«La fotografia è lo strumento che uso per raccontare le storie del nostro Pianeta, in modo che possano orientare le decisioni da prendere per proteggerlo». Cristina Mittermeier è biologa marina, attivista, cofondatrice – insieme ai fotografi Paul Nicklen ed Andy Mann – di Sea Legacy, organizzazione per la salvaguardia degli oceani. E “conservation photographer”, il ramo impegnato di chi scatta wildlife.
«Non ho preso in mano la macchina fotografica finché non ho avuto qualcosa che sentivo di dover dire. La creatività guida il cambiamento: creare immagini avvincenti è il modo in cui proietto quel cambiamento nel mondo». Al centro di tutto, il concetto di enoughness, la “bastevolezza”, ossia il riconoscimento e l’apprezzamento di ciò che abbiamo già, senza cercare il superfluo. Questo aiuta a impattare meno sul Pianeta e sui suoi ecosistemi e a vivere in armonia con i cicli naturali a cui apparteniamo.
Cristina Mittermeier: la forza della speranza
Messicana, 57 anni, Cristina sognava di diventare un’artista come Frida Kahlo e di solcare i mari come Jacques Cousteau e ci è riuscita a suo modo, viaggiando in ogni angolo del mondo documentando i paesaggi naturali, la fauna selvatica, le popolazioni che vivono in armonia con quell’ambiente di cui il 5 giugno si celebra la Giornata mondiale.
Adesso espone i suoi scatti nella mostra La Grande Saggezza, fino al 1° settembre alle Gallerie d’Italia di Torino. E ha lanciato un crowdfunding per pubblicare il suo prossimo libro in arrivo in autunno, Hope: sostenuto da follower di tutto il mondo, è diventato un bellissimo progetto collettivo in nome di un cambiamento possibile.
Intervista a Cristina Mittermeier
Hope vuol dire speranza: come possiamo averne ancora davanti a un Pianeta in sofferenza?
«Le comunità che vivono nei luoghi più remoti stanno subendo gli effetti del cambiamento climatico, eppure rimangono fiduciose. Se ci riescono loro, perché non dovremmo farlo noi? Esiste una luce guida tra le ombre, incarnata nelle parole e nelle azioni di chi cerca soluzioni. La speranza è sostenuta dagli sforzi degli scienziati, degli attivisti e delle persone comuni che si rifiutano di assistere passivamente al declino del Pianeta. Spingendoci a renderci conto che c’è ancora tempo per alterare la traiettoria del destino e attuare il cambiamento».
Abbiamo perso la capacità di vedere la bellezza di ciò che ci circonda?
«Non credo, siamo semplicemente distratti: media e social sono un flusso costante di negatività. C’è bellezza ovunque, se si hanno occhi per vederla. Nel mio lavoro mi concentro su di essa perché non possiamo solo dipingere immagini da incubo. Dobbiamo focalizzare la nostra energia sulla definizione del Pianeta su cui vogliamo vivere».
Esistono popolazioni che mantengono un rapporto più autentico con la natura?
«Assolutamente. Ho avuto il privilegio di incontrare gruppi indigeni che perpetuano il loro ruolo ancestrale di “guardiani” , dagli altopiani della Papua Nuova Guinea alle acque al largo delle coste del Canada. Tutti noi, però, abbiamo questo vincolo con la natura, ovunque ci troviamo. Anche se non ce ne rendiamo conto».
Ognuno di noi ha un luogo dove questo legame è più forte: qual è il suo?
«Quando metto la testa sott’acqua e il rumore del mondo svanisce. Ma ha lo stesso effetto anche passeggiare all’ombra degli alberi o in un campo fiorito. Provare quel senso di connessione è una scelta, non voglio vivere una vita separata da quella del mio Pianeta».
Qual è la lente attraverso cui lei guarda il mondo?
«L’arte è ispirata dai nostri sogni ma anche dalle nostre esperienze. Sono cresciuta in Messico e penso che parte dell’iconografia delle mie immagini provenga dalle tradizioni del mio Paese e dalla mia educazione. Sono certa di proiettare tutto questo nel mio lavoro. La magia è ovunque, tutto quello che devo fare è puntare la mia macchina fotografica nella sua direzione».
Gli animali sono grandi protagonisti delle sue foto.
«Li ritraggo perché mi piace la loro compagnia. Non hanno segreti, secondi fini, arroganza. Ciò che vedi è esattamente ciò che ottieni. Mi piace questa onestà».
L’8 giugno è la Giornata mondiale degli oceani. Qual è la minaccia più grande?
«Sono tre. La prima è l’inquinamento. Scarichiamo enormi quantità di contaminanti, dai fertilizzanti ai rifiuti, dalla plastica ai liquami, senza contare l’inquinamento acustico creato dalle attività industriali: utilizziamo l’oceano come un cassonetto. La seconda è la pesca. L’oceano ha la capacità di nutrire milioni di persone, ma dobbiamo smantellare il potere dei grandi conglomerati industriali che sfruttano l’abbondanza del mare in modo distruttivo e indiscriminato, per esempio con la caccia di balene e delfini. La terza sono le emissioni. L’eccesso di carbonio nell’atmosfera rende i nostri oceani più acidi e più caldi: ciò sta causando la perdita di interi ecosistemi, come le barriere coralline. Quando inquiniamo i mari acceleriamo la nostra stessa distruzione. Ci troviamo a un bivio. Le decisioni che prendiamo oggi avranno un’eco nel futuro: l’oceano è l’ecosistema più grande del Pianeta, abbiamo bisogno che rimanga vitale affinché la nostra esistenza possa continuare».
Si parla molto di riscaldamento globale, ma poco del resto, dall’acidificazione degli oceani all’inquinamento acustico che condiziona balene e orche.
«Tanti non ne sono nemmeno consapevoli, eppure si tratta di questioni complesse e interconnesse: ciascuna è enorme di per sé e influenza le altre. Ciò rende doppiamente impegnativo comunicare e affrontare i problemi in modo esaustivo e orientato alla soluzione».
La cosa più importante che la natura le ha insegnato?
«La natura ha la capacità di guarire e rigenerarsi quando le viene data l’opportunità di prosperare. Credo che la resilienza risieda anche dentro di noi. Dalla natura ho imparato la perseveranza, la pazienza e, soprattutto, che la vita è preziosa. Le nostre probabilità di esistere sono così infinitesimali che solo il fatto di essere qui è un miracolo: dobbiamo proteggere la possibilità che ci è stata data».
In mostra
Altre splendide foto da tutto il mondo sono esposte nella mostra Cristina Mittermeier – La Grande Saggezza, alle Gallerie d’Italia di Torino fino al 1° settembre, con la collaborazione di National Geographic: è la sua prima retrospettiva in Europa (gallerieditalia.com).