Osteoporosi, chi si deve curare e chi non lo fa
Numeri di un’epidemia in crescita e poco curata. Sono oltre 200 milioni di donne nel mondo affetti da osteoporosi, di cui 22 milioni in Europa e 4 milioni in Italia, e con loro anche tanti uomini, circa 1,5 milioni solo nella Penisola. "Secondo le stime i pazienti che necessitano di una terapia sono purtroppo molti, ma solo il 20% assume correttamente un trattamento". Appena uno su 5. Lo spiega all'AdnKronos Salute Giuseppina Resmini, responsabile del Centro per lo studio dell'osteoporosi e delle malattie metaboliche dell'osso dell'Asst Bergamo Ovest, in occasione della Giornata mondiale dell'osteoporosi che si celebra il 20 ottobre.
"This is a sign" è il claim scelto dalla Iof (International Osteoporosis Foundation) per l'edizione 2018. Come a dire che bisogna imparare a individuare i campanelli d'allarme e i fattori di rischio della malattia, per anticiparla e spegnere alla sorgente la cosiddetta cascata fratturativa: l'effetto domino che spacca le ossa, rubando alla vita anni e qualità, e alimentando costi sanitari e sociali. La conoscenza passa dall'informazione, un impegno che vede in prima linea gli esperti della campagna "Stop alle fratture", iniziativa educazionale varata nel 2011 e rivolta agli over 50.
Realizzata con il supporto non condizionante di Eli Lilly Italia, coinvolge le società scientifiche Siommms (Società italiana dell'osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro), Siot (Società italiana di ortopedia e traumatologia), Sir (Società italiana di reumatologia), Ortomed (Società italiana di ortopedia e medicina), Gisoos (Gruppo italiano di studio in ortopedia dell'osteoporosi severa) e Gismo (Gruppo italiano di
studio delle malattie del metabolismo osseo).
Strumenti chiave il sito Stopallefratture.it e la pagina Facebook StopalleFratture, con oltre 40 mila like.
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L'obiettivo è sensibilizzare e fare chiarezza, trasmettendo l'importanza di inserire i pazienti che hanno subito una frattura da fragilità ossea in un corretto Pdta (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale), e sfatando i falsi miti che dilagano: "Circolano moltissime fake news", ammonisce Resmini. Dall'osteoporosi descritta come una conseguenza ineluttabile del tempo che passa, un'esclusiva femminile o un sinonimo di artrosi, all'inutilità di integrare l'apporto di vitamina D quando i livelli della sostanza non sono sufficienti, fino alle fobie sul latte. Le
bufale sono numerose, "per esempio che l'assunzione del calcio attraverso il latte e i suoi derivati fa male, cosa assolutamente non vera. Moltissimi pazienti – testimonia la specialista – vengono in ambulatorio e riferiscono di avere abbandonato l'alimentazione a base di latte e latticini proprio perché convinti da questa fake news".
Resmini tiene a fare "una considerazione importante: l'osteoporosi è una malattia cronica", e come avviene in tutte le patologie per la vita "l'aderenza alla terapia tende purtroppo scemare nel tempo. I pazienti si stancano, magari perché già assumono diversi farmaci per altri disturbi". Oppure perché non hanno la percezione dei benefici che un anti- osteoporosi può offrire, o ancora per l'influenza di familiari e amici che minimizzano.
"Quindi è facile, se non ben motivati, che molti malati si perdano per strada". I dati indicano che in Italia ancora troppo spesso la fragilità ossea viene diagnosticata solo dopo una frattura del femore, e anche in questo caso solo il 15% riceve una terapia farmacologica. Di questi pazienti, a un anno solo la metà sta continuando il trattamento, pur con una probabilità da 2 a 5 volte superiore di subire una rifrattura.
"Bisogna fare una corretta informazione – insiste l'esperta – a partire prima di tutto dal paziente. Dopo aver avuto una frattura in seguito a un piccolo trauma, deve sapere che con quella frattura il suo scheletro si è arreso, si è dichiarato inefficace a sopportare altri piccoli traumi" e senza interventi efficaci "si fratturerà sempre di più". Ma se i cittadini vanno avvertiti sui pericoli dell'osteoporosi severa, ai camici bianchi sul territorio spetta il compito di stare all'erta: "Molto spesso l'osteoporosi viene ancora sottovalutata e sottodiagnosticata", invece "è fondamentale che il medico di famiglia che vede il paziente con costanza gli suggerisca una terapia, oppure lo indirizzi ai centri specializzati e finalizzati alla diagnosi e al corretto trattamento".
Dopo una frattura da fragilità ossea, insomma, incanalare il paziente in un Pdta corretto "è la fase più critica -evidenziano gli specialisti di Stop alle fratture – perché è necessario che aderisca allo schema terapeutico prescritto dal medico per rafforzare le ossa, nei dosaggi e per il tempo stabilito, pena un mancato effetto e quindi un aumento del rischio di una nuova frattura".
Mettere le ossa in cassaforte invece si può, assicurano gli esperti. "Oggi abbiamo farmaci molto efficaci nel ridurre il rischio di frattura – ricorda Resmini – In base al paziente che si ha di fronte e alla sua storia, sarà compito dello specialista decidere qual è il medicinale più adatto per lui. Tutti sono comunque efficaci nel ridurre il rischio di frattura del 60- 80%, a seconda del prodotto". Non solo: "Al farmaco per la riduzione del rischio di frattura va assolutamente associata la vitamina D".
Sia perché dalle stime almeno il 70% della popolazione presenta una carenza di "vitamina del sole", che causa malassorbimento di calcio e dunque impoverimento osseo. Sia perché, "se si decidesse di fare la terapia per l'osteoporosi senza la vitamina D – puntualizza l'esperta – il farmaco scelto perderebbe in potenza e verrebbe vanificato".
Sia perché dalle stime almeno il 70% della popolazione presenta una carenza di "vitamina del sole", che causa malassorbimento di calcio e dunque impoverimento osseo. Sia perché, "se si decidesse di fare la terapia per l'osteoporosi senza la vitamina D – puntualizza l'esperta – il farmaco scelto perderebbe in potenza e verrebbe vanificato".
Infine "è importante indagare sulle abitudini alimentari del paziente, per confermare che vi sia un adeguato apporto alimentare di calcio. Se così non fosse, conclude Resmini, "è assolutamente indicato associare anche degli integratori di calcio".