La notizia ha suscitato molto interesse nei futuri genitori: poter disporre di un nuovo test in grado di diagnosticare potenzialmente tutte le patologie genetiche oggi conosciute, in particolare alcune di tipo metabolico e funzionale, come l’autismo. Si chiama Trio Prenatal Diagnosis, è un’analisi genetica che si esegue su un campione di sangue dei genitori e serve, appunto, a individuare eventuali malattie genetiche del bimbo in arrivo. Ma i genetisti frenano gli entusiasmi, chiarendo i limiti di questa procedura e suggerendone anche altre, già efficaci.
Cos’è il nuovo test genetico
Il nuovo test si basa essenzialmente sull’analisi dell’esoma umano. Si tratta della parte esterna del genoma, ossia il patrimonio genetico di ciascun essere umano, che si trova nella cellula. Poterlo “mappare” permetterebbe di individuare in maniera molto precoce diverse malattie, non tanto di tipo morfologico (malformazioni, per esempio), quanto funzionale come un funzionamento cerebrale o metabolico non regolare. «Il numero dei bambini che nasce con una di queste gravi malattie è altissimo», ha spiegato a Skytg24 Claudio Giorlandino, presidente della Società Italiana di Diagnosi Prenatale e Medicina Materno Fetale, indicando in 10mila il numero di casi ogni anno.
Come funziona il test e che malattia può individuare
Il test si effettua su un campione di sangue prelevato a 11 settimane di gravidanza, quindi in fase molto precoce, tramite villocentesi oppure analizzando il liquido amniotico a 16 settimane di gravidanza, mediante amniocentesi. Entrambe le procedure sono ormai molto consolidate e proposte alle donne, soprattutto se over 35. «Ben 1 bambino su 21 nasce con una malattia genetica non diagnosticata. Si pensi alle malattie neurologiche, a quelle metaboliche, all’autismo: queste vengono diagnosticate tardivamente. Lo studio dell’esoma invece ne rivela l’esistenza in una grande percentuale e in tutti i casi dove l’autismo è una componente di una sindrome genetica», ha aggiunto Giorlandino. Ma proprio questa informazione ha portato i genetisti a intervenire, per precisarne limiti e ricorso.
Quando ricorrere al test?
«Questo test è fortemente consigliato in tutti i casi in cui si riscontri anche una piccola anomalia ecografica o un dubbio come nelle dilatazioni dei ventricoli cerebrali e in centinaia di altri casi sospetti – ha sottolineato Giorlandino – Si rivolge inoltre in tutti i casi in cui i genitori vogliono conoscere la salute del figlio che verrà al mondo per essere preparati al meglio a gestire la situazione e ricorrere a terapie giuste in tempo, come in un ultimo caso di encefalopatia epilettica dove, grazie alla scoperta del gene alterato, fin da piccolo si è trovata la terapia mirata che ha corretto il difetto». Ma dai genetisti è arrivata una prima precisazione.
Serve davvero a diagnosticare l’autismo?
«Le malattie genetiche sono migliaia, per lo più estremamente rare, per molte la causa non è neanche nota. L’analisi dell’esoma identifica in ogni persona (anche assolutamente “sana”) un gran numero di “varianti genetiche”, alcune rarissime, che rappresentano solo la normale variabilità tra tutti noi. Alcune di queste causano malattie, anche gravi», premette Paolo Gasparini, Presidente della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU). Ma allora serve a diagnosticare l’autismo? «Per essere diretti, si potrebbero diagnosticare molte malattie note, nel caso in cui la specifica mutazione identificata sia già stata associata a quella malattia. Tra queste, anche alcune forme sindromiche che hanno tra i sintomi un disturbo dello spettro autistico, ma non l’autismo in sé che è una condizione a cui contribuiscono molti fattori diversi», spiega il professor Claudio Graziano, genetista dell’Università di Bologna.
