Troppo caldo dà alla testa
Troppo caldo dà alla testa. Non è un modo di dire ma una realtà avvalorata dalla scienza: uno studio americano fornisce infatti "la prima prova dei danni cognitivi che le alte temperature indoor possono produrre durante le ondate di calore", spiegano gli autori su un numero speciale di Plos Medicine, dedicato all'impatto dei cambiamenti climatici sulla salute. Il messaggio ai nemici del condizionatore d’aria suona inequivocabile: nei locali bollenti non si suda soltanto, ma anche la mente rischia di andare in tilt e il rendimento crolla.
Ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health lo hanno dimostrato nei dormitori studenteschi con un esperimento condotto a Boston nellestate del 2016 – archiviata come la più calda degli ultimi 2 secoli – su 44 studenti sani e giovani, poco più che ventenni o poco meno. Mentre 24 vivevano in edifici costruiti all'inizio degli anni 90 e dotati di climatizzatore, gli altri 20 alloggiavano in palazzi datati fra il 1930 e il 1950 e quindi privi di aria condizionata.
Come realizzare un trucco resistente al caldo
Le stanze in cui riposavano sono state attrezzate con rilevatori della temperatura e dei livelli di anidride carbonica, umidità e rumore, e attraverso dispositivi indossabili in ogni partecipante sono stati valutati sonno e attività fisica. Il periodo di osservazione è stato 12 giorni: i primi 5 con temperature nella media stagionale, seguiti da altri 5 caratterizzati da ondate di calore e da successivi 2 di calo termico.
Ogni mattina, appena svegli, gli studenti dovevano eseguire sullo smartphone due test cognitivi: riconoscere il colore di parole che apparivano sul display (un esame usato per valutare la rapidità cognitiva e la capacità di focalizzarsi su uno stimolo in presenza di un altro) e rispondere a quesiti matematici di base (prova di velocità cognitiva e memoria).
Nei giorni più roventi, rispetto al "gruppo aria condizionata" chi dormiva senza ‘fan coil’ ha mostrato tempi di reazione più lunghi del 13,4% al primo test e risultati del 13,3% inferiori al secondo. Complessivamente, le risposte degli studenti che abitavano ‘al fresco’ non apparivano soltanto più pronte, ma anche più accurate. Le differenze restavano significative anche quando le temperature esterne scendevano perché indoor, senza climatizzazione, rimanevano alte.
Ogni mattina, appena svegli, gli studenti dovevano eseguire sullo smartphone due test cognitivi: riconoscere il colore di parole che apparivano sul display (un esame usato per valutare la rapidità cognitiva e la capacità di focalizzarsi su uno stimolo in presenza di un altro) e rispondere a quesiti matematici di base (prova di velocità cognitiva e memoria).
Nei giorni più roventi, rispetto al "gruppo aria condizionata" chi dormiva senza ‘fan coil’ ha mostrato tempi di reazione più lunghi del 13,4% al primo test e risultati del 13,3% inferiori al secondo. Complessivamente, le risposte degli studenti che abitavano ‘al fresco’ non apparivano soltanto più pronte, ma anche più accurate. Le differenze restavano significative anche quando le temperature esterne scendevano perché indoor, senza climatizzazione, rimanevano alte.
"La maggior parte delle ricerche che indagano gli effetti del calore sulla salute – osserva Jose Guillermo Cedeño-Laurent, uno degli autori – sono state condotte sulle cosiddette fasce di popolazione vulnerabili", per esempio i bambini e gli anziani, "inducendo a pensare che la popolazione generale non è a rischio durante le ondate
di calore". Ecco perché ad Harvard hanno scelto di arruolare persone giovane e sane, finora un territorio sostanzialmente inesplorato. Gli esperti ricordano come il caldo estremo abbia "serie conseguenze sulla salute pubblica", tanto da rappresentare "la prima causa di morte per fenomeni meteorologici". Un tema
scottante anche in metafora, visto che "a livello globale le temperature sono in crescita e ci si aspetta che in futuro, nelle metropoli, il numero di ondate di calore aumenterà".
Un'altra particolarità dello studio è stata quella di misurare gli effetti delle temperature indoor. Da un lato pensando che negli Stati Uniti, e probabilmente più in generale nei Paesi industrializzati, "gli adulti trascorrono il 90% del proprio tempo al chiuso". Dall'altro considerando che "spesso – precisa Joseph Allen, autore senior del lavoro, co-direttore del Center for Climate, Health and Global Environment della Harvard Chan School – "all'interno dei locali la colonnina di mercurio continua a salire anche quando fuori le temperature si sono ridotte e si ha la falsa impressione che il pericolo sia passato. In realtà l'ondata di calore prosegue indoor”.