Secondo diversi studi ci sarebbe un collegamento tra smog e osteoporosi: oltre all'età, a una ridotta attività fisica e al fumo, anche le esposizioni ambientali possono essere associate a un aumento di fratture.
"L'inquinamento atmosferico, il particolato con un diametro minore di 2,5 micron, è stato recentemente associato a un incremento di tasso di ospedalizzazione per fratture femorali e di polso in 9 milioni di americani over 65 anni e in 6 mila norvegesi", spiega Elena Colicino del Mount Sinai Hospital di New York, membro del Comitato scientifico della Società italiana di medicina ambientale (Sima).
"Una cattiva qualità dell'aria con elevati livelli di Pm2.5, Pm10 e black carbon – aggiunge – è stata inoltre associata a una riduzione della densità ossea in uno studio condotto sia su uomini di mezza età che su uomini tra 75 e 76 anni".
"Alcuni fattori ambientali, tra cui il piombo, il mercurio e il cadmio – continua Colicino – hanno mostrato di contribuire alla demineralizzazione ossea e a un più alto rischio di osteoporosi. Si affacciano anche nuove esposizioni chimiche (Pfas, sostanze perfluoroalchiliche o acidi perfluoroacrilici) principalmente presenti nei packaging alimentare, nel pentolame e come inquinanti indoor, che agendo sul sistema endocrino modulano gli ormoni e hanno un impatto sulla salute delle ossa, provocando una riduzione della loro densità e osteoporosi, principalmente nelle donne in menopausa".
Per Alessandro Miani, presidente Sima, "cambiamenti tecnologici e politici volti a ridurre le emissioni atmosferiche dannose potrebbero ridurre l'impatto economico per la sanità pubblica anche in quest'ambito". I dati sono stati diffusi in vista della vigilia della Giornata mondiale dell'osteoporosi (20 ottobre) e inquadrano il fenomeno: oltre un milione e mezzo di fratture femorali da osteoporosi negli over 65 dal 2000 a oggi, con una crescita costante fino a raggiungere quasi 100 mila ricoveri l'anno per questo tipo di problematica dell'anziano (+20% nelle donne e +30% nei maschi). Due fratturati su 3 hanno più di 80 anni e 4 volte su 10 si tratta di una donna over 85, come emerge dalle proiezioni basate sulla recente pubblicazione su 'Archives of Osteoporosis', condotta dall'epidemiologo Prisco Piscitelli e coordinata da Umberto Tarantino dell'Università di Roma Tor Vergata. Una fotografia allarmante se si pensa agli esiti: 400 mila decessi post-frattura e 200 mila casi di invalidità permanente. Tra il 2000 e il 2019 si stimano in 18 miliardi di euro i costi sanitari per ricoveri, interventi e riabilitazione, a cui si aggiungono almeno 2 miliardi di pensioni d'invalidità pagati dall'Inps.
"Nei nostri studi di analisi dei grandi database sanitari come le schede di dimissione ospedaliera – evidenzia Piscitelli, epidemiologo dell'Istituto scientifico biomedico euro mediterraneo (Isbem) e vice presidente di Sima – abbiamo dimostrato che dopo i 70 anni di età le fratture di femore sono una causa di ospedalizzazione di gran lunga superiore all'infarto". "Sappiamo – ricorda – che già dal 2005 i costi sanitari delle fratture femorali negli ultra 65enni in Italia, e dunque su base osteoporotica, hanno superato il miliardo di euro/anno se si include la riabilitazione, superando i costi degli infarti acuti del miocardio che si verificano oltre i 45 anni di età. Il 68% delle fratture si verifica dopo gli 80 anni e in particolare il 40% in donne ultra 85enni, mentre il 17% si registra negli ultra 90enni. Rispetto agli inizi degli anni 2000, quello delle fratture femorali sta diventando sempre più un problema del grande anziano".