Costanza Turrini il coding per le ragazze
Nascere in una famiglia che ti permette di seguire le tue passioni non è merito tuo. Lo è invece far sì che altre persone possano esprimere il proprio talento e realizzare le proprie ambizioni anche se non partono da una situazione favorevole. Questa consapevolezza ha spinto la reggiana Costanza Turrini a inventare Girls code it better, un progetto gratuito e pluripremiato di creatività digitale e imprenditorialità indirizzato alle ragazze delle scuole secondarie di primo e secondo grado (di cui è ora project manager). Ma andiamo con ordine, anzi con un certo disordine, visto che il suo curriculum – come quello di tanti innovatori – non è lineare in senso tradizionale.
Gli stereotipi ci bloccano come delle gabbie
«Grazie ai miei genitori, che mi hanno sempre lasciato libera scegliere quello che mi piaceva, ho fatto il liceo linguistico, poi mi sono iscritta a Scienze Politiche a Milano. Però non ho concluso gli studi perché nel frattempo sono diventata mamma (ha 3 figli di 32, 31 e 20 anni, ndr). Ho iniziato a lavorare e solo nel 2021 mi sono laureata in Digital education». Ma proprio queste coordinate all’apparenza un po’ sconnesse le forniscono competenze e stimoli per un’iniziativa che è sostenuta da Officina Futuro Fondazione W-Group, un gruppo di risorse umane attivo su tutti i segmenti del mercato del lavoro, e ha già coinvolto oltre 341 scuole e 13.000 ragazze in tutta Italia.
Costanza Turrini: Come è nato Girls code it better?
«L’idea è partita nel 2014 mentre lavoravo in MAW, realtà di risorse umane oggi parte di W-Group. Mi sono resa conto che uomini e donne avevano un approccio diverso nella ricerca del lavoro: i primi erano più sicuri di sé, si candidavano anche se non avevano tutti i requisiti. Allora ho iniziato a studiare il funzionamento dell’apprendimento, perché anche il modo in cui ci poniamo nello studio è guidato da stereotipi, che sono come delle gabbie da cui si fatica a uscire. Io stessa, ora a 58 anni, posso dire che inizio a vivere la gabbia dell’età. Senza nuove opportunità si rischia di fare una vita all’interno di ciò che ci si aspetta da noi per età o genere o contesto familiare. Girls code it better è nato proprio con l’obiettivo di creare un ambiente “neutrale”, dove cioè le ragazze non debbano combattere contro stereotipi, e il più precoce possibile, prima che scatti l’autoselezione che, spinta dal contesto socioculturale, porta ancora troppe giovani a non studiare le materie Stem».
Non tutte le ragazze devono diventare ingegnere ma tutte devono conoscere la tecnologia
Un limite quando si affacciano al mondo del lavoro.
«Come ci ha spiegato la Nobel per l’Economia Claudia Goldin, il problema non è la formazione, perché ci sono più laureate che laureati, ma il mondo del lavoro, che riserva alle donne molti più ostacoli che agli uomini. A questo si aggiunge la scelta del percorso formativo. Le aziende cercano sempre più figure professionali con competenze tecniche e digitali, però la percentuale di specialiste ICT in Italia è ferma al 16%. Iniziamo a vedere ragazze che dicono “Voglio fare l’ingegnera” e il nostro progetto si colloca in un momento in cui vanno sostenute in questa scelta. Non pensiamo certo che debbano diventare tutte ingegnere, anche perché non è quello che ci aspettiamo dal futuro delle tecnologie. Il digitale sta diventando più umanistico, avremo bisogno di grandissime pensatrici che sappiano però come funziona una macchina, che facciano percorsi di approfondimento sulle tecnologie».
Cosa fanno le partecipanti a Girls code it better? «L’iniziativa offre la possibilità di partecipare a club extra-curriculari pomeridiani e gratuiti: sono laboratori di progettazione, programmazione informatica e fabbricazione digitale. Le ragazze sono 20-25 per club e, guidate da un coach-docente, un insegnante della scuola, e da un coach-maker, una figura con competenze tecniche che forniamo noi, affrontano un problema attraverso varie modalità, come lo sviluppo di app e videogame, la costruzione di robot o la progettazione di stampe 3D. La durata è di circa 45 ore distribuite in una ventina di incontri».
Con Girls code it better si realizzano tanti progetti concreti
Qualche esempio di progetto realizzato?
«Partiamo dall’Agenda Onu 2030, che vogliamo non resti un manifesto teorico ma diventi uno strumento di cittadinanza attiva. Tra i suoi obiettivi c’è il benessere scolastico. Ebbene, alcune ragazze hanno creato e messo nei bagni delle scuole distributori di assorbenti gratuiti ottenibili con un Qr Code. Altre hanno collocato dei sensori nei bagni dove non c’era la chiave così, in caso di presenza di una persona nel bagno, si illumina una luce all’esterno. Altre ancora hanno creato percorsi museali con la stampante 3D o la realtà aumentata per valorizzare il territorio».
Che metodo usate? «Il PBL, Project based learning, che segue varie fasi. Si parte da ideazione e progettazione, durante le quali ci si allena a pensare a lavorare in gruppo in maniera collaborativa e ad abbattere stereotipi. Ognuna deve trovare il proprio potenziale, troppo spesso invece l’apprendimento viene standardizzato. Ogni tipo di intelligenza per noi è un valore aggiunto: va sfatata l’idea che esista un’intelligenza di serie A e una di serie B. Di solito, invece, nella scuola se riesci bene in matematica sei considerata intelligente, se fai bene i temi sei brava. L’ultima fase del lavoro è la presentazione di quanto realizzato e la riflessione sugli errori commessi e sui modi per migliorare. Le ragazze applicano le basi del project management focalizzandosi sul processo, non sul prodotto, perché noi non dobbiamo vendere nulla».
Costanza Turrini vuole coinvolgere in particolare le ragazze più vulnerabili
Come gestite le scuole che si candidano?
«Il progetto è abbastanza costoso e per renderlo gratuito per le ragazze abbiamo aziende che sostengono e adottano gli istituti che si sono proposti. Dopo che siamo andati a scuola a raccontare il percorso, gli obiettivi e la spinta che ci muove, si candidano le ragazze. Non ci sono prerequisiti particolari e cerchiamo di prenderle tutte, creando anche più club dentro lo stesso istituto. Se non è possibile, si fa un’estrazione a sorte. L’anno successivo al nostro ingresso in una scuola, le candidate sono tantissime: è come se si aprisse una porta davanti a loro».
Prossimi obiettivi?
«Vorremmo riuscire a coinvolgere di più le ragazze che ora sono demotivate. Spesso, infatti, si candidano quelle considerate dalla scuola “brave”. Noi chiediamo di mandarci anche le più vulnerabili. Siamo felici di vedere che negli incontri a inizio e fine percorso partecipano ora tante famiglie. Anche le mamme ci chiedono un corso per loro. Chissà che prima o poi non nasca un Women code it better».