Vista dal satellite, Zaatari, adagiata su un altopiano del deserto giordano al confine con la Siria, sembra una città. Con i suoi oltre 80.000 abitanti, ha le proporzioni di Catanzaro o di Como, ma il parallelo finisce qui. Zaatari è il campo profughi più grande del Medio Oriente, forse del mondo: è stato creato 12 anni fa, con la prima crisi siriana, e da lì non si esce, a meno di disporre di speciali permessi. D’inverno fa freddo, spesso nevica, e le estati, nelle batterie di container che formano l’immutabile tessuto urbano, sono torride. All’indomani del crollo del regime di Assad e dei conflitti che infiammano la Siria generando nuovi sfollati, a Zaatari vivono 40.000 bambini, nati e cresciuti nel campo: entro i confini di filo spinato, circolano spesso liberi nel dedalo di vie tutte uguali, rischiando di perdersi o farsi del male.

L’alleanza tra Bulgari e Save the Children ha già avuto un impatto positivo su 2,3 milioni di bambini

Laura Burdese, Deputy Ceo di Bulgari

«La cosa che più mi ha colpito è l’onnipresente bianco, dal cielo alla terra brulla, fino alla vernice dei container: i bambini non conoscono i colori» racconta Laura Burdese, Deputy Ceo di Bulgari, la maison romana che da 15 anni è accanto all’ong Save the Children nella missione di garantire ai minori più svantaggiati un’istruzione di qualità – ma anche empowerment ai giovani, risposte alle emergenze e lotta alla povertà – attraverso 139 progetti in 39 Paesi. Uno di questi è proprio a Zaatari. «Quando si impose l’emergenza profughi, ricevetti una telefonata dal nostro Country director in Siria» ricorda Daniela Fatarella, Ceo di STC Italia. «Servivano fondi per avviare il primo asilo: le donazioni disponibili erano vincolate alla fascia dai 6 anni in su, ma il campo era colmo di minori più piccoli e mamme bisognose. Ho composto un unico numero, quello di Bulgari, con cui già collaboravamo: la conversazione è durata 8 secondi, dall’altra parte è arrivato un sì immediato, adesso questo è uno degli snodi cruciali nel percorso educativo all’interno del campo e, in generale, nel quadro dei nostri interventi». Oggi Zaatari ha tre kindergarten coloratissimi, «dove c’è chi si prende cura dei bimbi dai primissimi anni, gettando semi di educazione e speranza» assicura Burdese. Quella tra Laura e Daniela, tra Bulgari e STC, è un’alleanza feconda che ha registrato nel tempo un impatto positivo su oltre 2,3 milioni di bambini.

Bulgari e Save the Children insieme realizzano progetti che garantiscono continuità di intervento

Uno dei progetti in Sud Africa frutto della partnership tra Bulgari e Save the Children (ph. Matthew De Jager)

Tutto è cominciato 15 anni fa…

Daniela Fatarella: «Su impulso di Bulgari che nel 2009, celebrando i 125 anni, voleva imprimere una dimensione sociale al proprio progetto. Si partiva da un obiettivo specifico e un’importante spinta alla raccolta fondi, con celebrities e ambasciatori. Il progetto doveva durare un anno, ma da quell’incontro è nata un’alleanza lunga e trasformativa».

Quanto conta la continuità?

Laura Burdese «Fa la differenza: ci siamo resi conto che, per ottenere un impatto concreto, bisogna poter contare su programmi a lungo termine. Troppi progetti nascono e muoiono nel giro di poco. A noi interessa generare attività che possano dare sicurezza ai bambini, beneficiari diretti, e all’indotto di famiglie, cooperanti, insegnanti. Così produciamo cambiamenti tangibili per oltre 3 milioni di persone nel mondo, tra cui oltre 2 milioni di bambini».

La collezione che finanzia il progetto si è arricchita.

Laura Burdese: «Ispirata all’iconica linea B.zero1, devolve una quota importante dei prezzi di listino alle attività di STC. Siamo partiti dall’idea di realizzare un pezzo in argento, per noi un’eccezione, per proporre prezzi accessibili ai più, creando qualcosa di unico nel mondo Bulgari. Prima è arrivato l’anello, a cui abbiamo aggiunto delle variazioni, e poi altri prodotti, come i pendenti, l’ultimo quest’anno».

Il pilastro della campagna resta l’educazione

Uno dei progetti – al ristorante di Niko Romito a Castel di Sangro – frutto della partnership tra Bulgari e Save the Children Italia (ph. Matteo Carassale)

L’altro impatto importante è sul fronte interno.

Laura Burdese: «Questa missione genera nei nostri impiegati un senso di orgoglio infinito. E i clienti lo sanno, la vicinanza valoriale li fa sentire parte di una comunità: è per questo che abbiamo dato vita alla Fondazione Bulgari, che dà forma a ciò che abbiamo fatto in ambito sociale, di patronage e filantropia».

Quali altri progetti finanzia la campagna?

Laura Burdese: «Nel corso degli anni gli interventi si sono moltiplicati, per far fronte a nuove emergenze e cambiamenti del mondo, ma il pilastro dell’educazione resta, perché è legato a una possibilità di futuro, sicurezza e salute».

Daniela Fatarella: «Siamo attivi anche in Italia, in una serie di aree che definiamo a “bassa densità educativa”: a Ostia, per esempio, abbiamo creato il Punto luce delle arti, con l’idea di donare ai ragazzi la possibilità di sperimentare uno sviluppo cognitivo che passi anche attraverso il meglio dell’arte, del design thinking, della capacità di sviluppare un pensiero laterale. Il centro sorge in un’ex scuola abbandonata per mancanza di iscritti, ristrutturata dagli architetti di Bulgari. Oggi è un catalizzatore di energie con un indotto così importante sulla riqualificazione dell’area che parte dell’edificio è stata riadibita a scuola».

La partnership tra Bulgari e Save the Children mira a fare bene il bene

Uno dei gioielli creati per la celebrazione dei 15 anni di partnership tra Bulgari e Save the Children

Bulgari e Save the children: che cosa avete imparato gli uni dagli altri?

Daniela Fatarella: «Mi piace dire che con Bulgari abbiamo messo a terra una partnership che fa bene il bene, insieme abbiamo messo a punto una pratica progettuale che poi si è tradotta in un modello di lavoro e progettualità condiviso da tutta l’organizzazione internazionale. L’unicità della campagna non è nelle dimensioni, ricordo che ha generato 115 milioni di euro in 15 anni, la vera trasformazione è che siamo entrati gli uni nel Dna degli altri. Per chi fa il mio mestiere è un conforto incalcolabile sapere che di fronte alle grandi sfide non sono sola, rafforza in me il concetto di “orizzonte di impatto”, la possibilità cioè di toccare con mano le trasformazioni per cui ci battiamo».

Laura Burdese: «Con STC siamo stati da poco chiamati a raccontare questa storia ai giovani di Harvard, che un domani saranno alla guida di importanti aziende. Da manager, è stato emozionante consegnare loro un messaggio: è possibile coniugare la profittabilità a lungo termine per la propria azienda, gli stakeholder e gli impiegati con un programma che abbia un impatto positivo sulla comunità. La partnership risuona intimamente anche con i miei valori personali: sono orgogliosa di raccontare questa storia di successo, sperando che diventi un modello per molte altre aziende nel mondo».