Sei mai stata nella sala di attesa di un centro oncologico? Probabilmente sì, per accompagnare una persona cara o per sottoporti alla mammografia di controllo. E, prima o poi, sarà capitato anche a te di ascoltare i discorsi sui tumori ereditari, “in casa”, sulle forme oncologiche che colpiscono più persone della stessa famiglia.
Tumori “ereditari” anche senza mutazione
Qualcuno lo dice esplicitamente, qualcun altro lo lascia anche solo intuire ma tutti sono accomunati dallo stesso pensiero: «Chissà» ci si chiede «se il cancro colpirà anche me». «Sono preoccupazioni più che comprensibili» sottolinea Giancarlo Pruneri, direttore del Dipartimento di diagnostica avanzata dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. «La malattia oncologica, così come tutte le patologie, può avere una tendenza a ricorrere nella stessa famiglia, senza che ci sia una mutazione genetica specifica identificabile. Le ragioni infatti possono essere altre, quali fattori ambientali oppure epigenetici».
Tumori “ereditari” a causa dell’ambiente
Ci sono famiglie, in pratica, che hanno una maggiore predisposizione ad ammalarsi a causa dell’ambiente in cui vivono. Ne sono una prova le aree di Lodi, Bergamo, Pavia, Sondrio e Cremona che, come ha dimostrato una ricerca, hanno il più elevato livello di mortalità per cancro a causa dell’alto tasso di inquinamento. Oppure alcune zone italiane dove la concentrazione di tumori provocati dall’amianto è molto più alta, quali Casale Monferrato e la Liguria. E sono soprattutto questi gruppi familiari che devono seguire un programma di prevenzione personalizzato.
L’epigenetica
Oggi iniziano a essere sempre più consistenti le ricerche relative all’epigenetica, la scienza che studia come i geni possono venire regolati senza modificare il DNA. All’ambiente si aggiungono fattori come un’alimentazione errata, il fumo, l’alcol, l’obesità: alla lunga tutto questo può influire sulle trasformazioni della cellula da sana in malata, senza che ne venga alterata la sequenza del DNA.
Tumori ereditari: quanto conta lo stile di vita
Che cosa fare in questi casi? «Innanzitutto, parlarne con l’oncologo» suggerisce il professor Pruneri. «E rispondere con sincerità a tutte le domande che riguardano lo stile di vita, l’attività lavorativa. In questo modo, è possibile mettere in atto un piano preventivo». In altre parole, seguire un’alimentazione povera di grassi animali, e invece ricca di verdura, frutta, legumi e pesce, niente alcol, niente fumo, più attività sportiva, dimagrire se si è in sovrappeso. Secondo gli ultimi dati, seguire queste regole significa garantirsi circa il 40% in meno di rischio di ammalarsi di tumore. Vale anche la raccomandazione di sottoporsi a controlli regolari e in particolare agli screening. Che oggi riguardano colon-retto, utero, seno, prostata (in Lombardia) e polmone (nell’ambito di un programma di studio supportato dal ministero della Salute). Qui ci sono dei lavori scientifici in corso per modificarne le modalità. I criteri su cui si basano sono essenzialmente sesso ed età, ma sarà necessario impostare controlli personalizzati sulla base del rischio individuale, con un risparmio di costi, certo, ma soprattutto di ansia per le persone.
Tumori ereditari per mutazioni genetiche
Ben diversa invece è l’ereditarietà. Perché in questo caso è legata alla trasmissione di mutazioni genetiche dal genitore al figlio. E questo aumenta significativamente il rischio di sviluppare determinati tipi di tumore. «La lista oggi è piuttosto lunga» dice Pruneri. «Il più conosciuto è il BRCA. Sappiamo che questi geni sono implicati nel cancro del seno e dell’ovaio per le donne, del pancreas per entrambi i sessi e della prostata per gli uomini. Conosciamo anche il TP53, associato alla sindrome di Li Fraumeni, una rara condizione di origine ereditaria che predispone allo sviluppo di diversi tipi di forme oncologiche maligne. O ancora, CDH1, coinvolto nello sviluppo del tumore lobulare del seno e del tumore gastrico diffuso». Il test, continua il professor Pruneri, viene prescritto al paziente, se c’è il sospetto che si tratti di un tumore di origine genetica. Da qui, scatta la possibilità per i familiari di sottoporsi alle stesse indagini al fine di conoscere, nel caso di chi ha già avuto una malattia oncologica, se è genetica, e per chi è ancora sano, se è portatore. È un processo lungo, che può durare mesi e mesi e che richiede il supporto dello psico-oncologo.
