La vitamina D fa bene, soprattutto alle donne e soprattutto quando con la menopausa aumenta il rischio di osteoporosi. O almeno così ci siamo abituate a sentire negli anni. Eppure dalla Francia arriva uno stop o quantomeno un freno all’integrazione della D3. Presto, infatti, potrebbe essere classificata come interferente endocrino, cioè in grado di influire sul normale equilibrio ormonale. «È importante che sia ribadito come la vitamina D si comporti come un ormone ed è interessante il richiamo a una certa attenzione nel dosaggio di integratori e farmaci», premette l’endocrinologo Giovanni Carlo Isaia, Direttore della Scuola di Geriatria e Malattie Metaboliche dell’osso presso l’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino, e Direttore della Scuola di Specializzazione in Geriatria dell’Università di Torino.

La vitamina D e gli effetti endocrini

A causare un “ripensamento” sui benefici della vitamina D sono le valutazioni della European Chemical Agency, che ha preso in esame uno studio sui roditori ai quali erano state somministrate quantità molto elevate dell’ormone. Le conclusioni del report europeo sui possibili effetti nocivi di un sovradosaggio di vitamina D hanno portato la Francia a pensare di classificarla come interferente endocrino. Per questo a breve gli integratori potrebbero riportare questa dicitura in etichetta, nel caso in cui si superi lo 0,1% di quantità nei prodotti che la contengono.

La Francia pronta a limitare gli integratori

L’obiettivo di Parigi è limitare il consumo (o l’abuso) di integratori a base di Vitamina D, che negli anni è aumentato. In realtà il governo francese mira a un più ampio progetto di contenimento dello spreco alimentare, riducendo acquisti di prodotti che spesso risultano non indispensabili, compresi cibi e integratori. Ma la vitamina D, quindi, serve oppure no? A mostrare qualche perplessità nei confronti del dietrofront delle autorità transalpine è stata la stessa Agenzia francese per l’alimentazione, l’ambiente e la salute e sicurezza sul lavoro. Secondo l’ANSES i rischi legati alla D3 (il precursore della vitamina D, chiamato anche colecalciferolo) sarebbero limitati a un sovradosaggio.

Quali rischi da troppa vitamina D

Gli esperti francesi ritengono che un’eccessiva quantità di vitamina D potrebbe interferire con gli equilibri ormonali. «Il problema riguarda soprattutto gli integratori, che si possono acquistare liberamente e in quantità eccessive. Può capitare, quindi, che un paziente assuma anche 10 gocce al giorno senza considerare che ogni goccia ha mille unità di vitamina D basale (quindi di colecalciferolo), mentre il fabbisogno normale va da 1.000 a 2.000 unità giornaliere al massimo. Solo in caso di particolari carenze si può arrivare a 3/4mila, ma solo su indicazione di un medico», sottolinea Isaia. «Più pericolosa è invece la vitamina D idrossilata, che però si trova solo in alcuni farmaci, quindi su prescrizione medica e con adeguato dosaggio. In caso di eccesso può portare a ipercalcemia, quindi eccesso di calcio nel sangue, che può dare sonnolenza, confusione mentale fino anche al coma», aggiunge l’endocrinologo.

I dubbi degli esperti e i benefici della D3

Gli esperti, però, ritengono che più che preoccuparsi di un sovradosaggio, sia dannoso un deficit. In Francia si stima che il 30% della popolazione sia in carenza. «Uno nostro studio del 2004 condotto sulle donne mostrava come il 70% delle over 65 sia in deficit di vitamina D. Negli uomini un po’ meno, ma molto può influire l’obesità, che ne riduce l’assorbimento. In ogni caso i benefici di un corretto quantitativo sono indubbi: la vitamina D ha aiutato a superare il rachitismo nei bambini, che oggi non è più un problema diffuso, e ha contribuire a ridurre i rischi di fragilità ossea nell’adulto e nell’anziano, dove spesso è causa di rottura del femore» spiega Isaia che è anche vicepresidente nazionale della Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro (SIOMMMS). «Ha anche benefici extra scheletrici, come sul sistema immunitario. Un paper americano ha di recente confermato un nostro studio del 2020/2021 sul nesso tra vitamina D e Covid 19 in termini di rafforzamento del sistema immunitario, in particolare contro questa malattia».

L’opinione degli endocrinologi

Già lo scorso febbraio una nota dell’Agenzia italiana del Farmaco (n.48/2023) aveva fatto discutere, rivedendo al ribasso i criteri di prescrizione della vitamina D. L’Aifa si era basata su studi in base ai quali «la supplementazione con dosi di vitamina D più che adeguate (2.000 Unità al giorno di colecalciferolo) e per diversi anni (oltre 5 anni nel primo studio e 3 anni nel secondo) non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi», spiegava l’Aifa. «Quegli studi presentavano alcune criticità, a partire dal fatto non prendevano in considerazione soggetti con carenza di vitamina D, ma solo persone con valori normali», osserva Isaia. «Studi sperimentali mostrano quanto sia importante per tantissimi apparati – aveva aggiunto Annamaria Colao, presidente della Società italiana di endocrinologia (Sie) – Il suo deficit è anche correlato allo sviluppo di tumori, al peggioramento di obesità e diabete, all’aumento dell’ipertensione».

Meglio i farmaci degli integratori

Insomma, nessuno stop alla vitamina D, ma un uso certamente meno disinvolto nel fai-da-te. D’altro canto anche le autorità d’Oltralpe suggeriscono, in via precauzionale, di ricorrere a implementazione tramite appositi farmaci invece che integratori. I primi, infatti, sono soggetti a normative più stringenti per quanto riguarda la sicurezza e soprattutto dispongono di foglietti illustrativi che «garantiscono sulle confezioni informazioni leggibili, precauzioni d’uso, rischio di effetti avversi e sovradosaggio».