«Quando sei un’inviata di guerra, hai due mantra da rispettare: il primo è restare viva, il secondo riuscire a mandare il pezzo, altrimenti tutto diventa inutile». A 66 anni, dopo averci accompagnato lungo le tappe più importanti della nostra storia recente, dal crollo dell’Urss alla guerra nella ex Jugoslavia, dalle bombe su Kabul e Baghdad alla pandemia in Cina, Giovanna Botteri, uno dei volti più popolari e delle voci più autentiche della tv italiana, va in pensione. Anzi, no: lascia la Rai e ricomincia altrove, perché «da questo mestiere non ci si separa mai davvero».

Giovanna Botteri ha vinto il Premio Marisa Bellisario

Insignita da poco del Premio Marisa Bellisario dedicato alle “donne che fanno la differenza”, la giornalista, rientrata in Italia dopo l’ultima missione a Parigi, quel merito lo rivendica: «Ciò che ho fatto assieme alle donne che hanno condiviso con me quei fronti è stato trasformare radicalmente un racconto che poi è diventato universale, perché ormai non è più una questione di genere».

In che modo l’avete trasformato?

«Quando ho cominciato, gli inviati di guerra erano in prevalenza maschi, con le eccezioni quasi mitiche delle prime grandi reporter americane. Il mio direttore di allora, Sandro Curzi, mi mandò a coprire la guerra nella ex Jugoslavia: le poche donne che c’erano seguivano un po’ il modello di Oriana Fallaci, che aveva fatto scelte difficili pagate con rinunce importanti. Christiane Amanpour, per esempio, non aveva figli. Io invece non solo ero una giovane donna, ma anche una madre. Ai miei occhi, la guerra studiata sui libri di scuola come un grande scontro di soldati rivelava un’altra faccia: quella di chi la subisce. Impossibile per me non includere nei servizi i civili inermi, i profughi, le famiglie».

Raccontando la guerra Giovanna Botteri ha imparato a godere del privilegio della pace

Spesso l’ha definito “un racconto di piccole storie”.

«Nelle vicende intime si ritrova il senso della Storia. Una delle mie prime volte in Bosnia, visitai un villaggio teatro di bombardamenti: entrai in una casa e trovai un sacchetto del supermercato di Trieste dove anch’io facevo la spesa, la stessa videocassetta della Sirenetta che avevo appena visto con mia figlia. Fu uno shock».

La guerra in casa.

«Una tragedia che ti sorprende quando ti scontri con la quotidianità infranta, i riti rassicuranti distrutti per sempre, e capisci che tutto può saltare. Da quel momento ho imparato, ogni volta che tornavo, a godere anche fisicamente della pace, del privilegio di vivere in un posto in cui vai a fare la spesa e porti i bambini a scuola senza avere paura. Ecco perché un cambio di narrativa per me era inevitabile. Credo che il nostro sentire “diverso” stia nella capacità straordinaria e rivoluzionaria di cambiare lo sguardo sul mondo. E questo riguarda anche il potere».

In che modo?

«L’approccio femminile al potere è eversivo. Non ci interessa tanto esibirlo, ma cambiarlo di segno, gestire il lavoro di tutti nel rispetto delle diversità e dei bisogni. La sfida importante ora non è arrivare a spaccare la cupola di cristallo, ma capire che fare dopo averla mandata in pezzi. Rendere quel momento una liberazione per tutti, uomini e donne».

Per Giovanna Botteri la paura è naturale e può essere utile

I suoi collegamenti segnano tappe cruciali della nostra storia recente: se ne rendeva conto allora? «Cerco sempre di non dimenticare che ogni evento, locale o globale, finisce sempre per avere conseguenze sulla nostra vita. Ogni volta, più che il bollettino di guerra, gli elenchi di luoghi che nessuno conosce, era importante per me condividere la consapevolezza che quanto accadeva ci riguardasse. Credo che l’obiettivo della comunicazione, ora più che mai, sia quello di far arrivare le cose importanti a tutti. Ogni cittadino ha il diritto di sapere perché la sua bolletta dell’elettricità continua a salire, cosa succederà di questa guerra che è sempre meno lontana».

Che rapporto ha con la paura?

«Per mia fortuna, le persone che avevo intorno quando ho iniziato mi hanno spiegato che non bisogna vergognarsi di averne: è una cosa giusta, naturale e spesso ti salva. Il panico è un’altra cosa, quello è pericoloso, perché ti fa perdere lucidità».

Lo ha provato in Cina durante il lockdown?

«Era una situazione diversa: in guerra sai da dove arrivano le bombe, da dove sparano i cecchini. La pandemia è una guerra in cui non sai dove e come il nemico potrebbe aggredirti. Qualcosa di più spaventoso, anche psicologicamente. Lì ho provato una solitudine che non avevo mai conosciuto: fisica, geografica, esistenziale».

Eppure quando s’accendeva la luce rossa della telecamera le sue cronache erano impeccabili. «Ormai quella luce dentro di me è sempre accesa, l’occhio che guarda è quello della macchina da presa puntata sulle cose, il pensiero è già racconto, montaggio».

Secondo Giovanna Botteri dobbiamo liberarci dall’ossessione dell’immagine

Fu criticata perché indossava gli stessi pullover e non aveva i capelli in ordine: la sua denuncia della pressione estetica sulle giornaliste, argomentata senza polemiche, è diventata virale.

«È una cosa molto italiana e credo che travalichi il genere. L’ossessione dell’immagine è un’idea che ci schiaccia ed è violenta soprattutto per i più giovani. L’obbligo di corrispondere a un ideale che non si sa chi abbia imposto provoca sofferenza e discriminazione, mentre l’arte ci insegna che i canoni di bellezza sono soggettivi e variabili e l’imperfezione è una delle qualità più belle che abbiamo».

In diretta dalle proteste contro la riforma delle pensioni in Francia rivendicò, con la consueta passione, che «c’è vita oltre il lavoro». Un altro video che ha spopolato.

«È la stessa cosa dell’immagine, no? Ci hanno insegnato a costruire la nostra vita intorno alla carriera. Ma chi l’ha detto? Ora per fortuna i più giovani la pensano in modo diverso: la vita è fatta di milioni di cose, ognuno scelga ciò che gli dà più gioia».

Giovanna Botteri va in pensione ma torna a fare l’inviata

Va in pensione, ma ha detto che non ci si separa mai da questo mestiere.

«La Rai mi mancherà, mi mancheranno le persone straordinarie che chi sta a casa non vede ma sono la ricchezza del servizio pubblico e meritano rispetto e affetto. A loro continuerò a essere legata, in questi anni mi hanno salvato milioni di volte. Quanto alla pensione, è giusto che chi ha cominciato presto, chi fa lavori faticosi e usuranti abbia il diritto di smettere prima possibile e godersi la vita. Quanto a me, l’età è un dato relativo: finché avrò voglia, energia e cose da dire andrò avanti».

Con un nuovo capitolo e una nuova rete.

«Torno a lavorare con Massimo Gramellini, con cui ho già collaborato in Rai: allora ci siamo divertiti molto. L’idea è riprendere, stavolta su La7, a fare l’inviata, raccontando piccole e grandi storie».