Il tumore al colon retto ha caratteristiche diverse nella donna e nell’uomo, quindi andrebbe diagnosticato con strumenti diversi. Ma le donne dovrebbero anche fare esami diversi. In un documento, si sottolinea l’importanza della medicina di genere, in particolare per questo tipo di cancro
Il tumore al colon retto è il secondo tra i più diffusi in Italia, con oltre 48.000 nuovi casi nel 2022 e un aumento dell’1.5% negli uomini e dell’1.6% nelle donne. Colpa anche della pandemia, che inizialmente aveva costretto a bloccare o ridurre drasticamente gli screening, per dare priorità all’emergenza Covid. Ora che la situazione è tornata alla normalità, gli esami preventivi sono ripresi e proprio marzo è il mese della prevenzione per questa neoplasia. L’invito a fare gli screening è rivolto a tutta la popolazione con età compresa tra i 50 e i 70 anni, senza distinzioni di genere tra uomini e donne, anche se queste ultime hanno dimostrato finora una maggiore risposta alle campagne di sensibilizzazione.
Sintomi e tumori diversi per donne e uomini
Eppure non sempre gli esami diagnostici attualmente a disposizione risultano efficaci per le donne. A farlo sapere è un documento che ripropone l’importanza della medicina di genere. Come per altre patologie come l’infarto, infatti, esistono differenze nei sintomi e nella localizzazione delle patologie, che fanno sì che alcuni esami possano essere più o meno predittivi della malattia per le donne rispetto agli uomini.
Il tumore al colon retto è la seconda causa di morte
Ci sono tumori che statisticamente – e per ovvi motivi – colpiscono maggiormente le donne, come quello al seno. Quello al colon retto sembra, invece, avere una diffusione trasversale: è anche la seconda causa di morte per cancro sia per gli uomini che per le donne, con un totale di 20mila decessi all’anno. «Nonostante un’incidenza pressoché identica, le donne finora hanno mostrato una maggiore partecipazione agli screening preventivi, forse anche perché più abituate a sottoporsi a mammografie per la prevenzione del tumore al seno o a Pap test per quello alla cervice uterina. Esistono, poi, dei tabù che in alcuni casi limitano l’accesso agli screening negli uomini. È importante, invece, ribadire l’importanza di un esame semplice come quello del sangue occulto nelle feci, che non è invasivo, ma può permettere di intercettare una eventuale patologia allo stadio iniziale», spiega Marco Soncini, presidente AIGO, Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti Digestivi Ospedalieri e Direttore Dipartimento Area Medica ASST Lecco.
Lo screening: come funziona per il tumore al colon retto
L’effetto pandemia, dunque, ha ritardato gli screening preventivi, riducendo di oltre il 50% i soggetti che hanno effettuato il test cosiddetto “di indagine primaria”, cioè quello usato principalmente per la diagnosi della malattia. Si tratta della ricerca del sangue occulto nelle feci che si è dimostrato in grado di ridurre l’incidenza del tumore di oltre il 20% e della mortalità specifica di oltre il 30%. «Solo in caso risulti positivo, si passa a un’indagine di secondo livello che consiste nella colonscopia. Va chiarito, però, che la positività in sé del primo esame non implica necessariamente la presenza della neoplasia», spiega Soncini.
In effetti possono esserci anche casi di falsi positivi o falsi negativi, condizione quest’ultima che accade più di frequente nelle donne. Oltre alle differenze geografiche sul territorio italiano (in alcune regioni al Sud non è attivo come strumento di diagnosi preventiva o è stato introdotto da poco), ci sono però anche differenze di genere.
