Monica Lombardi (nella foto) insieme a Silvia Menengon (fotografa) ha ideato La bellezza in un difetto, progetto fotografico che ha come protagonista lei e altre due donne colpite da paresi

Monica lo chiama “il mio difetto”, anche se, confessa, dopo 43 anni ancora non sa dare un’etichetta alla paresi facciale che le fa compagnia da una vita.

Monica Lombardi, nata con paresi facciale

«Quando sono nata deve essere successo qualcosa, durante il parto, perché il nervo facciale è stato compromesso. Nessuno ha saputo individuare la causa, ma a questo punto non importa, da allora la parte destra del mio viso ha perso parte della mobilità». Monica ha imparato a prendere le distanze da tutto ciò che accade a chi, come lei, ha qualcosa di “insolito”: i bambini che ti fissano, le battute idiote e le gaffe, lo sguardo interrogativo di chi ti vede per la prima volta. Ma non nega che, certo, le sia pesato. «Ogni volta che conosco qualcuno la mia mano finisce su quella metà del volto, inconsapevolmente temo il giudizio, mi domando dentro di me a cosa stia pensando. E non si tratta solo di questo. Quando metà del viso perde mobilità, questo condiziona anche il modo in cui comunichi con gli altri. Che lo vogliamo o no, il volto è il nostro biglietto da visita, chi come me ha un sorriso a metà non comunica emozioni».

Paresi e paralisi facciale: le differenze

Nicoletta Orvietani, anche lei colpita da paresi, parte del progetto fotografico

Qualche settimana fa anche Simona Ventura è stata colpita dalla paralisi di Bell, una forma temporanea ma con effetti analoghi, e ha deciso di condurre il suo programma con il viso bloccato per metà, spiegando che, nonostante la fatica e il disagio, non avrebbe mollato. La sua testimonianza ha fatto riflettere su quanto sia importante non farci limitare dai nostri “difetti”, ma ha anche portato alla ribalta un problema diffuso. Paralisi e paresi facciale – due condizioni simili ma differenti, perché la prima comporta la completa assenza di movimento dei muscoli facciali, mentre la seconda è un’immobilità parziale – sono comuni, più comuni di quanto si pensi. «Nell’arco della vita una persona su 65 incontra la paralisi di Bell, dovuta nella maggior parte dei casi a un’infezione virale e non al freddo, come comunemente si pensa. È causata dalla compressione del nervo facciale, che gonfiandosi per via dell’infezione si schiaccia contro il canale osseo della base cranica, e viene così compromesso nella sua funzionalità. In molti altri casi il nervo viene lesionato a causa di traumi, interventi chirurgici, tumori o ictus» spiega Federico Biglioli, chirurgo maxillo-facciale e direttore del Centro paralisi facciali nervose del cavo orale dell’Ospedale San Paolo di Milano.

I protocolli di cura

Norma Bolivar, altra protagonista del progetto La bellezza in un difetto

Quello che si sa poco, è che esistono protocolli di cura per queste manifestazioni, che, anche se non risolvono al 100%, possono migliorare di molto la situazione. «Quando il nervo ha subito una lesione si procede con un intervento chirurgico, che può garantire un recupero fino all’80%. Negli altri casi ci sono la fisioterapia o le iniezioni di tossina botulinica, che danno pure ottimi risultati. Per la paralisi di Bell, che si risolve spontaneamente nel 70% dei casi, le linee guida prevedono per esempio la somministrazione di cortisone e integratori, il collirio per la secchezza oculare, e la fisioterapia. Se dopo 8 mesi il movimento non ritorna, si interviene chirurgicamente sul nervo danneggiato».

La fisioterapia mirata

Sono però pochi i medici e i centri specializzati su queste problematiche e molti rinunciano a curarsi, perché non conoscono le terapie o non sanno a chi rivolgersi. «Fino ai 40 anni ho ignorato che con una fisioterapia mirata la mia condizione sarebbe potuta migliorare» conferma Monica. «Per tutta l’infanzia ho eseguito a casa degli esercizi che mi avevano assegnato da bambina, ma da tempo davo per scontato che non ci fosse altro da fare. Solo per caso ho scoperto l’esistenza di un professionista specializzato con effetti da me insperati. Purtroppo, la terapia riabilitativa non rientra tra le cure rimborsate dal Sistema sanitario nazionale, noi pazienti dobbiamo cercare il centro e pagare di tasca nostra».

Le terapie personalizzate

Lo conferma Riccardo Castellini, fisioterapista specializzato tra le altre cose in paralisi facciale, che opera in diversi centri nel milanese: «Molti pazienti colpiti da paralisi di Bell ci raccontano che in Pronto Soccorso si sono visti prescrivere la cura farmacologica, e stop. Serve invece un approccio completo e multidisciplinare, in particolare, la fisioterapia mirata che favorisce il corretto recupero del nervo facciale e la corretta riattivazione della muscolatura. Il nostro approccio, per esempio, prevede un mix di trattamenti manuali specifici, massaggi, stimolazione dei tessuti con vibrazioni, ed esercizi da fare a casa spesso con l’aiuto della realtà aumentata. Ogni persona ha bisogno di una terapia mirata e su misura, non esiste un’unica ricetta per tutti. A volte, nei casi più gravi, si abbinano alla fisioterapia iniezioni di tossina botulinica – che va a bloccare i movimenti involontari causati dalla paresi, le sincinesie – o si pratica il face taping, l’applicazione di cerotti trasparenti per supportare il muscolo in una determinata direzione. L’obiettivo della fisioterapia non è la “guarigione del nervo”, quella avviene per via naturale, ma favorire il miglior recupero possibile per ogni paziente». È fondamentale, spiega l’esperto, chiedere aiuto subito. «Avere indicazioni appropriate scongiura il rischio che, nel tentativo di compiere gesti usuali, spesso forzando il movimento che tarda ad arrivare, si assumano atteggiamenti errati o si recuperi solo parzialmente, come succede a chi cade e comincia a camminare male per evitare di sforzare la gamba dolorante».

Il progetto fotografico

Una ripresa corretta influisce non poco anche sull’aspetto psicologico e relazionale, come spiega bene Monica. «Per anni ho indossato una corazza e messo la mia paresi in un cassetto. Fingevo di non averla per essere più forte, ma nei fatti il mio stato ha condizionato ogni decisione e ogni gesto della mia vita. È stato un limite, ma forse anche la mia forza, e questo grazie all’amore dei miei genitori, al fatto di aver scelto con cura le amicizie e le relazioni, di essermi concentrata sui miei punti di forza». Qualche mese fa Monica ha ideato con Silvia Menengon un progetto fotografico che ha come protagonista lei e altre due donne colpite da paresi, con uno scopo: «Desidero che se ne parli, che si sappia che le terapie per stare meglio esistono, che non sono mutuabili. Ma vorrei anche dare un messaggio: noi siamo molto di più del nostro difetto. Anzi, la bellezza di ciascuno di noi è anche in quel difetto: la paresi è parte integrante della mia persona, una persona che mi piace tantissimo».