La fibromialgia non è un male immaginario

La fibromialgia è una scusa per non uscire. Anzi, no, è un male immaginario. Correggo, è depressione. E si potrebbe andare avanti ancora, con le supposizioni e le diagnosi errate che si sentono tra amici e colleghi. Già, perché il dolore diffuso ai muscoli, insieme alla stanchezza esagerata di giorno e a una qualità del sonno pessima la notte, fino a oggi non sono mai stati un granché considerati.

Di fibromialgia soffrono 2 milioni di persone

Eppure di fibromialgia soffrono circa due milioni di italiani, e in 9 casi su 10 sono donne. «Oggi finalmente la situazione sta cambiando» spiega Arturo Cuomo, direttore della Struttura complessa di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli. «I sintomi fanno parte di una malattia che si chiama fibromialgia e che è stata catalogata come una forma reumatica a carico dei muscoli. Certo, arrivare alla diagnosi non è semplice perché si va per esclusione attraverso esami e analisi, indispensabili per verificare che non si tratti di altre patologie. Un percorso in cui è di vitale importanza un buon rapporto medico-paziente. Non si va infatti da nessuna parte se non si ascolta la paziente e la descrizione dei suoi disturbi, se non si valuta quando aumentano di intensità. Gioca un ruolo importante anche l’individuazione dei tender point, le zone del corpo che risultano dolenti alla pressione»

I tender point per fare la diagnosi

Prosegue il professor Cuomo: «I punti sono 18, come definito dalla mappa messa a punto dall’American college of rheumatology, e sono localizzati prevalentemente su collo, spalle, schiena e gambe. E si può dire che il paziente soffre quasi sicuramente di fibromialgia se durante la visita ne individuiamo almeno 11 che causano dolore». La ricerca nel frattempo prosegue, con l’obiettivo di capire le ragioni della malattia, l’andamento dei sintomi e le possibilità di guarigione. Ma passi avanti ne sono già stati fatti, con grandi cambiamenti nella terapia, come hanno confermato gli esperti all’ultimo congresso dedicato solo alla fibromialgia.

Meno farmaci e più movimento

Le linee guida internazionali hanno infatti ridimensionato l’approccio farmacologico a favore dell’attività fisica che diventa il cosiddetto “trattamento di prima linea”, fondamentale.

Professore, ma il movimento è veramente una terapia antidolorifica?

«Assolutamente sì. Spesso c’è resistenza a praticare un’attività fisica, anche semplicemente camminare, perché si pensa che questa aumenti l’intensità del dolore, ma non è così. Alla base della fibromialgia c’è un forte stato di infiammazione a carico dei muscoli. E il movimento, come hanno confermato gli studi recenti, stimola la produzione di particolari molecole che aiutano l’organismo a spegnere lo stato infiammatorio. Per questo non bisogna fermarsi, ma con l’aiuto di un esperto mettere a punto gli esercizi fisici più adatti alla propria situazione, incrementandone man mano l’intensità e la durata».

Gli sport consigliati

Ci può fare qualche esempio?

«Le linee guida internazionali danno come indicazione di base che gli esercizi siano aerobici e di potenziamento. Per intenderci, sono aerobici i movimenti che vengono mantenuti alla stessa intensità, come il ciclismo in pianura, lo sci di fondo, il podismo. Così, muscoli, tendini e legamenti imparano a lavorare in sinergia e a coordinare con minore fatica i movimenti. Ma non è necessario trasformarsi in campioni olimpionici. Per iniziare sono sufficienti anche 4 minuti al giorno di camminata, a passo sostenuto e senza modificare il ritmo. Gli esercizi di potenziamento sono invece quelli che permettono di rinforzare i muscoli. Sono particolarmente adatti nel caso della fibromialgia perché migliorano la stabilità del corpo e di conseguenza la capacità di movimento che per via del dolore è molte volte limitata. Un esempio è lo squat».

Anche yoga e tai chi rientrano tra le attività fisiche?

«Gli studi hanno dimostrato che la fibromialgia aumenta di intensità quando c’è un periodo di forte stress. E questo ce lo confermano anche le pazienti con i loro racconti. Le due attività che mi ha citato sono tecniche orientali che agiscono sul corpo, ma soprattutto sulla mente. Durante gli esercizi si esegue una ginnastica respiratoria a livello addominale che riduce le tensioni psichiche e favorisce il rilassamento. E migliora la qualità del sonno, una nota dolente per chi soffre di dolori ai muscoli».

Funzionano anche come antidepressivi?

«Qui il discorso è diverso. Quando parlo con i miei pazienti, ci tengo a sottolineare che il dolore ai muscoli, così come gli altri sintomi, non sono frutto della mente: non si tratta di depressione. Certo è, però, che chi ne soffre può andare incontro a problemi quali calo dell’umore, senso di frustrazione, pensieri negativi, che non fanno bene alla malattia, perché il rischio è di entrare in un circolo vizioso di inattività e di apatia. La soluzione ad hoc è la mindfulness. I lavori scientifici che sono stati condotti hanno dimostrato che con questa tecnica si prende coscienza del proprio stato e si impara attraverso gli esercizi a rendere se stessi caratterialmente più forti del dolore. Così, si trovano le energie e la determinazione necessarie per affrontare le terapie: ricordiamoci sempre che camminare 10 minuti di buon passo per chi ha male ai muscoli, all’inizio richiede molta tenacia perché è come scalare una montagna, ma è un toccasana».

Professore, è vero che la fibromialgia si cura anche a tavola?

«È proprio così. Come le dicevo prima, alla base della fibromialgia c’è uno stato di infiammazione importante che riguarda tutto il corpo e che si può placare anche con gli alimenti giusti. In linea generale dunque, questo significa privilegiare la frutta e la verdura fresche di stagione, ridurre la quantità di carne, aumentare quella di pesce, eliminare il vino e il caffè. Ma oggi si fa di più, “scaviamo” nella storia clinica della paziente per verificare se esistono intolleranze, allergie, in modo da ritagliare e costruire una dieta su misura. E, se necessario, ricorriamo anche alla nutraceutica, sempre personalizzando le indicazioni. Ad esempio, utilizziamo il coenzima Q10 se ci accorgiamo che occorre una “spinta” oltre alla dieta, all’attività fisica e alla mindfulness, per abbassare lo stato cronico di infiammazione: così migliorano il dolore e, a cascata, gli altri sintomi».