Otto medici in camice bianco circondano Anna, stesa su un lettino ginecologico. Gli sguardi degli specialisti tradiscono confusione, alcuni si coprono la bocca con la mano, altri bisbigliano tra di loro. Anna – nome inventato – è poco più che ventenne ed è terrorizzata. Da anni prova un forte dolore vulvare, le terapie non portano risultati e nessuno sa perché. Sono i primi anni ’90 e non si è mai sentito parlare di una malattia invisibile, ancora oggi complessa da decifrare: la vulvodinia. Conosco il senso di smarrimento di Anna: l’ho provato nel 2019, quando a 29 anni mi è stata diagnosticata la stessa condizione. Oltre a noi, ci sono altre 440mila donne con questa patologia cronica.
Vulvodinia: le storie
«La Sindrome Vulvo Vestibolare è un dolore cronico a livello vulvare che persiste per più tre mesi» spiega Chiara Marra, medico chirurgo, specialista in ginecologia e ostetricia, fondatrice del poliambulatorio Casa Medica di Bergamo e vicepresidente del Comitato vulvodinia neuropatia del pudendo. «I sintomi – bruciore, prurito, dolore vulvare, vaginale, clitorideo, anche durante o dopo i rapporti sessuali – fanno pensare a infezioni vaginali, ma non lo sono. Il ritardo diagnostico è molto frequente» spiega Marra, per cui la fiducia medico-paziente è essenziale nel percorso terapeutico. «Di vulvodinia non si muore. Ma non si vive neanche», dice Laura. «La strada per avere risposte e sentirmi capita, da medici, famiglia e amici, è ancora lunga. A volte non riesco a vedere una fine» spiega Dalila.
Alice ha ricevuto una diagnosi dopo tre anni di cure inefficaci: «È stato un sollievo dare un nome al mio dolore fisico e psicologico». «Ho la vulvodinia da quando ho 15 anni» aggiunge Giada. «Non riuscivo ad avere rapporti penetrativi, ma il medico diceva che non mi rilassavo abbastanza. Invece soffrivo di ipertono, neuropatia del pudendo, vulvodinia ed endometriosi». Sento tutta la sofferenza di queste donne – a cui, ho dato nomi fittizi per proteggerne la privacy – la paura e il bisogno di essere capite.
Sono storie che ho raccolto con un sondaggio, condiviso nel gruppo Telegram di Chiara Natale – su Instagram @chiara.lapelvi – divulgatrice, attivista e consigliera del Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo. Quando la contatto, risponde: «Certo, conta su di me. Ti scrivo dopo, sto entrando in Senato». È un mese prima dell’11 novembre 2023, Giornata mondiale della Vulvodinia, e Chiara sta lottando ancora una volta per far riconoscere la malattia cronica.
La medicina che la ignora
«Lo studio della vulvodinia non fa parte dei percorsi universitari di medicina, ginecologia e ostetricia» mi dice poi al telefono. Ecco perché mancano specialisti. In Europa il personale medico sanitario che non ne ha conoscenza diagnostica oscilla tra il 45% e il 65%. Il 20% non sa come curarla. Solo un 20% individua e tratta la patologia. «Siamo pazienti scomode. Abbiamo bisogno di continui aggiustamenti di terapia e c’è un tipo di vulvodinia per ciascuna di noi. Serve un approccio multidisciplinare: non si può curare in un solo modo» racconta Chiara, anche lei malata.
Secondo l’Associazione Italiana Vulvodinia, il 16% delle donne ne soffre. Siamo tante, eppure ciascuna di noi si sente sola nel suo dolore. Lo racconta Gaia: «È come se ci fosse sempre una sedia occupata nella stanza dei miei pensieri e lì siede la convinzione che sono malata». Rita si chiede: «Sto abbastanza male per non andare al lavoro oggi?». «Provo rabbia: dopo anni di ovuli, lavande e ansiolitici, il mio corpo ha ceduto. Ho perso 11kg. Ero il fantasma di me stessa».
Vulvodinia: sempre più diffusa tra le giovani
Le parole di Eva spaccano il cuore. Sara Guerra, psicologa e sessuologa, racconta che molte delle sue pazienti in cura per vulvodinia hanno tra i 20 e 30 anni. Ma ci sono anche casi di donne tra i 35 e 45 anni o in menopausa. «Per tutte c’è la paura del dolore, vissuto e futuro». Un trauma che ha un enorme impatto anche sulla coppia: «Si teme la sessualità e si rinnega il proprio diritto a provare piacere» spiega la dottoressa Guerra che sottolinea quanto sia importante coltivare un’intimità e una sessualità che vada oltre il rapporto coitale.
