Tumore alla vescica
Sono 57 mila le donne, in Italia, colpite da tumore delle vescica e delle vie uroteliali superiori, (vs 212.000 uomini), per un totale di 269.000 casi. Ma solo nel 2018 sono state solo fra le donne circa 5.600 le nuove diagnosi. Con stime in crescita, direttamente proporzionali al numero aumentato di fumatrici, esposte a un rischio di malattia 4-5 volte superiore rispetto alle non fumatrici.
A preoccupare non sono solo i numeri, ma anche la difficoltà di diagnosticare precocemente il tumore della vescica, spesso 'ingannato' da una sintomatologia subdola.
Se n’è parlato a Venezia al 92° Congresso nazionale della Società italiana di urologia (Siu). Sebbene l’incidenza del tumore vescicale sia più contenuta nella donna, la diagnosi resta più difficile e complessa. "Spesso la 'scoperta' è tardiva – spiega Walter Artibani, professore di Urologia e Segretario generale della Siu – a causa di fattori confondenti, in primo luogo la sottostima sia da parte della paziente che del medico delle cistiti emorragiche, le quali invece, così come qualsiasi altro episodio di ematuria macroscopica, anche episodico, non vanno mai banalizzate. Anzi, sono meritevoli di approfondimento diagnostico con ecografia addominopelvica, citologie urinarie e cistoscopia a seconda dei casi. Ovvero indagini che permettono di escludere la presenza di un tumore vescicale e/o di arrivare a una diagnosi precoce cui è legata una prognosi migliore e maggiori possibilità terapeutiche, anche conservative. Oltre alle cistiti emorragiche non vanno sottovalutati i disturbi persistenti di 'sindrome da urgenza' che aumentano il bisogno 'impellente' di urinare".
Esistono diverse tipologie di tumori vescicali e prima si riconoscono migliore sarà anche la possibilità di cura. "Vi sono due grandi categorie di tumori vescicali – chiarisce Artibani – quelli superficiali che non infiltrano in profondità la parete vescicale, e quelli infiltranti che coinvolgono in profondità la parete, incluso il tessuto muscolare".
"A seconda della tipologia di malattia – spiega l'esperto – anche il trattamento sarà differente: le forme superficiali sono piuttosto ‘noiose’, perché tendono a recidivare richiedendo, quindi, valutazioni e trattamenti plurimi nel corso degli anni, ma non pericolose in quanto, se ben trattate, raramente progrediscono. Di norma per la cura delle forme superficiali si ricorre a metodiche non invasive con resezioni endoscopiche seguite, su necessità, da instillazioni vescicali con chemioterapici a base di mitomicina o immmunoterapia. Mentre le forme infiltranti muscolo invasive, piuttosto aggressive, richiedono trattamenti tempestivi, invasivi e integrati".