La menopausa, temuto “traguardo” nella vita di tutte le donne, potrebbe non essere così negativa. Nonostante il calo ormonale che si accompagna al venir meno del ciclo, infatti, i vantaggi di una fertilità prolungata potrebbero essere molto minori rispetto alle aspettative. A sollevare interrogativi a riguardo è stato un articolo, pubblicato sul Wall Street Journal, secondo cui le terapie ormonali per rallentare l’invecchiamento delle donne potrebbero non essere così utili. Si tratterebbe di una sorta di dietrofront rispetto a quanto si è affermato finora, che arriva proprio mentre negli Usa si accelera, invece, nella ricerca di terapie che posticipino l’inizio della menopausa.

Menopausa e invecchiamento: cosa sappiamo

Che alla menopausa si associ una minor protezione era ed è noto. A supporto dell’utilità di un intervento per prolungare la fertilità, oltre alla possibilità di poter diventare madri anche in età più avanzata, ci sono alcuni studi. Fin dal 2005, per esempio, la rivista Epidemiology aveva pubblicato un lavoro dal quale emergeva che una menopausa dopo i 55 anni permetterebbe di vivere in media due anni in più rispetto a chi vede cessare il ciclo prima dei 40anni. Due anni fa, invece, da un altro studio pubblicato su BMC Cardiovascular Disorders si deduceva che nelle donne in menopausa prima dei 50 anni aumenta il rischio di ictus e morte. Gli ormoni femminili, inoltre, proteggerebbero maggiormente dalla demenza, secondo una meta-analisi che ha preso in considerazione 22 studi.

È per questo che da tempo si tende a prolungare i benefici del ciclo. «È ormai provato che durante la menopausa avviene una graduale diminuzione della produzione di estrogeni e progesterone da parte delle ovaie, con conseguenti molteplici cambiamenti nell’organismo e sintomi. Se i più noti sono le vampate di calore, la sudorazione notturna e l’insonnia, le palpitazioni a riposo, i disturbi dell’umore e la secchezza vaginale, ricordiamo anche che tra gli effetti negativi associati a questa fase della vita della donna ci sono l’osteoporosi (che incrementa il rischio di fragilità ossea e fratture soprattutto del radio, delle vertebre e del femore), così come le malattie cardiovascolari (infarto del miocardio) e la malattia degenerativa cerebrale (Alzheimer). Questo perché gli estrogeni e il progesterone influiscono sulla maggior parte degli organi (cervello, ossa, cuore, pelle, organi genitali, sistema nervoso) così come sul metabolismo. Con l’esaurirsi di questi ormoni viene perso quel “privilegio biologico” (nei confronti del maschio) che aveva protetto le donne da molte malattie», conferma Daniela Galliano, medico chirurgo, specializzata in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI Roma.

Si può decidere quando avere la menopausa?

Sul Wall Street Journal, però, si mettono in dubbio gli effetti benefici del prolungamento della fertilità in una donna. In particolare Sumathi Reddy si chiede: «Immagina se le donne non raggiungessero mai la menopausa, quella temuta pietra miliare della mezza età, o potessero ritardarla o decidere quando averla». Quali sarebbero le conseguenze? Il giornale americano cita alcuni rappresentanti di ditte farmaceutiche o del campo delle biotecnologie che stanno lavorando per posticipare la fine del ciclo mestruale nelle donne.

Prolungare la fertilità aiuta davvero?

A mettere in dubbio i benefici di una fertilità prolungata, però, ci ha pensato la dottoressa Stephanie Faubion, direttrice della Mayo Clinic Women’s Health e direttrice medica della North American Menopause Society, secondo la quale non ci sono prove sufficienti che una menopausa ritardata contribuisca realmente a migliorare la salute delle donne. Nello specifico, non è detto che un intervento farmacologico per prolungare l’età fertile riduca effettivamente i rischi cardiologici. «È un bel salto affermare che dovremmo prevenire la menopausa e che così facendo cureremmo tutti i nostri mali», ha affermato Faubion. «Penso che dovremmo differenziare i due concetti: possiamo ritardare la menopausa, ma questo non si traduce necessariamente in un prolungamento della fertilità naturale di una donna – spiega Galliano – A livello teorico ciò si potrebbe fare criopreservando da giovani una parte di corteccia ovarica per poi reimpiantarla successivamente, tecnica che normalmente proponiamo alle ragazze in età pre-puberale affette da tumore».