L’opportunità di fare l’esoma
«L’analisi di sequenza dell’esoma non va considerato un test di routine – spiega il presidente SIGU, Paolo Gasparini –Nessuna società scientifica di genetica lo raccomanda. Non diagnostica tutte le patologie, certamente non l’autismo», ribadisce l’esperto, che aggiunge: «Il problema non è tanto quali malattie possono essere diagnosticate, ma quale valore attribuire a una determinata alterazione genetica e pesarne le conseguenze, motivo per cui, in generale, è proprio il quadro clinico di un paziente che “guida” l’interpretazione dei risultati. L’utilizzo in diagnosi prenatale, soprattutto in una gravidanza ad evoluzione regolare, ci sembra quindi ancora prematuro».
Quali esami per l’autismo
A questo proposito, però, Giorlandino ha voluto precisare a Donna Moderna: «Il test prenatale (come quello POST-NATALE) rileva TUTTE le SINDROMI genetiche che correlano i sintomi dello spettro autistico. Sono una piccola parte delle migliaia di patologie che il TRIO rileva. Ovviamente non tutte le forme di autismo sono conosciute e il test rileva solo quelle collegate a sindromi. Si specifica, infatti, che serve “in tutti i casi dove l’autismo è una componente di una sindrome genetica” – chiarisce il professore – Il test che, invece, diagnostica il maggior numero di forme di autismo è un altro e non è eseguito, per ragioni etiche in epoca prenatale. In epoca postnatale si esegue UCAS (Ultimate Complete Autism Screening)».
L’esoma: è un test nuovo?
C’è anche un altro aspetto da chiarire: «La notizia pubblicata da alcune testate giornalistiche secondo cui sarebbe disponibile un nuovo test prenatale in grado di rivelare tutte le malattie genetiche non è corretta. È noto da 10 anni e non individua tutte le malattie rare di origine genetica, ma solo alcune – spiegano gli esperti della Società Italiana di Genetica Umana – L’esoma rappresenta solo una parte dei nostri geni, ma è in questa porzione che si trova una buona percentuale delle alterazioni del DNA». Esistono, però, dei limiti: «C’è un consenso crescente sulla possibilità di utilizzare questa analisi in gravidanza, in presenza di malformazioni fetali, anche se le indicazioni precise, le modalità ed i tempi di esecuzione sono ancora materia dibattuta», sottolinea il presidente della SIGU.
Il test dell’esoma non è coperto dai LEA
In ogni caso l’analisi dell’esoma non è un test coperto dai LEA, i Livelli essenziali di assistenza, dunque non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale. «Senza negare le potenzialità dell’esoma anche nel contesto prenatale, la reale utilità clinica in gravidanza deve ancora essere ben approfondita in un contesto di ricerca», spiega la SIGU, che ritiene che «l’utilizzo dell’esoma in gravidanza debba, al momento, restare circoscritto a situazioni ben definite, indicative di aumentato rischio di patologia genetica e per cui non siano disponibili indagini di routine». Esistono, invece, altri esami predittivi, ritenuti utili dai genetisti.
Gli altri screening genetici disponibili
«In Italia, nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale, viene proposto uno screening non invasivo (translucenza nucale e bi-test) che stima il rischio di anomalie cromosomiche, in particolare trisomia 21. Molte regioni cominciano ad affiancare anche l’analisi non invasiva del DNA (cosiddetta NIPT), sempre rivolta alle principali anomalie cromosomiche, ma che ha la potenzialità di diagnosticare anche altre condizioni e che sarebbe auspicabile fosse diffusa su più larga scala», spiega il genetista Claudio Graziano. «Ha il vantaggio di essere effettuabile su un prelievo di sangue della donna in gravidanza. È vero che villocentesi e amniocentesi, in mani esperte, presentano rischi molto bassi (se non proprio nulli), ma sono pur sempre indagini invasive. Un prelievo di sangue è adatto per una diffusione più capillare nella popolazione. Il problema è che obiettivo porsi, almeno per il sistema sanitario pubblico: indagini che siano relativamente semplici dal punto di vista organizzativo, che siano ben consolidate, e che non alimentino situazioni di incertezza in un periodo delicato come quello della gravidanza», conclude il genetista.