In 5 anni i casi di sifilide negli Stati Uniti sono aumentati dell’83%: un vero e proprio boom, che ha fatto scattare l’allarme. Non succedeva da 80 anni, infatti, che ci fossero così tante diagnosi della malattia a trasmissione sessuale.
Il boom negli Usa: +83% in cinque anni
A sollevare l’attenzione sono i dati del Centers for Disease Control and Prevention, l’agenzia federale americana, nel cui report si riferisce di ben 217mila i casi di sifilide registrati nel 2022. Dati che indicano un aumento del 17% rispetto all’anno precedente, ma di ben l’83% se si confrontano con quelli del 2017. A preoccupare sono anche i casi di sifilide congenita, (+30%), ossia quella trasmessa alla nascita dalla mamma al feto. Secondo gli esperti, dopo il record degli anni ’40/’50 e dopo il successivo decremento grazie anche a campagne informative e all’uso del preservativo, da anni si sta tornando ad abbassare la guardia.
La sifilide è sottovalutata
Sono 6,3 milioni i casi di sifilide registrati ogni anno nel mondo. Si tratta della terza malattia a trasmissione sessuale più diffusa a livello mondiale, dopo clamidia e gonorrea, eppure se ne parla poco. A differenza dell’Aids, infatti, la sifilide è sottovaluta, perché considerata una “malattia del passato”.
Se trascurata, però, può portare a conseguenze importanti a livello di salute generale e benessere sessuale, di cui il 4 settembre ricorre la Giornata mondiale. Oggi esistono cure antibiotiche in grado di curare la malattia, ma occorre maggiore informazione: «È fondamentale diffondere la consapevolezza su questa infezione per ridurre la sua diffusione e proteggere la salute sessuale di tutti», spiega il dottor Fabio Leva, andrologo dell’Osservatorio sulla Salute dell’Istituto Santagostino.
Cos’è la sifilide
A causare la sifilide è un batterio (Treponema pallidum), che si trasmette per via sessuale, anche con rapporti oro-genitale, o con contatto con sangue infetto, o ancora da madre a feto durante la gravidanza, il parto o l’allattamento. In quest’ultimo caso, quando la patologia è congenita, può essere asintomatica in circa due terzi dei casi. Generalmente si manifesta con lesioni spesso non dolorose. «Talvolta sono presenti più lesioni contemporaneamente e possono esserci rigonfiamenti dei linfonodi vicini», spiega l’andrologo. Questi e altri sintomi sono comuni sia nelle donne che negli uomini, anche se esistono differenze di genere, soprattutto nella diagnosi.
Perché la sifilide è in aumento?
Comparsa per la prima volta alla fine del XV secolo, poi regredita soprattutto dopo la scoperta della penicillina, negli anni si è assistito a un nuovo aumento delal sifilide sia in Europa che in America, come conferma il rapporto annuale ECDC (European Centre for Disease Prevention and Control) riferito al periodo tra il 2010 e il 2019. In particolare Islanda, Irlanda e Portogallo sono i Paesi dove c’è stato il maggior incremento (+50%) e quelli responsabili del 3% dei contagi osservati dal monitoraggio, su una platea complessiva di 28 Stati. «Il fenomeno è spiegabile con la combinazione di due fattori: una riduzione dell’utilizzo del preservativo, dovuto sia alle nuove terapie antiretrovirali che impediscono la trasmissione dell’HIV da parte di chi ne è affetto, sia alla PrEP (l’efficace profilassi anti-HIV in persone sane). A pesare, però, è anche un fattore socio-culturale: lo sdoganamento dei rapporti occasionali con le app di dating», spiega l’andrologo.
Meno attenzione e più incontri occasionali
«La parziale riduzione della minaccia dell’HIV ha indotto nelle persone un falso senso di sicurezza, dovuto alla scarsa conoscenza delle altre patologie a trasmissione sessuale (STD); non è infrequente che i pazienti che giungono all’attenzione del medico per una STD siano sorpresi di apprendere dell’esistenza di numerose altre malattie oltre all’HIV, alcune potenzialmente gravi. Inoltre, uno studio giapponese del 2020 ha dimostrato un’associazione significativa fra l’utilizzo di app di dating e l’incidenza della sifilide, proprio per le caratteristiche di questi incontri che coinvolgono perfetti sconosciuti, di aree geografiche anche lontane, che hanno frequenti rapporti occasionali con più persone e che spesso si perdono di vista dopo l’incontro: un mix molto favorevole per una malattia infettiva», prosegue Leva. L’aumento dei casi non si è fermato al 2019, anzi, è proseguito con la pandemia, «in questo caso probabilmente perché i sistemi di prevenzione e controllo sono saltati, essendo tutti gli sforzi (sia in termini economici che di strutture e personale specializzato) rivolti ad arginare l’ondata di SARS COV2».
