In principio fu l’autore de “La Certosa di Parma”: nel 1817 mentre visitava la chiesa di Santa Croce a Firenze fu colto da strane sensazioni: polso accelerato, difficoltà respiratoria e perdita di equilibrio. Stendhal è stato il primo a descrivere il disturbo neurologico che colpisce alcune persone al cospetto di opere d’arte di incommensurabile bellezza.
Ma è stata una psichiatra italiana a divulgarla grazie alla pubblicazione di un libro in cui descrisse più di 100 casi. Si tratta di Graziella Margherini, responsabile del servizio per la salute mentale dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Firenze, che nel 1979 scrisse “La sindrome di Stendhal. Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell’arte”. L’indagine prese atto dalla cura di turisti che, usciti dagli Uffizi, e in preda a singolari malori, si recavano nel vicino ospedale fiorentino.

Di bassa incidenza, il malessere è transitorio e non lascia conseguenze.
Pare che ne siano affetti persone di grande sensibilità che, nell’ammirare opere d’arte intense sia per qualità che per quantità, entrino in uno stato di confusione mentale, vertigini, perdita del senso di orientamento, dolore al petto e tachicardia.

Non si tratta di un’emozione estetica, quindi lascia poco spazio all’interpretazione fantastica della fruizione dell’arte. E’ piuttosto un turbamento dovuto alla contemplazione della bellezza artistica, soprattutto la pittura e la scultura, che producono disordine nella mente e nel corpo.

Come si manifesta
Secondo lo studio della psichiatra fiorentina Margherini, la Sindrome può manifestarsi in tre modi diversi non sempre associati:
– disturbi cognitivi, cioè: percezione alterata di suoni e colori, sentimenti persecutori o di colpa e ansiosi;
– disisturbi dell’affettività, cioè: stati depressivi, senso di inferiorità, il sentirsi inutili; o di superiorità, come euforia, esaltazione, senso di onnipotenza;
crisi di panico o proiezioni somatiche dell’angoscia come tachicardia, sudorazione, cattiva respirazione.

Pur essendo disturbi acuti, fortunatamente sono transitori e non indicano assolutamente uno stato mentale patologico. Quindi, fughiamo ogni dubbio: i soggetti che ne soffrono sono sanissimi.
Un dato curioso è il fatto che la sindrome di Stendhal non sia legata ad artisti o ad opere particolare: ha più a che vedere con la “grandezza” e la quantità delle opere d’arte che possono indurre reazioni neurologiche intense in persone particolarmente sensibili.

Da cosa ha origine?
Grazie alla scoperta dei neuroni-specchio, negli anni ’90, possiamo avvicinarci alla comprensione delle basi neurologiche della fruizione estetica. Pare che il cervello di soggetti particolarmente sensibili riceva troppi impulsi visivi nello stesso momento, e che producano un’intensa eccitazione, che si tramuta nei sintomi descritti.

La spiegazione neurologica

Secondo il neurologo Semir Zeki, introduttore della “neuro-estetica”, noi siamo dotati di un cervello visivo con cui possiamo cercare di spiegare e capire la creazione artistica. Allo stesso modo siamo dotati di un cervello artistico, prolungamento di quello visivo.
Il nostro cervello non è un semplice spettatore passivo che si limita a registrare la realtà fisica del mondo esterno, ma è piuttosto un creativo: ogni volta che “vediamo” di fatto costruiamo nella nostra testa un’opera d’arte.

La risposta del cervello di fronte all’arte potrebbe non solo fornire spiegazioni maggiori sulla Sindrome di Stendhal, ma anche capire meglio il funzionamento del cervello, le cui logiche non sono ancora del tutto conosciute.

E quella psicoanalitica

C’è un’innovativa teoria psicoanalitica inoltre che ipotizza che il soggetto, affetto dalla Sindrome di Stendhal, sia preso a livello inconscio da un attacco invidioso del bello del quale vorrebbe impossessarsi. Ciò produrrebbe reazioni neurovegetative e malesseri psicosomatici inclusa la cefalea
Il soggetto sperimenta un senso di impotenza di fronte alla perfezione e ad una creatività che lo sconvolge. E’ come se volesse essere lui l’autore di tanta grandezza artistica, e sente perciò la sua impotenza di fronte a tale splendore.