Circa 1 uomo su 3, dai 15 in su, è infetto da almeno un tipo di papillomavirus umano genitale (HPV) e 1 su 5 è infetto da uno o più ceppi ad alto rischio o oncogeni. A indicarlo che per la prima volta sottolinea l’incidenza della malattia nei maschi, considerata invece finora “appannaggio” femminile, al pari della vaccinazione contro l’HPV. Purtroppo, invece, si tratta di una patologia che non solo può colpire entrambi i sessi, ma ha subito un drastico calo nelle coperture vaccinali dopo la pandemia da Covid.
Papilloma virus: vaccinazioni in calo nel periodo Covid
I dati più aggiornati, finora, erano quelli del servizio di Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità che risalivano al 31 dicembre 2018. Indicavano le coperture vaccinali per le femmine in età vaccinale per l’HPV pari al 61,7% per la prima dose e al 40,3% per il ciclo completo «confermando l’andamento negativo», come ricorda l’ISS. Per i maschi ci si fermava al 24,1% per la prima dose e al 19,3% per il ciclo completo.
«Purtroppo il periodo di pandemia Covid ha portato a calo di vaccinazioni, che invece sarebbero raccomandate sia per le donne che per gli uomini. Basti pensare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva stimato e auspicato di debellare il cancro alla cervice dell’utero entro il 2030, nel caso in cui si fosse riusciti a vaccinare il 90% della popolazione, sottoponendo a screening il 70% delle donne e trattandone il 90% di quelle affette da lesioni pretumorali o tumorali. Un obiettivo che a oggi risulta un po’ troppo ottimistico. Il numero delle vaccinazioni è crollato, nonostante il vaccino sia efficace e sicuro», spiega Carlo Antonio Liverani, già Responsabile di Oncologia ginecologica preventiva presso la clinica Mangiagalli-Policlinico di Milano.
Papilloma virus: sono cadute le barriere di genere
Di sicuro nel caso dell’HPV le barriere di genere devono cadere e in parte è già successo: per gli esperti dovrebbero aumentare le vaccinazioni anche tra i maschi. «Al momento sono ancora poche, ma da tempo si insiste nel consigliare la vaccinazione contro l’HPV anche ai ragazzi e agli uomini, soprattutto perché si tratta di un virus ad alta circolazione: la barriera di genere è ormai caduta, così come quella dell’età, perché anche una donna di 50 anni e oltre può fare la vaccinazione. Teniamo presente che l’80% della popolazione adulta sessualmente attiva viene a contatto con uno o più ceppi di HPV nel corso della vita, e il papilloma si trasmette facilmente», conferma Liverani.
Papilloma virus: infezione in aumento?
Come ricorda la Fondazione Veronesi sul proprio sito, «In termini di prevalenza, secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità, circa 8 italiane su 10 entrano a contatto con il virus nel corso dell’età fertile». Ora i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità indicano l’incidenza dell’infezione genitale da HPV nella popolazione maschile generale (su un periodo compreso tra i 1995 e il 2022), pari al 31% per qualsiasi HPV e al 21% per l’HPV ad alto rischio. L’HPV-16 è il genotipo HPV più diffuso (5%) seguito dall’HPV-6 (4%). La prevalenza dell’HPV è elevata soprattutto nei giovani, con un picco tra i 25 e i 29 anni.
«Sono dati riferiti a una popolazione generale, ma possono variare a seconda delle aree geografiche. Già qualche anno fa si riteneva che l’incidenza nei maschi fosse intorno al 50%. Attenzione, però: il cancro alla cervice uterina è solo una complicazione rara di una infezione estremamente frequente. A preoccupare non deve essere tanto la presenza del virus, quanto la sua persistenza nel tempo, che va controllata. A incidere nello sviluppo della malattia sono anche altri fattori, come il ceppo specifico di virus (alcuni sono a maggior rischio come il 16, 31 e 18), difese immunitarie più basse, fumo o mancate adesioni agli screening», spiega il ginecologo. Quali sono i test raccomandati, dunque?
L’HPV nei maschi e nelle femmine
La vera differenza di genere sta proprio nel fatto che non esistono test di screening dell’infezione da HPV come per le donne, che possono ricorrere a Pap test o HPV-test: «Nelle donne il percorso di diagnosi andrebbe differenziato a seconda dell’età. In genere si tende a sottoporle tutte a pap test, ma questo è consigliato soprattutto sotto i 30 anni. Solo se positivo, allora si dovrebbe procedere con l’HPV test e, in caso anche questo risultasse positivo, con la colposcopia che va a individuare in modo accurato il tipo di lesione. Al contrario, nelle over 30 è più indicato l’Hpv test ogni 3 anni e, se positivo, il pap test da ripetere ogni 5 anni. Questo perché l’azione oncogena del virus (con eventuale rischio di cancro al collo dell’utero) richiede anni. Non dimentichiamo, infatti, che in molte donne c’è una regressione spontanea del virus: l’intervento di asportazione, dunque, va effettuato solo dopo un monitoraggio nel tempo e nel caso in cui il virus non scompaia in modo autonomo», spiega Liverani. E per gli uomini?
Quali sono i sintomi del papilloma virus negli uomini
«Uno dei più grandi problemi legati all’HPV è il fatto che l’infezione sia silente e non dia sintomi come ad esempio bruciore urinario che potrebbero indurre a fare un controllo. Lo ‘strumento’ più efficace di cui oggi disponiamo per fare diagnosi è l’esame obiettivo, ovvero una attenta rilevazione dei potenziali sintomi e indicatori di malattia, fatto dall’urologo nel corso di una normale visita specialistica. Il medico potrebbe notare condilomi, ovvero escrescenze di tessuto che si manifestano a livello del pene, del glande, del prepuzio, oppure dell’ano, in particolare nella popolazione omosessuale», spiega Luca Carmignani, Responsabile dell’Unità operativa di Urologia dell’IRCSS Policlinico San Donato di Milano e membro del Comitato Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi, sul sito della stessa. «Nella donna, invece, non ci sono sintomi. Se compaiono, come il sanguinamento dopo un rapporto, allora significa che c’è già un tumore e occorre intervenire», conferma Liverani.
La cura: l’intervento a livello ambulatoriale
«Non c’è una cura vera e propria, intesa come trattamento farmacologico. L’intervento chirurgico è la soluzione terapeutica per eccellenza. Si esegue in modo semplice e a livello ambulatoriale con il laser (laser escissione) o il LEEP, ossia un trattamento di elettrochirurgia – spiega Liverani – in anestesia locale». Come ricorda la Fondazione Veronesi, esiste anche un farmaco sotto forma di crema, che contiene il principio attivo imiquimod, ma gli esperti ricordano che è solo sperimentale.