Ridurre il rischio di recidive da tumore al polmone si può, grazie a un farmaco sul quale è terminato uno studio decennale, condotto su circa 700 pazienti in 20 Paesi nel mondo. I risultati sono stati pubblicati anche sulla rivista The New England Journal of Medicine e appena presentati al Congresso annuale 2023 della Società Americana di Oncologia Clinica (American Society of Clinical Oncology – ASCO). «Sono risultati incredibili. Quasi il 90% dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio iniziale trattati con osimertinib è vivo a 5 anni, con una riduzione del rischio di morte del 51%», spiega Filippo De Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e principal investigator per l’Italia di ADAURA, lo studio che si occupato degli effetti della pillola.

Tumore al polmone: come funziona la pillola

«Negli stadi precoci di malattia l’intento del trattamento è curativo, ossia si mira a combattere il tumore, in primo luogo con l’intervento chirurgico, affiancate da radioterapia e chemioterapia, a seconda dei casi e degli stadi della malattia. Ma la tradizionale chemioterapia non riesce a impattare in maniera significativa sulla diminuzione del rischio di recidiva, né a livello locale né a distanza, in percentuali superiori al 5%. Grazie a osimertinib, invece, abbiamo raggiunto risultati senza precedenti», osserva De Marinis. Il farmaco, prodotto da AstraZeneca e già in commercio per un uso differente, è un inibitore selettivo, in particolare che agisce nei casi di «tumore a piccole cellule (la forma più diffusa) con mutazione del gene EGFR, dopo intervento chirurgico di rimozione della massa tumorale negli stadi iniziali», spiega l’oncologo.

Per quali tumori

I tumori al polmone non a piccole cellule con mutazione del gene EGFR rappresentano il 10/15% dei casi complessivi di questa malattia oncologica. Ma uno dei rischi maggiori, per i quali finora non si avevano “armi” sono proprio le metastasi. «Nella malattia operabile la sopravvivenza a 5 anni diminuisce dal 73% nello stadio IB fino al 41% nel IIIA», su una scala da I a IV, dove il quarto stadio non è operabile. «Il beneficio di osimertinib si estende a tutti i sottogruppi di pazienti. Infatti negli stadi II-IIIA la sopravvivenza a 5 anni ha raggiunto l’85%. I risultati di ADAURA rinforzano ulteriormente il beneficio di osimertinib quale standard di cura dopo la chirurgia nei pazienti con malattia in stadio precoce e positivi alla mutazione di EGFR», chiarisce ancora De Marinis.

Una pillola contro le metastasi del tumore al polmone

Le metastasi rappresentano un rischio per molti tipi di tumori (come dimostra il caso di Shannen Doherty), compresi quelli al polmone. Si stima, infatti, che ogni anno 2,2 milioni di persone nel mondo ricevano una diagnosi di carcinoma polmonare. «Il farmaco aiuta a prevenire che il cancro si diffonda al cervello, al fegato, alle ossa», ha confermato Roy Herbst della Yale University, che ha partecipato alla presentazione di ADAURA a Chicago, sottolineando come si tratti di un «risultato epocale». Rispetto ai trial clinici precedenti, lo studio ADAURA non ha evidenziato effetti collaterali e reazioni avverse differenti, tra cui eruzioni cutanee, diarrea, grave affaticamento, infiammazione e dolore muscoloscheletrico.

Secondo le statistiche, infatti, il 73% dei pazienti con malattia a uno stadio 1 (su una scala fino a 4) ha una probabilità di sopravvivenza nei cinque anni successivi alla diagnosi pari al 73%, che però scende al 56-65% in chi ha un tumore a uno stadio 2 e al 41% per coloro che hanno ricevuto una diagnosi di tumore a uno stadio 3. Per loro oggi ci sono più possibilità, grazie alla pillola.

Quali cure sono oggi a disposizione

«Le terapie tradizionali prevedono ad oggi la chirurgia negli stadi precoci, e chemio e radioterapia laddove dove il chirurgo non può arrivare. Nelle fasi avanzate con pazienti metastatici, invece, fino a 10 anni fa si procedeva con la sola chemio – spiega De Marinis – Ma teniamo presente che con la chemio si poteva arrivare a circa il 4,5% di sopravvivenza a cinque anni anche dopo l’intervento. Oggi, invece, si aggiungono nuove possibilità di cura: l’immunoterapia, con farmaci che mettono in condizione il sistema immunitario di ‘vedere’ il tumore e attaccarlo. E poi questi nuovi farmaci, come la pillola studiata, che sono detti a ‘bersaglio molecolare’. In pratica, una volta identificato il gene ritenuto responsabile del tumore, si può intervenire con una terapia che prevede la somministrazione di farmaci inibitori di quel gene, come appunto osimertinib per la mutazione del gene EGFR», prosegue l’oncologo. «Si tratta della terza generazione di questo farmaco: ne esistevano altri 4 di prima e generazione, ma nessuno mostrava un reale vantaggio in termini di sopravvivenza», conclude l’esperto.