I rischi della vitamina D
Quanta vitamina D occorre ogni giorno e quando occorre integrarla, ma soprattutto in che dosi? Il dibattito è aperto da tempo e di recente a riportare l’attenzione sul tema è stata l’opinione di cardiologo americano che, sulla rivista Medscape, ha sottolineato non tanto i benefici della vitamina D, quanto piuttosto i rischi che si correrebbero nella supplementazione con integratori.
Il dosaggio di vitamina D negli Stati Uniti
La sua opinione, però, è riferita soprattutto alla realtà degli Usa, dove i dosaggi delle pastiglie o delle gocce sono molto maggiori rispetto all’Italia. Senza contare che anche la popolazione obesa è superiore e il grasso in eccesso finisce con il vanificare gli effetti della vitamina D, che è idrosolubile e dunque si scioglie nel tessuto grasso senza essere assorbita dall’organismo, in particolare dalle ossa.
Eppure restano dubbi, anche riguardo le modalità di assunzione di questo pro-ormone, fondamentale proprio per la salute di denti e ossa, soprattutto per le donne e col passare degli anni. Ecco le risposte dell’esperto, l’endocrinologo Giovanni Carlo Isaia, Presidente dell’Accademia di Medicina di Torino e della Fondazione Osteoporosi, oltreché Professore di Medicina Interna e Geriatria Università di Torino.
Quanta ne serve davvero
Partiamo dal presupposto che, rispetto a qualche decennio fa, lo stile di vita è cambiato: oltre a una maggiore sedentarietà, è aumentato il tempo trascorso al chiuso (casa, ufficio, scuola). Questo ha contribuito a far crescere la fetta di popolazione con carenza di vitamina D, che viene favorita anche dall’esposizione solare, oltre che dall’alimentazione (20%) e dal movimento. In Italia si stima che si stima che il 60-80% delle persone non ne abbia una quantità sufficiente. Nei Paesi nordici, meno soleggiati, da tempo si integra la dieta con la vitamina D. Ma serve anche da noi? «Assolutamente sì, come dimostrato già nel 2014 con un nostro studio: l’Italia è uno dei Paesi con la maggior ipovitaminosi D, cioè carenza di questa vitamina, insieme a Grecia e Spagna. Può sembrare strano visto che sono tutti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma la differenza è data dal fatto che proprio finlandesi e norvegese “cercano” il sole, dal momento che ne hanno meno: non solo prediligono le vacanze al mare, ma da anni addizionano di vitamina D cibi di largo consumo, come latte, formaggio, ecc. Insomma, hanno capito che fa bene alla salute, non solo alle ossa, ma anche ai muscoli e ad altri organi. Anche noi dovremmo preoccuparci degli effetti della carenza di vitamina D, specie nella popolazione anziana che spesso sta meno al sole perché esce meno, non va al mare, si vergogna a mettersi in costume o ha problemi di pelle che sconsigliano l’esposizione solare», spiega Isaia.
Quanta vitamina D integrare e con che frequenza
Secondo gli studi condotti finora, chi si espone poco al sole produce in media 400 unità giornaliere di vitamina D, che sono ritenute insufficienti: «L’ideale sarebbe arrivare a 2.000 unità in un soggetto adulto, che però in un anziano possono raggiungere anche le 4.000 perché si tratta di persone fragili e a maggior rischio, per esempio, di cadute, fratture, ecc.», chiarisce l’esperto, che aggiunge: «Quanto alla frequenza con la quale assumere vitamina D, dipende un po’ anche dal soggetto: essendo in realtà un ormone, viene metabolizzato in modo differente a seconda delle persone. In generale, si predilige un’assunzione ravvicinata, quindi giornaliera invece il monodose mensile. Diciamo che se una goccia normalmente contiene 500 unità di vitamina D, 3-4 al giorno sono l’ideale. Può andar bene, comunque, anche un dosaggio settimanale, perché l’organismo è in grado di “stivare” eventuali quantità in eccesso e poi rilasciarle nel tempo».
Proprio il rischio di un sovradosaggio è un altro tema centrale.
Si rischiano effetti collaterali col sovradosaggio?
«Dagli studi e dalle osservazioni che abbiamo condotto anche noi non emerge alcun rischio legato a un sovradosaggio di vitamina D: anzi, ci è capitato di avere pazienti che avevano assunto in un solo giorno la quantità di vitamina D prevista mensilmente, senza riportare danni. Questo perché l’organismo ha una sorta di autoregolazione: se viene introdotta una quantità eccessiva, questa finisce nel tessuto adiposo, che funziona come una specie di banca o deposito – spiega Isaia – D’altro canto basta pensare a cosa avveniva in antichità, con gli uomini primitivi: loro cercavano di farne incetta in estate, in vista dell’inverno quando vivevano per lo più nelle caverne, ma potevano contare su un rilascio graduale di scorte già accumulate».
«Attenzione, però, perché questo è valido solo con la vitamina D da colecalcifenolo, non con quella idrossilata, che invece può dare mal di testa, intossicazioni, ecc. Al di là della spiegazione scientifica sulla differenza tra le due, possiamo chiarire che la prima è quella che si trova in pressoché tutti gli integratori in commercio, mentre la seconda è solo nei farmaci, che possono essere comprati solo con ricetta e prescrizione medica». «Naturalmente questo non vuole dire che si possano superare le dosi consigliate di 2.000 unità al giorno, ma che se dovesse accadere di assumerne di più per poco tempo, non ci sarebbero effetti collaterali importanti».
Quanto contano l’età e il peso della persona
Sulle quantità necessarie a integrare i quantitativi ideali di vitamina D possono incidere anche l’età e il peso. Nel primo caso perché, come chiarito dall’esperto, gli anziani avrebbero bisogno di dosi superiori; nel secondo caso perché «trattandosi di un ormone liposolubile, cioè che si scioglie nel grasso, in presenza di maggior tessuto adiposo la vitamina D viene inglobata da quest’ultimo e ne rimane di meno a disposizione degli organi. Per questo, ad esempio, a parità di esposizione solare gli obesi hanno maggiore probabilità di avere ipovitaminosi D». Proprio a proposito della circolazione della vitamina D, diversi studi hanno mostrato i benefici non solo su ossa e muscoli, ma anche ad esempio sull’intestino.
I benefici: dalle ossa all’intestino
Secondo diverse ricerche una carenza di vitamina D può essere associata anche a disturbi intestinali, come diarrea frequente e crescita più contenuta, che invece farebbero pensare alla celiachia. «Il motivo è semplice: la vitamina D può essere paragona a una chiave che, per aprire una porta, necessita di una serratura rappresentata in questo caso dai recettori. Ebbene, questi ultimi si trovano in tutto il corpo, non solo nei muscoli o sulle ossa, ma anche nell’intestino o nelle cellule bianche del sangue, ad esempio. Questo spiegherebbe anche come mai la vitamina D è importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario» conclude l’esperto.