Colpisce gli uomini, ma le donne sono a rischio
Analizzando i dati emerge che gli uomini sono maggiormente colpiti (9 volte di più rispetto alle donne, specie tra i 25 e i 34 anni). Perché? «Non sono noti fattori di rischio legati alla semplice appartenenza al genere maschile, quindi la motivazione non è biologica, ma culturale. Una conferma sarebbe il fatto che in alcune aree la predominanza di casi maschili è meno marcata, ad esempio nei cittadini di Paesi non occidentali. La già citata riduzione dell’utilizzo del preservativo negli ultimi anni ha probabilmente un ruolo in questa differenza di incidenza; in particolare nei rapporti fra uomini con altri uomini. Venendo meno il timore di contrarre HIV – prosegue l’esperto – sono sempre più frequenti i rapporti occasionali non protetti. Al contrario, la maggior attenzione femminile alla salute e l’abitudine ad eseguire regolari controlli ginecologici potrebbero al contrario a difendere le donne dalla sifilide».
L’importanza del preservativo femminile
Non si tratta, comunque, di un dato che può rassicurare, perché tramite rapporti sessuali non protetti viene colpita anche la popolazione femminile. «Purtroppo la sifilide è una malattia facilmente trasmissibile ed è possibile contrarla anche utilizzando le protezioni, qualora le lesioni della sifilide siano al di fuori della zona coperta dal preservativo; gli studi mostrano che i dispositivi che coprono una superficie più ampia, come il preservativo femminile, possono offrire una maggiore protezione. Possono essere utilizzati sia per i rapporti vaginali che per quelli anali. È quindi molto importante eseguire con regolarità i test per la sifilide se si hanno rapporti occasionali o con più partner».
Come capire se un partner è a rischio?
Come consiglia l’esperto, «osservare i genitali di un nuovo partner per escludere la presenza di lesioni può essere una prima scrematura, ma l’unica certezza sono gli esami: per quanto possa sembrare poco “romantico” sarebbe una buona abitudine mostrare e richiedere test completi per le malattie sessualmente trasmissibili quando si iniziano nuove relazioni. Non c’è alcuna “colpa” nell’averle contratte, può bastare un singolo rapporto con una persona considerata molto affidabile, quindi sarebbe ora che si smontassero i pregiudizi legati a queste malattie e cadessero i tabù nel parlarne liberamente, soprattutto con i propri partner sessuali», conferma Leva.
I campanelli d’allarme
«In alcuni casi la sifilide può manifestarsi in modi diversi da quelli tipici e può essere difficile riconoscerla, per esempio se le lesioni compaiono nell’area anale – chiarisce Leva – Esistono anche una forma secondaria e una terziaria, che si manifestano più in là nel tempo, per esempio con lesioni arrossate a livello di cute o mucose, anche accompagnate da febbre, dolori ossei, disturbi gastrointestinali, alopecia delle sopracciglia, cefalea, perdita di peso, tumefazioni presso i linfonodi». Se non trattata, l’infezione può ulteriormente proseguire nello stadio latente, asintomatico, manifestandosi «da 1 a 20 anni dopo, con noduli che coinvolgono la pelle, gli organi interni (come ossa, fegato, apparato cardiovascolare e encefalo) e i piccoli vasi sanguigni che nutrono la parete dell’aorta. Questo può causare un indebolimento della parete stessa dell’aorta, portando alla formazione di aneurismi – chiarisce Leva – Inoltre, la sifilide può anche provocare gravi manifestazioni neurologiche e psichiatriche, nell’8% dei casi». Fondamentale diventa la diagnosi.
Quali esami e cure
Come spiega il dottor Leva, «La sifilide viene principalmente diagnosticata attraverso analisi del sangue. I test diagnostici comunemente utilizzati seguono una sequenza chiamata “test non treponemici – test treponemici”». Una volta ricevuta la diagnosi, si può procedere con la cura. La terapia più comune per la sifilide consiste in iniezioni di penicillina o, come alternativa negli allergici, con claritromicina. Il dosaggio e la durata del trattamento dipendono dallo stadio e dalla gravità della malattia. «La prognosi per la sifilide è generalmente buona se il trattamento viene somministrato durante le fasi primaria o secondaria, prima della fase tardiva, quando possono comparire danni vascolari e neurologici. Dopo un rapporto a rischio o se si osservano “strane” lesioni della mucosa genitale, anale o orale, un semplice esame del sangue consente di individuarla e trattarla, ma non è possibile trovare ciò che non si cerca» spiega Leva concludendo: «Al momento non esiste un vaccino disponibile per la sifilide, anche se la ricerca sta andando in questa direzione».