Vendicarsi di un ex, di un amico, di un parente, a causa di un torto subito. Quante volte lo abbiamo pensato? D’istinto, tutti o quasi. Persino chi, per legittime convinzioni morali, fa fatica ad ammettere la vendetta anche a se stesso.

In realtà, finché la si immagina e basta, la vendetta – o meglio il pensiero di vendicarsi – è una reazione normale. Che in alcuni casi può servire a calmare l’ira suscitata da un’ingiustizia. È quando si comincia a meditare un concreto piano di vendetta che l’atteggiamento vendicativo diventa meno sano.
E se dal pensiero si passa ai fatti, si è già nel campo patologico. Perché – moralismi a parte – vendicarsi non serve a stare meglio: la vendetta non ripara il danno che ci hanno arrecato gli altri.

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Da cosa nasce il desiderio di vendetta

Il desiderio di vendicarsi nasce da un bisogno di riparare quello che ci è stato danneggiato dall’altro. «Quando subiamo un torto – più o meno grave – ci sentiamo calpestati nel nostro essere più profondo, tanto che ci sembra che sia stata lesa sia l’immagine che abbiamo di noi che la nostra stessa identità. In questi frangenti, provare sentimenti di vendetta è normale. Accanirsi nel metterli in pratica può già definirsi insano dal punto di vista psicologico» spiega il prof. Roberto Pani, docente di Psicologia Clinica all’Università di Bologna.

Chi attua comportamenti vendicativi desidera far provare al proprio carnefice lo stesso dolore che lo consuma giorno per giorno. «Ciò nasconde un desiderio di “mangiare” simbolicamente la persona che ci ha offesi, per riprenderci ciò che ci ha tolto. La vendetta è, quindi, connessa alla forte frustrazione che deriva dal torto subito e dal tradimento che fa sentire profondamente soli e abbandonati».

Vendicarsi non serve

Cosa si prova una volta che ci si vendicati? «In alcuni casi, ci si può sentire appagati e gratificati da un senso di giustizia, soprattutto se la ferita subita ha assunto caratteri narcisistici, riguardando cioè più l’onore di sé che il proprio essere profondo.

In altri casi, invece, ci si può pentire di essersi vendicati, provando così rimpianto se non addirittura malinconia e depressione. Questo si spiega perché dopo la vendetta non si percepisce un autentico arricchimento: in fondo, le cose non sono tornate come prima e si comprende di non aver ottenuto nessuna nuova nuova conquista.

Sebbene il desiderio di vendicarsi sia comprensibile soprattutto nei soggetti più fragili, è un atteggiamento da non incoraggiare perché non risolverebbe mai nulla: l’orgoglio rimarrebbe ferito, nonostante il tentativo di ripristino attuato dalla vendetta.

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La vendetta è un piatto che si serve freddo

Raramente chi vuole vendicarsi mette in pratica il suo proposito subito dopo aver subito un torto. «Questo perché uno degli aspetti che caratterizzano l’essere vendicativi è il fatto di rimuginare sul danno subito, covando sempre più rabbia: ci si rode dentro, tanto da rendere la vendetta una vera e propria ossessione. In particolare, chi soffre di disturbo narcisistico della personalità, o ha una predisposizione alla “ruminazione ossessiva” potrà sviluppare più facilmente un comportamento vendicativo» precisa il prof. Pani.

Come superare un proposito vendicativo

Se si prova un – legittimo, ripetiamo – desiderio di vendetta, è importante non passare all’atto. Qualche suggerimento per fermare i propri propositi vendicativi? «Fondamentale è la condivisione delle proprie emozioni e dei propri pensieri. Se ci si sente sopraffatti dalla sofferenza è bene non chiudersi, ma parlare con amici e parenti del torto subito, in modo da confrontarsi con punti di vista diversi dai propri. Parlare serve anche a controllare i propri sentimenti, bloccando così sul nascere eventuali comportamenti vendicativi» suggerisce lo psicoterapeuta.

Inoltre, bisogna darsi del tempo per elaborare il torto e cercare modi alternativi per riparare il danno subito. La vendetta, invece, è una ferita non elaborata. E poi ci sono i casi in cui il desiderio di giustizia viene confuso con quello di vendetta. Si pensi all’espressione comune “farsi giustizia da sé”.

D’altro canto, anche la passività non è salutare. «Non avere la possibilità di “riabilitarsi” può avere conseguenze sul piano somatico con vari disturbi psicosomatici e sul tono dell’umore con episodi depressivi più o meno gravi.

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Identikit delle persone vendicative

L’impulsività e il mancato controllo dei propri impulsi sono senz’altro collegati al comportamento vendicativo. «Anche le persone più irascibili e che provano rabbia verso se stessi e gli altri, tendono a provare sentimenti di vendetta, ma – attenzione – dichiararli non equivale a metterli in pratica.

In principio fu Caino a gridare vendetta e a farsi giustizia da solo contro Abele. Ma prima ancora che dagli esseri umani, i comportamenti vendicativi vengono attuati dagli animali, in particolare dai primati e dagli scimpanzé. Secondo gli etologi, vendicarsi rappresenta una difesa arcaica per sopravvivere agli ambienti molto popolati dai propri simili. In pratica, “se tu mi hai arrecato un danno che mette in pericolo la mia esistenza, io voglio essere risarcito, facendotela pagare”. 

«Il bisogno di risarcimento è normale, ma quando si passa troppo tempo a rimuginare sull’offesa e ad accanirsi sui piani di vendetta, qualcosa non va perché vuol dire che non si riesce a elaborare la rabbia né a controllare le proprie pulsioni negative». Vendicarsi, inoltre, è inutile perché non restituisce l’oggetto rotto ma lo distrugge ancora di più. Con l’aggravante della probabilità di sentirsi ancora più male per aver fatto soffrire l’altro

La vendetta, insomma, è una questione psicologica che, per dirla con Nietzchie, va al di là del bene e del male.