L’uso, anche prolungato e intenso, di smartphone non farebbe aumentare il rischio di tumori al cervello. A dirlo sono i ricercatori dell’Australian Radiation Protection and Nuclear Safety Agency (Arpansa), a cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha affidato uno studio per fare chiarezza su un tema delicato e dibattuto da 30 anni a questa parte. Le conclusioni sarebbero rassicuranti.
Cosa dice lo studio su cancro e smartphone
«Non c’è alcuna evidenza scientifica che colleghi l’uso di smartphone allo sviluppo di tumori cerebrali», si legge nelle conclusioni della ricerca, coordinata da Ken Karipidis, primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Environment International e vicepresidente della Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti. Secondo lo stesso Karipidis «le prove non mostrano un collegamento tra gli smartphone e il cancro al cervello o altri tumori della testa e del collo» tanto che «anche se l’uso del cellulare è salito alle stelle, i tassi di tumore al cervello sono rimasti stabili», ha dichiarato il ricercatore.
“Possibilmente cancerogeni” o “sicuramente cancerogeni”
L’indicazione, dunque, sembrerebbe sgombrare il campo dai timori di un nesso tra l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza, come quelli creati dagli smartphone e l’insorgenza di patologie oncologiche. Finora, infatti, le radiazioni emesse dagli smartphone sono state classificate come “possibilmente cancerogene” dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) della stessa OMS, mentre non ci sono evidenze che li possano far rientrare nella categoria delle “sicuramente cancerogene”.
Un campione molto elevato
A riprova della solidità dello studio, gli autori sottolineano come si tratti della «revisione più completa fino a oggi». L’Agenzia australiana, infatti, ha esaminato oltre 5mila ricerche scientifiche, selezionando in particolare 63 studi ritenuti di alto profilo scientifico, pubblicati tra il 1994 e il 2022, e riguardanti in particolare i tumori del sistema nervoso centrale, includendo quindi anche quelli a cervello, meningi, nervo acustico e ghiandola pituitaria, cioè quella ghiandola endocrina che si trova alla base del cranio, fondamentale nella regolazione del metabolismo.
I risultati precedenti
«Sapevamo di questo studio in corso, che prima di questi aspetti ne aveva valutati altri, per esempio il rapporto tra esposizione alo smartphone e mal di testa, acufeni, insonnia, ecc.», premette Fiorella Belpoggi, già direttrice del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini e oggi emerita Direttrice Scientifica dello stesso Istituto, che ha realizzato le ultime ricerche sperimentali di riferimento internazionale in materia, insieme al National Toxicology Program (NTP) americano. All’epoca gli studi, condotti per tre anni in vivo su ratti e topi, avevano dimostrato correlazioni dirette, quindi «il risultato non lasciava dubbi sulla capacità cancerogena delle radiofrequenze», spiega Belpoggi, che invece oggi invita alla prudenza.
Perché l’esito dello studio non stupisce
«Non sono meravigliata dall’esito dell’ultimo lavoro perché chi lo ha condotto si era già espresso in precedenza affermando l’assenza di pericoli. Molti degli esperti hanno lavorato per ICNIRP (l’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), un gruppo di lavoro a cui l’Ue e gran parte dei Paesi industrializzati si è affidata per stabilire i limiti di esposizione alle radiofrequenze. D’altra parte ICNIRP riconosce solo gli effetti termici delle radiofrequenze, non quelli biologici, come nel caso dei tumori. Diciamo che mi sarei aspettata almeno una conferma dell’attuale classificazione come “possibili cancerogeni”, sulla base delle evidenze che anch’io ho avuto modo di analizzare su incarico di EPRS, il Servizio Ricerca del Parlamento europeo, con conclusioni diverse, cioè come “probabili cancerogeni”. In ambito scientifico non c’è certezza, soprattutto quando si ha a che fare con cancerogeni deboli, come lo sono appunto le radiofrequenze», spiega Belpoggi.
Occorre il principio di precauzione
«Lo studio australiano è una revisione, condotta su precedenti ricerche, mentre la tecnologia intanto si è evoluta e sono passati anni. «Io credo che occorra almeno appellarsi al principio di precauzione, in attesa di nuove ricerche e di dati sul lungo periodo – prosegue Belpoggi – In diversi studi è stata osservata l’insorgenza di tumori del cervello e dei nervi, così come disturbi legati a uso importante di device come lo smartphone e tecnologie wireless o radar. Un esempio è l’insonnia, ma non solo. È poi fondamentale attendere ancora qualche anno perché le neoplasie ci mettono anche decenni a svilupparsi».
