Era una vita come tante, la sua. In Inghilterra Jojo Mehta aveva un lavoro, due figli ed era, per sua stessa definizione, una “attivista da poltrona”. Ma nel 2011 tutto è cambiato. Jojo ha incontrato Polly Higgins, che non solo sarebbe diventata la sua migliore amica, ma avrebbe cambiato il corso della sua esistenza. Quando Jojo l’ha conosciuta, Polly, un’avvocata visionaria e caparbia, stava lavorando per definire l’ecocidio – i danni irreparabili all’ambiente – come crimine internazionale. E contemporaneamente faceva campagna per sensibilizzare i cittadini di tutto il mondo tenendo conferenze, realizzando documentari e fornendo consulenza ai governi.
Jojo Mehta è cofondatrice di una organizzazione che combatte l’ecocidio
Nel 2017 Jojo e Polly hanno unito le forze fondando Stop Ecocide International, organizzazione di esperti a supporto di un’iniziativa giuridica sull’ecocidio. Fino al 2019, quando una diagnosi di cancro dà a Polly poche settimane di vita. Il 21 aprile 2019 Polly muore, a soli 50 anni, e Jojo si carica sulle spalle l’eredità dell’amica, continuando come Ceo a lavorare senza sosta con tutta la squadra di Stop Ecocide International (it.stopecocide.earth).
Jojo, a che punto siamo oggi?
«Siamo in un momento cruciale. La proposta di includere l’ecocidio tra i reati perseguibili dalla Corte penale intenazionale, formalmente presentata da Vanuatu, Samoa e Fiji a settembre, adesso è sostenuta anche dal Congo, il primo Paese africano a farlo. Ciò riflette la gravità della questione e la portata del cambiamento possibile. Ora vogliamo creare un ulteriore slancio diplomatico. Questo significa sostenere la modifica dello Statuto della Cpi e assicurarsi che i governi, e anche l’opinione pubblica, comprendano che ciò non è solo possibile, ma necessario. L’obiettivo è rendere i danni gravi alla natura legalmente e moralmente inaccettabili ai massimi livelli».
L’obiettivo è far riconoscere l’ecocidio come crimine internazionale
A dicembre anche l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Volker Türk, ha chiesto alla comunità internazionale di riconoscere l’ecocidio come un crimine internazionale. Ci sono nuovi sviluppi?
«Il Belgio è stato l’ultimo a sancire l’ecocidio nel suo Codice penale e proposte simili stanno avanzando in Brasile, Italia, Paesi Bassi, Argentina, Scozia, Perù… L’anno scorso l’Unione europea ha incluso nella Direttiva sul diritto penale ambientale il reato per una condotta paragonabile all’ecocidio: è la prima volta che il termine è apparso nel diritto europeo. Gli Stati membri sono ora tenuti ad allinearsi entro maggio 2026. Non avremmo potuto nemmeno immaginarlo 5 anni fa».
Come può una singola Nazione condannare qualcuno per ecocidio?
«Le leggi nazionali creano responsabilità, stabiliscono un precedente, colmano le scappatoie legali e cambiano la cultura. Uno Stato può perseguire i crimini commessi sul suo territorio o dai suoi cittadini. Soprattutto, le leggi nazionali mettono in moto un effetto a catena: creano pressione politica, ispirano i Paesi vicini e costruiscono collettivamente la causa per il riconoscimento globale. Il progresso nazionale non è separato dal progresso internazionale, ma lo rafforza e lo sostiene».
Per Jojo Mehta vanno protetti sia gli ecosistemi sia la salute dei cittadini
Secondo lei, ci può essere giustizia ambientale senza giustizia sociale?
«La giustizia ambientale e quella sociale sono inseparabili. Le comunità più colpite dal collasso ecologico sono spesso anche quelle meno responsabili nel causarlo. Che si tratti di popoli indigeni che perdono terre ancestrali o di comunità costiere che affrontano l’innalzamento dei mari, l’ingiustizia è sistemica. Ecco perché la legge sull’ecocidio è così potente: affronta non solo i danni alla natura, ma anche la sofferenza umana che ne consegue. Non c’è separazione tra la protezione degli ecosistemi e la salute, la dignità e i diritti di coloro che da quegli ecosistemi dipendono».
Visto che anche le accuse per i crimini di guerra possono cadere nel vuoto, l’approvazione del reato di ecocidio potrà davvero portare giustizia?
«La legge sull’ecocidio è un pezzo mancante vitale del puzzle. Quello che stiamo offrendo è un guardrail: un chiaro confine morale e legale per proteggere la Terra. La legge non cambia tutto da un giorno all’altro, ma può ridefinire ciò che è accettabile, ciò che viene finanziato e ciò che è temuto e quindi prevenuto. Le aspettative modellano il comportamento. E solo perché una legge non è perfetta non significa che non sia necessaria. Oggi possiamo fare valutazioni informate su quali tipi di distruzione avrebbero potuto essere evitati se la norma sull’ecocidio fosse già stata in vigore. Questo ci dà un’idea di quanto sarà veramente preziosa».
Jojo Mehta ci ricorda che la Natura siamo noi e dobbiamo proteggerla
Il mondo si sta riarmando e la narrativa prevalente esclude le questioni ecologiche dalle agende politiche. Non dobbiamo preoccuparcene e, anzi, continuare a lavorare ostinatamente?
«Sì, dobbiamo assolutamente continuare, perché fermarci ora significherebbe voltare le spalle non solo alla Natura, ma alla nostra stessa umanità. In un mondo in cui i poli del potere geopolitico si stanno spostando, può sembrare che la protezione ecologica stia scivolando in fondo alla lista delle priorità. Ma la Natura siamo noi. Permettere la sua distruzione significa minare le fondamenta della vita, proprio come fa la guerra. L’approvazione della legge sull’ecocidio può sembrare un obiettivo più alto, ma non è lontano: è già in movimento, viene discusso e sviluppato nelle arene legali, politiche e diplomatiche di tutto il mondo. E ciò che offre, in un panorama globale sempre più fratturato, è qualcosa di raro e vitale: un principio unificante che trascende i confini e le ideologie. Si tratta di tracciare una linea morale e legale che dica che la distruzione di massa del mondo vivente non è accettabile. Questo non è idealismo. Si tratta di un requisito minimo molto concreto per salvaguardare il futuro della società umana, proteggendo gli ecosistemi da cui dipendiamo interamente. Quindi sì, continuiamo. Testardamente, urgentemente, insieme».
Se Polly fosse viva oggi, cosa le chiederebbe?
«Polly ha visto questo percorso prima della maggior parte di noi e gli ha letteralmente dato tutto. Forse vorrei sapere cosa la rendeva così sicura che qualcosa di tanto ambizioso fosse possibile, qualcosa che richiedeva un livello di fede e determinazione superiore a quello che la maggior parte delle persone avrebbe considerato ragionevole. Ma onestamente penso di conoscere già la risposta. Lei amava la Terra. Profondamente, personalmente. E quell’amore le ha dato una sorta di certezza, una convinzione che vive ancora, irraggiando ogni aspetto di questo lavoro».