposo”. Questo tipo di scansione permette di misurare la forza della connessione tra diverse aree cerebrali, ovvero il grado in cui le aree “lavorano insieme”». Un certo tipo di risposta da parte delle persone obese, quindi, mostrerebbe una causa “anatomica”, che precede la visione del cibo e ne aumenta l’attrazione. Una volta di fronte all’alimento, quindi, questa risposta si concretizzerebbe nel maggiore desiderio di mangiarlo.
Una terapia psicologica contro l’obesità?
«Il nostro studio è importante per gli scienziati di base, per i clinici e anche per i pazienti. Con questo lavoro forniamo una nuova interpretazione sui meccanismi cerebrali alla base dell’eccessiva motivazione verso il cibo nell’obesità, una sensazione che ogni persona in sovrappeso, o con obesità, ha provato quando è stata tentata da immagini di cibo», spiega Devoto. Questo può aprire la strada a nuove strategie psicologiche contro l’obesità? «In linea generale, i nostri risultati suggeriscono che due strategie principali possono essere efficaci contro l’obesità: la de-sensibilizzazione agli stimoli visivi di cibo e il potenziamento delle capacità di controllo del comportamento», risponde l’esperto.
Obesità: quali interventi per ridurre il desiderio di cibo
Nel primo caso, in concreto, si tratta di interventi psicologici «mirati a potenziare le capacità di regolazione emotiva in risposta ai cibi, sia mediante le moderne tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva«, chiarisce l’esperto. Per esempio, si mostrano i cibi, accompagnando la visione a una valutazione delle conseguenze a lungo termine di un’alimentazione ipercalorica, il tutto insieme alla canonica dieta ipocalorica. «Le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva, come la stimolazione transcranica a corrente diretta (transcranial direct current stimulation, tDCS) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS), possono poi essere utilizzate per favorire o inibire l’attività di alcune regioni corticali sulla superficie del cervello», prosegue Devoto. L’obiettivo è «di “ri-bilanciare” la connettività con le aree “del desiderio”. In questo senso, crediamo che i nostri risultati incoraggino futuri trial clinici in cui viene testata l’efficacia di questo tipo di trattamenti, singolarmente o in combinazione», conclude l’esperto.