Oggi la sopravvivenza delle donne con tumore ovarico sta aumentando in modo significativo: se l’incidenza del tumore ovarico si è ridotta di poco, si sta riducendo la mortalità. Insomma le donne con tumore ovarico oggi vivono molto più a lungo, anche se non guariscono.
8 maggio: Giornata mondiale sul tumore ovarico
A diffondere i dati e anche un certo ottimismo sul futuro della cura della malattia è l’associazione Acto Italia, impegnata nella lotta al tumore ovarico e nella sensibilizzazione su questa patologia, in occasione dell’anniversario della decima Giornata mondiale sul tumore ovarico, che cade l’8 maggio (per tutti gli eventi: acto-italia.org/it). Dieci anni fa otto donne su dieci non conoscevano neanche il tumore ovarico. Oggi ne sono a conoscenza il 50 per cento.
Tumore ovarico: il terzo dopo seno ed endometrio per incidenza
Il tumore ovarico rientra tra i tumori ginecologici che colpiscono circa 230mila donne all’anno, circa la metà di quelle con tumore al seno – che sono 600mila. Dopo il tumore all’endometrio, che vede 10mila diagnosi ogni anno, quello alle ovaie è il più diffuso, con 5370 nuove pazienti ogni anno, una donna su 82. Poi vengono i tumori alla cervice uterina (3mila e 100), quindi a vulva e vagina, 1349. «Negli ultimi dieci anni abbiamo vissuto una vera rivoluzione nella conoscenza e nella cura del tumore ovarico» sottolinea Nicoletta Cerana, presidente di Acto Italia. «Il muro di silenzio ha lasciato spazio alla diffusione dell’informazione, soprattutto in seguito alla vicenda di Angelina Jolie, che per prima portò all’attenzione mondiale il tema della mutazione genetica. E con l’attenzione, anche la ricerca ha ricevuto un forte impulso in avanti. Il problema è che oggi mancano strumenti di prevenzione: la prima arma di difesa è l’informazione».
I nuovi farmaci che aumentano la sopravvivenza
Cruciali sono stati gli ultimi cinque anni, con la scoperta di nuovi farmaci. Una pioniera nella ricerca e nella cura è la professoressa Nicoletta Colombo, professore associato all’Università Milano Bicocca e direttore del programma di ginecologia allo Ieo (Istituto europeo di oncologia) di Milano.
Quali farmaci hanno cambiato la storia della malattia?
«A differenza di altri tumori, con il tumore ovarico è più difficile utilizzare la medicina di precisione perché non ha mutazioni specifiche: è un caos genomico, con infiltrazioni, deiezioni ma non mutazioni e questo ha limitato molto la ricerca. Negli ultimi anni però abbiamo trovato un bersaglio, cioè si è capito che almeno il 50 per cento dei tumori ovarici ha un difetto nel meccanismo di riparazione del proprio dna, il normale sistema di riparazione che ha ogni nostra cellula per ripristinare i quotidiani danni al proprio dna. Oggi riusciamo a sfruttare questo difetto con farmaci che bloccano la riparazione stessa, impedendo cioè al tumore di ripararsi».
Come si chiamano questi farmaci?
«Questi farmaci si chiamano parp inibitori e vengono usati come mantenimento dopo la chemioterapia. I risultati sono straordinari: uno studio dimostra che dopo 7 anni sono vive il 67 per cento delle donne, contro il 46 per cento delle pazienti che hanno preso il placebo. Il 45 per cento non ha avuto recidive rispetto al 20 per cento di quelle che non hanno preso il farmaco. E per noi, non avere recidive dopo sette anni vuol dire essere guarite».
Come si curano le recidive?
«I farmaci più promettenti per le recidive oggi sono gli anticorpo coniugati, cioè dei chemioterapici che vengono “legati” a un anticorpo. Anziché immettere nel sangue il farmaco e sperare che intercetti il tumore, il farmaco viene veicolato direttamente sul tumore attraverso un anticorpo che, riconoscendo un particolare recettore sul tumore, porta il farmaco dentro alla cellula tumorale. Questo vuol dire che raggiungiamo il tumore attraverso un farmaco molto concentrato. Uno di questi anticorpi è stato già approvato nel iStati Uniti e lo stiamo aspettando in Europa. Dopo i parp inibitori, questi farmaci rappresentano un’altra rivoluzione nella cura».
L’immunoterapia funziona per il tumore ovarico?
«L’immunoterapia ha fatto miracoli per il melanoma, il tumore al polmone e al rene e, in ambito ginecologico, alla cervice e all’endometrio. Fino a oggi, però, l’immunoterapia ha dato risultati deludenti su questo tumore ma nuovi fronti di ricerca si stanno aprendo».
Come funziona l’immunoterapia?
«Si cerca di stimolare il sistema immunitario in modo che riconosca il tumore come estraneo e lo aggredisca. Tutto parte dai linfociti che, quando c’è un tumore, risultano bloccati: la causa è il legame tra due sostanze, dei recettori che si uniscono e inibiscono così i linfociti, frenando il sistema immunitario. I farmaci in pratica interferiscono su questo blocco, come se ci fosse un freno a mano che viene così rilasciato. Finora col tumore ovarico non ci sono stati risultati positivi ma un nuovo studio promettente ci fa essere ottimisti. Un nuovo farmaco (l’interleuchina 2) dovrebbe agire stimolando i linfociti che aggrediscono il tumore e bloccando quelli che frenano il sistema immunitario. La tecnologia insomma ci aiuta a costruire farmaci particolari che stimolano in modo diverso i stemma immunitario».
Poi c’è la terapia cellulare
«È una terapia agli albori a livello mondiale: si isolano dal tumore i linfociti T, li estraiamo e li alleniamo in vitro contro i tumore stesso per poi reintrodurli. In pratica li manipoliamo per riconoscere meglio il tumore e combatterlo».
E nel caso di più recidive?
«Quando si presentano più recidive, vuol dire che siamo di fronte a una resistenza ai parp inibitori. Allora, per potenziare o ripristinare la sensibilità ai parp inibitori, si associano gli immunoterapici e altri farmaci».
Un vaccino anche contro il tumore ovarico?
L’azienda farmaceutica Moderna ha annunciato nei giorni scorsi che entro il 2030 potrebbero arrivare i primi vaccini personalizzati a mRna contro cancro, malattie cardiovascolari e quelle autoimmuni. In pratica verrebbe creata una molecola di Rna messaggero (mRna) con le istruzioni per produrre gli antigeni che causeranno una risposta immunitaria. La mRna, una volta iniettata, si tradurrà in parti di proteine identiche a quelle presenti nelle cellule tumorali. Le cellule immunitarie li incontrano e distruggono le cellule tumorali che trasportano le stesse proteine.
Si può pensare a un vaccino mRna anche contro il tumore ovarico?
«La tecnologia mRna si potrà utilizzare in campo oncologico, ma per il tumore ovarico è ancora presto».