Tumori ereditari: cosa vuol dire avere la mutazione
E poi? La domanda se la pone chi si scopre portatore del gene. Perché, attenzione, la positività non significa malattia certa, ma una probabilità più alta di soffrire di una delle forme legate a quel determinato gene. Per questo, scatta una prevenzione ad hoc, con il coinvolgimento diretto della donna, parte attiva e non più passiva, come sottolinea anche il “motto” del WCD, la giornata mondiale dedicata al cancro, che come ogni anno si tiene il 5 febbraio (www.worldcancerday.org). «Per le donne sane BRCA positive, gli studi di questi ultimi anni hanno dimostrato una riduzione di oltre il 90% del rischio di sviluppare un tumore mammario oppure ovarico con la mastectomia profilattica, cioè l’asportazione di entrambi i seni, e la salpingo-ovariectomia profilattica, cioè l’asportazione di ovaie e tube» racconta Corrado Tinterri, docente di Humanitas University, direttore Breast Unit Humanitas di Rozzano, Milano. «Dev’essere preceduta, per quanto riguarda l’ambito ginecologico e per chi lo desidera, dalla crioconservazione degli ovociti, per permettere un’eventuale gravidanza. In alternativa alla chirurgia di riduzione del rischio mammario è raccomandabile attivare un percorso di sorveglianza clinica e strumentale con eco e mammografia e risonanza magnetica alternate ogni sei mesi, per intervenire tempestivamente se compare la malattia».
Tumore al colon
Un altro esempio è la sindrome di Lynch, una condizione genetica ereditaria che comporta una predisposizione in particolare al tumore del colon retto. In questo caso, le persone, come da linee guida, vengono sottoposte a una colonscopia di controllo ogni 12-24 mesi a seconda del rischio. «Abbiamo uno studio in corso per verificare la fattibilità della biopsia liquida quale strumento di prevenzione» chiarisce Marco Vitellaro, responsabile dell’Unità dei Tumori Ereditari dell’Apparato Digerente, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. «Attraverso un semplice prelievo di sangue, valutiamo la presenza di alcuni marcatori tumorali, indicatori della presenza di polipi anche in fase precoce della malattia. Questo, ci permetterà in futuro di programmare controlli personalizzati». E personalizzare è la parola chiave, quella che, a partire dal “nostro” rischio sempre di più ci permetterà di evitare la malattia.
Un’analisi del sangue per scovarli sempre prima
La risonanza magnetica “total body”, per la diagnosi precoce dei tumori. Un sogno, oppure una realtà? «Sono esami costosi che hanno bisogno di ulteriori conferme scientifiche» dice il professor Pruneri. «C’è invece molta attenzione per i test sul sangue che esaminano il DNA circolante nel sangue in persone sane.
Il futuro sarà questo: la combinazione di un test sul sangue per rilevare la presenza di un marcatore tumorale specifico e di un esame strumentale, un mix ad hoc per scovare presto l’organo aggredito dalle cellule tumorali, quando è quasi sempre sufficiente l’intervento chirurgico per debellare la malattia».
L’importanza della psico-oncologa
Elena ha un tumore BRCA positivo. «Ho due figlie» ci racconta. «Abbiamo avuto una serie di colloqui con la psico-oncologa, perché la decisione di sottoporsi al test non si prende a cuor leggero. Con un lavoro che è doppio. Per quanto riguarda le mie figlie, significa comprendere consapevolmente il valore nel futuro della propria decisione. Per me, anche agire sui sensi di colpa in caso di test positivo, per avere trasmesso dei geni malati». Il counseling psicologico ha l’obiettivo di aiutare il processo decisionale della donna, sia nella scelta di effettuare o meno il test genetico, sia nell’accettazione dei risultati, se l’esito è positivo.
«È un percorso che richiede psico-oncologi con una preparazione ad hoc, in grado anche di supportare i familiari coinvolti» dice Claudia Borreani, responsabile Struttura Semplice Dipartimentale Psicologia Clinica, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. «La complessità emotiva è imponente e comporta anche fare emergere e affrontare eventuali problematiche legate al rifiuto da parte di alcuni membri familiari di sottoporsi al test genetico».