Come si può ritardare la menopausa

Non si tratta, però, dell’unico percorso possibile: «Alcuni studi condotti in gatti hanno evidenziato come la somministrazione dell’ormone antimulleriano (AMH) abbia bloccato l’ovulazione mantenendo a riposo le ovaie. Alcune startup biotecnologiche stanno infatti lavorando con l’ormone AMH, che controlla il tasso di esaurimento della riserva ovarica di una donna. Presso una delle più famose società di biotecnologia negli Usa i ricercatori stanno cercando di sviluppare quello che viene chiamato un attivatore dell’ormone AMH. Una donna potrebbe assumere un farmaco per ridurre la perdita di follicoli e ovuli nella sua riserva e quindi mantenere una salute ovarica ottimale e poi interrompere il farmaco quando desidera che vengano rilasciati più ovociti per cercare di rimanere incinta. Altri laboratori stanno cercando di sviluppare nuove terapie per invertire il declino ovarico. Gameto, una società biotecnologica con sede a New York, sta utilizzando l’ingegneria cellulare per migliorare la salute delle donne senza estendere la fertilità», conferma la ginecologa.

«In ogni caso, anche se potessimo prolungare la fertilità attraverso il ritardo della menopausa, al momento non esiste una solida evidenza scientifica che confermi che ciò possa portare solo miglioramenti per la salute delle donne. Forse potremmo migliorare l’incidenza delle malattie cardiovascolari, ma dobbiamo tenere presente anche i principali rischi di una menopausa tardiva: numerosi studi ci mostrano infatti come le donne entrate in menopausa in fase tardiva (ed anche che hanno avuto un menarca precoce e per ogni anno in più di periodo fertile), presentano un rischio raddoppiato di sviluppare il tumore al seno».

Come prolungare la fertilità delle donne

L’interesse per questo campo è molto alto, come dimostrano altre sperimentazioni: «Una nuova alternativa terapeutica per ripristinare la funzione ovarica prevede l’iniezione, in ciascuna ovaia, di plasma arricchito con fattori di crescita, che consente di ripristinare la funzione ovarica. Il plasma ricco di fattori di crescita ha portato a importanti progressi clinici nel campo della medicina e ha iniziato ad essere utilizzata come alternativa di trattamento anche nella medicina della riproduzione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, non si potrà sperare in un aumento esponenziale della riserva ovarica, ma in un aumento sufficiente per poter intraprendere un trattamento di fecondazione in vitro, anche in caso di età materna avanzata. Le differenze tra tali alternative possono variare in termini di efficacia, rischi e benefici, e possono essere influenzate anche dalle condizioni specifiche della donna che riceve il trattamento», spiega Galliano.

Terapia ormonale: perché e quando

A differenze di altre tecniche, «la terapia ormonale rappresenta una delle opzioni terapeutiche più riconosciute per trattare i sintomi legati alla menopausa – prosegue la ginecologa – Fornisce gli ormoni non più prodotto dalle ovaie e da qui appunto il nome di terapia ormonale sostitutiva (TOS). In genere, l’uso di bassi dosaggi di ormoni è sufficiente per limitare le vampate e i sintomi genito-urinari. Possono essere assunti in maniera sequenziale, per cui la donna avrà un sanguinamento mensile in maniera continuativa. Ma è fondamentale ricordare che qualsiasi opzione terapeutica deve essere attentamente valutata dai medici. Infatti, ci sono delle donne che non possono assumere la TOS, come le donne obese, ipertese, con pregresse malattie epatiche o tumori ormono-dipendenti. Quando non è possibile assumere la terapia ormonale ci sono altri farmaci che il medico può valutare per ridurre i sintomi che accompagnano la menopausa, tra cui il tibolone, l’ospemifene, gli SSRI e gli SNRI e i fitoestrogeni».