Per Lea avere un partner con cui condividere tutto questo aggiunge ansia: «Non posso dargli quello che vuole, sono una zavorra». Ma è anche una benedizione: «Con amore, rispetto e fiducia, la strada condivisa è meno ripida».
Le strategie che aiutano
La terapia è importante per ricostruire l’autostima e riconoscerci come persone, anche nella coppia, perché dalla vulvodinia si può uscire. Silvana Nardi, sui social @dottoressascandalo, fisioterapista esperta in riabilitazione del pavimento pelvico, osteopata strutturale e consulente sessuale, è anche un’ex malata. La nostra storia è simile: «Dopo un’infezione vaginale durata un anno, ho scoperto di avere la vulvodinia». Nonostante fosse un’addetta ai lavori, ha avuto molte difficoltà a curarsi: «La vulvodinia può cambiare aspetto, possono modificarsi i sintomi e quindi le strategie per contrastarla».
La riabilitazione del pavimento pelvico è una delle tante: «Elettromedicali, radiofrequenza, manipolazioni, automassaggi, esercizi di respirazione». La fisioterapia, insieme a psicoterapia, farmaci specifici, sinergia di nutrizionisti, ginecologi, gastroenterologi, urologi e neurologi possono aiutare a capire le cause, agire sui sintomi, migliorare e guarire. Ci sono poi accorgimenti pratici come indossare biancheria intima di cotone, indumenti comodi e traspiranti, usare un cuscino per sedersi. A me anche la meditazione ha aiutato molto. La scorsa estate la vulvodinia ha ribussato alla mia porta e ancora la combatto quotidianamente. Aver trovato una comunità di donne come me con cui parlare senza vergogna mi ha fatto sentire compresa. Insieme possiamo ambire a una vita normale. Proprio come quella di Anna da cui è partito questo racconto. Il giorno in cui era distesa sul lettino, circondata da medici che non sapevano come curarla, è lontano. Oggi ha 49 anni e due figlie, la sua relazione e i suoi rapporti sessuali sono come quelli di una qualunque coppia. È guarita. E conclude con un messaggio di speranza e rinascita: «Alle donne che soffrono di vulvodinia dico: meritate di star bene nel vostro corpo e con i vostri partner, abbiate fiducia, condividete sempre la vostra storia». Abbiamo una voce ed è ora che il mondo ci ascolti
I quesiti più frequenti
Sono tante le domande che chi soffre, di vulvodinia mette in rete. Ecco le più frequenti, con le risposte
- Come avere rapporti sessuali con la vulvodinia? Non esiste un unico modo, ma è utile fare prima un percorso di desensibilizzazione della parte coinvolta, con esercizi di contatto e ridurre la tensione con massaggi e terapie specifiche. Gli esperti consigliano di usare lubrificanti delicati.
- Quanto ci vuole per guarire dalla vulvodinia? Dipende dalla storia clinica della paziente e dal ritardo diagnostico, non si può dare una risposta certa e univoca, ciascuna ha i suoi tempi.
- Cosa scatena la vulvodinia? Terapie aggressive e sbagliate, fattori neurologici come ipersensibilità delle terminazioni nervose, ma anche muscolari, come la contrattura del pavimento pelvico, infettivi, e infiammatori.
- Chi ha la vulvodinia può avere figli? Sì, meglio dopo le cure.
- Cosa peggiora la vulvodinia? Indumenti stretti, colorati e poco traspiranti, alcol, fumo, stili di vita, sbagliati, stipsi, stress, traumi.
I siti e i profili da seguire
Vuoi informazioni sulla vulvodinia, sulle nuove cure e gli ultimi studi? Ecco i siti delle associazioni, dove puoi trovare anche indirizzi di centri e specialisti, e i profili social di attiviste e fisioterapiste specializzate.
- VULVODINIA.ORG
- VULVODINIA.ONLINE
- CASAMEDICA.IT
- @CHIARA.LAPELVI
- @VULVODINIANEUROPATIADELPUDENDO
- @DOTTORESSASCANDALO