Le differenze nel test per il tumore al colon retto tra donna e uomo
Con un documento dell’8 marzo, diffuso dalla professoressa Marialuisa Appetecchia, Direttore di Struttura della Uo di Endocrinologia Presso Istituto Nazionale Tumori “Regina Elena” IFO IRCCS di Roma, si fa esplicito riferimento alla diagnosi di alcuni tumori in relazione al genere. In particolare, si rimanda a un comunicato dell’Istituto Superiore di Sanità nel quale, a proposito di linee guida negli screening, diagnosi e terapie, si raccomanda di procedere allo «sviluppo di raccomandazioni sesso e genere specifiche, laddove necessario, dopo un’accurata revisione della letteratura scientifica sulle eventuali differenze di sesso e genere nei fattori di rischio, incidenza, epidemiologia, progressione, manifestazioni cliniche, risposta ai trattamenti e prognosi». Il caso tumore al colon retto viene citato come esempio concreto che porta a una rivalutazione degli esami da eseguire per la «la minor efficacia del test per la ricerca del sangue occulto nelle feci, come strumento di screening nella donna – si legge del testo dell’ISS – con una maggiore probabilità di falsi negativi rispetto a quanto osservato nell’uomo, a causa della più frequente localizzazione del tumore nel colon destro ascendente».
Strumenti diversi per le donne
«Il fatto che questa neoplasia possa presentarsi in un punto differente, dunque, ci porta a dedurre che questo tipo di esame possa essere meno predittivo di quanto non lo sia nell’uomo. Ma non solo: il documento fa riferimento anche alla “necessità di utilizzo di dispositivi medici appropriati all’anatomia femminile, per la maggiore lunghezza e il minor diametro del colon trasverso femminile”, sottolineando l’importanza della «creazione di percorsi diagnostici più specifici», chiarisce la dottoressa Cecilia Invitti, già referente della Medicina di Genere presso l’Istituto Auxologico di Milano ed esperta in materia.
Quali esami fare per il tumore al colon retto?
Diventa essenziale, dunque, «procedere allo sviluppo e all’aggiornamento delle Linee Guida per la pratica clinica, seguendo un approccio che tenga conto dei determinanti di sesso e di genere nei vari aspetti di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione», spiega nella nota dell’Iss Elena Ortona, direttore del Centro di riferimento per la Medicina di Genere. Ma allora quali esami dovrebbero eseguire le donne? «La ricerca del sangue occulto nelle feci rimane uno strumento fondamentale», ricorda Soncini, anche se la diretta conseguenza di questa novità, a cui fa riferimento l’Iss, «porta a pensare che per le donne diventi più importante procedere con una eventuale colonscopia», spiega Invitti. Questa diventa ancor più importante in caso di particolari condizioni, come la familiarità o alcuni sintomi.
La prevenzione al colon retto: quando, come e dove
«L’età indicata per gli screening, rivolti a una popolazione adulta che non presenti sintomi, è tra i 50 e i 70 anni ed è a loro che arriva l’invito, sotto forma di lettera da parte delle Asl, a sottoporsi all’esame del sangue occulto nelle feci. È sufficiente presentarsi in farmacia per il ritiro del flaconcino con cui raccogliere il campione. Si tratta di circa 6 milioni di persone nel 2019, scese a 4 milioni nel 2020 e che vorremmo riportare almeno a 5 milioni ora che la pandemia è finita. Anche perché è bene ricordare che oggi in Italia ci sono oltre 500mila persone che vivono dopo una diagnosi di tumori del colon retto, con una percentuale di guarigione significativa e con sopravvivenza fino al 90% dei casi, frutto spesso di una diagnosi tempestiva», ricorda Soncini. L’Iss, intanto, spiega che «La terapia estrogenica potrebbe avere un ruolo protettivo nello sviluppo del tumore nelle donne post-menopausa con familiarità», sottolineando però «la necessità di estendere l’età dello screening nelle donne, data la comparsa del tumore in età più avanzata nel sesso femminile».
I fattori di rischio per il tumore al colon retto
Tra i fattori che potrebbero aumentare le probabilità di insorgenza della malattia, però, ci sono anche «sicuramente il fumo e il sovrappeso. L’alimentazione ha un ruolo fondamentale per buona parte dei tumori del tratto gastroenterico come colon retto, pancreas, esofago e stomaco, insieme all’alcol. Questo significa non eccedere, per esempio, con le carni rosse, insaccati, farine e zuccheri raffinati, privilegiando invece frutta e verdura, che sono ricche di fibre – spiega il gastroenterologo – Anche lo stile di vita può incidere, per cui è sempre consigliato un esercizio fisico moderato. Infine, certamente la familiarità è un fattore di rischio in una fetta di popolazione che però in genere segue canali diagnostici differenti rispetto agli screening di massa», conclude Soncini.