Non ci sono dati di lungo periodo su smartphone e cancro
«Uno scenario analogo lo abbiamo visto con l’amianto, che ha una latenza anche di 50 anni, mentre non sappiamo quale sia la latenza per le radiazioni dei cellulari. Si tratta di un potenziale debole cancerogeno, non di uno potente, altrimenti avremmo già osservato conseguenze pesanti e quindi correlazioni meno incerte. Ma è pur sempre una tecnologia i cui effetti sono da approfondire e che ha avuto una diffusione di massa solo di recente. Tra l’altro oggi non ci sono neppure più popolazioni di controllo da confrontare con quelle delle persone esposte, perché pressoché tutti dispongono di smartphone, anche i bambini, che sono i più a rischio», sottolinea Belpoggi.
I bambini rischiano di più
«I più piccoli, infatti, hanno il 70% del corpo costituito da acqua, che è uno dei migliori trasportatori di energia che esista, per cui il loro corpo assorbe molto più del nostro. Senza contare il fatto che esiste un problema di dipendenza. Spesso sono dati in mano ai bambini, anche molto piccoli, in modo estensivo, a tavola al ristorante o in casa come fossero baby sitter – spiega l’esperta, che è anche componente del Comitato Scientifico di ISDE Italia- Medici per l’Ambiente e Membro dell’Accademia Internazionale di Patologia Tossicologica (FIATP) – Basterebbe almeno adottare delle precauzioni per ridurre la loro esposizione alle radiofrequenze». Un esempio riguarda la modalità di fruizione: «Invece che far guardare loro dei cartoni animati live, si potrebbero scaricare, in modo da sospendere la connessione».
Il 5G e le indicazioni sugli effetti negativi
Proprio per la velocità e la modalità di connessione, il 5G è da tempo al centro di preoccupazioni, ma come chiarito dallo stesso Karipidis e dai colleghi: «Dato il breve periodo di tempo trascorso dall’introduzione della tecnologia 5G, che opera a frequenze più elevate, non ci aspettavamo di trovare studi che trattassero l’associazione tra l’uso dei telefoni cellulari 5G e il rischio di neoplasia», si legge nello studio. «Tuttavia, sono stati condotti studi epidemiologici sui lavoratori dei radar esposti a campi elettromagnetici con frequenze superiori ai 6 GHz, che sono stati considerati per l’inclusione nella revisione».
Quale nesso tra 5G e tumori
«L’esposizione di interesse per i tumori nella regione della testa – si legge ancora – consiste nell’energia emessa dai telefoni cellulari portatili durante le chiamate vocali, con il dispositivo a contatto con la testa. La comunicazione e il trasferimento di dati da e verso i dispositivi sono stabiliti e regolati dalle stazioni radio-base. I segnali periodici per l’aggiornamento della posizione e l’eventuale traffico che si verificano quando il dispositivo è in modalità stand-by, non sono rilevanti per l’esposizione della testa, perché il telefono di solito non viene tenuto vicino ad essa».
Smartphone: quali raccomandazioni
Come proteggersi, dunque? «Sicuramente è meglio evitare il contatto tra il cellulare e la testa: è sufficiente usare gli auricolari, per esempio, meglio se con il cavo anche se è oggettivamente più scomodo, ma azzera l’esposizione – spiega Belpoggi – Anche il bluetooth comunque riduce di 100 volte la potenza delle radiazioni. Il vivavoce va benissimo, perché permette di tenere il cellulare lontano dalla testa. Servono, però, ulteriori ricerche. Mentre al settore, chimico, per esempio sono richiesti corposi (e costosissimi) dossier prima dell’immissione di nuovi materiali, questo non accade con le nuove tecnologie nell’ambito della telefonia mobile. Io non sono contraria per principio, ma invoco ancora una volta il principio di precauzione e studi approfonditi su animali di laboratorio, perché è l’unico modo per poter correlare eventuali patologie all’esposizione, valutando i risultati con il confronto con un gruppo di controllo “vero”».
Più informazione e sensibilizzazione sui rischi da smartphone
«Ci hanno messo in mano una Ferrari, cioè gli smartphone, ma senza insegnarci a guidarla. Le auto possono essere pericolose, si può anche morire, ma prendiamo una patente e, col passare degli anni, sono state introdotte misure di protezione come le cinture, gli airbag, ecc. Questo deve essere fatto anche per la telefonia mobile. Invece si tratta di un settore in crescita costante e, apparentemente, senza regole stringenti. Occorrono campagne di prevenzione per insegnare a usare correttamente il telefono», conclude Belpoggi.