LA SELFIETERAPIA PER CURARE I DISAGI PSICHICI – In principio era il selfie, una foto nata quasi per caso girando verso se stessi l’obiettivo posto sul cellulare, e postata distrattamente sui diversi social network. In breve è diventata mania, utile per comunicare con gli amici, per ritrarsi in posti nuovi senza necessariamente chiedere “scusi, che mi fa una foto?“, per raccontare situazioni insolite o divertenti. Il selfie poi è cresciuto, diventando un must tra le celeb di ogni settore ed età, dall’Italia agli Stati Uniti non esiste infatti vip che non abbia selfato se stesso in vacanza, a lavoro, per strada, in bagno. Oggi l’autoscatto più amato al mondo non solo è protagonista di un corso di studi presso la facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Teramo, ma viene anche utilizzato come terapia alternativa per lenire i disagi psichici in alcuni pazienti.
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La chiamano selfieterapia, è nata negli Usa e si basa sulla concezione che autofotografarsi aiuti a ritrovare se stessi e a guardare la propria immagine in modo positivo, rafforzando fiducia nel proprio io e autostima. In Italia la selfieterapia è ancora poco praticata, ma chi la inserisce tra i suoi metodi è saldamente convinto che i suoi effetti terapeutici possano davvero funzionare su pazienti affetti da disturbi psichici legati all’insicurezza e all’alimentazione.
«Fotografarsi aiuta a recuperare l’immagine di sé: questo può essere davvero utile, in particolare in tutti i disturbi che comportano un errore nella percezione del proprio corpo, come quelli del comportamento alimentare o sessuale»
spiega lo psicanalista Fabio Piccini, docente presso l’Università di Ancona e sperimentatore del metodo che ha inoltre aggiunto:
«La fotografia aiuta anche chi vive, per esempio, una esclusione sociale, e può essere uno strumento efficace per lavorare con gli adolescenti»
Come spiega Judy Weiser, tra i principali esperti di fototerapia, il selfie consente di avere il quadro di una persona quando questa sa di non essere vista da nessun altro.
Inoltre, proprio creando e guardando il proprio autoritratto, i pazienti possono stabilire una sorta di dialogo con se stessi e con le proprie emozioni più intime e profonde.
In Italia, oltre a Piccinini, altri studiosi si stanno accostando al metodo della selfieterapia, anche per curare forme più gravi di psicosi come nuovo strumento di riconoscimento di se stessi attraverso l’uso dell’immagine.
«Moda dei selfie a parte – spiega un altro dei suoi sperimentatori, il dottor Carmine Parrella, della Asl di Lucca –, l’immagine esteriore, se analizzata e compresa, diventa immagine interiore. E questo stimola e spinge a ritrovare l’equilibrio perduto».