La pillola contraccettiva, il test di gravidanza, le app per monitorare il ciclo. Le consideriamo grandi conquiste per l’emancipazione femminile. E lo sono. Ma, se le guardiamo con la lente della scienziata, scopriamo alcune zone d’ombra: innanzitutto, il rischio che il corpo delle donne sia considerato sempre un oggetto su cui esercitare una qualche forma di controllo. È questa la riflessione che fa Laura Tripaldi, 30 anni, ricercatrice, scrittrice e femminista in Gender Tech. Come la tecnologia controlla il corpo delle donne (Editori Laterza).

Laura Tripaldi spiega perché la pillola contraccettiva può essere una forma di controllo

«Quando ho cominciato a interessarmi alla scienza, da un punto di vista più ampio di quello “tecnico”, mi sono interrogata su quali siano le sue implicazioni sociali. Perché la scienza non esiste separata dal resto della società, è continuamente in dialogo col mondo in cui è immersa e con l’ambiente culturale in cui si sviluppa» spiega. «Così mi sono chiesta: cosa succede se lo sguardo della scienza si rivolge non solo ad atomi e molecole, ma anche ai nostri corpi?».

Quindi la tecnologia controlla il nostro corpo?

«Molto spesso tendiamo a considerare la tecnologia applicata al genere come un fattore di pura emancipazione: la natura del corpo ci pone dei limiti, la tecnologia ci aiuta a superarli. È vero che ha questa capacità, e la pillola è l’esempio più eclatante: è stata, ed è tuttora, un mezzo di emancipazione per tantissime donne. Ma allo stesso tempo questa, come altre tecnologie, ha dei lati nascosti: sia per quanto riguarda la sua storia, ovvero come è stata sviluppata, a volte in una zona grigia rispetto all’etica della sperimentazione, sia per quanto riguarda il suo funzionamento, perché molto spesso queste tecnologie non rispondono veramente a logiche di emancipazione ma diventano degli elementi di sorveglianza e di controllo. La pillola ha effetti collaterali che la rendono inadeguata per molte donne, però allo stesso tempo c’è una mancanza di vere alternative».

In che senso la pillola è una forma di controllo?

«Associata all’uso della pillola contraccettiva si usa spesso, soprattutto in anni recenti, l’espressione “regolarizzare” il corpo: indica l’eliminazione degli effetti fastidiosi di un ciclo naturale – con le sue possibili oscillazioni, il gonfiore, il dolore – così da permetterci di essere sempre performanti e produttive. Se è vero che la pillola ci consente di avere il controllo sulla nostra fertilità e di evitare gravidanze indesiderate, è vero anche che finisce per “oscurare” il fatto che l’aborto è un diritto. Anche se rimani incinta per errore».

Secondo Laura Tripaldi la tecnologia ha spesso oggettificato il corpo delle donne

La cosiddetta femtech, la tecnologia per le donne pensata e realizzata dalle donne, può essere una risposta?

«Negli ultimi anni sono nate tante tecnologie diverse da quelle del passato: ci danno l’impressione di non essere invasive e questo ci predispone a una grande apertura. In particolare, sono state sviluppate molte applicazioni di “period tracking”, la tracciabilità del ciclo mestruale: alcune, approvate anche come anticoncezionali, offrono un’alternativa alla pillola e ai suoi effetti collaterali. Sono tecnologie promosse con una retorica di empowerment, e tante imprenditrici lavorano in questo settore, però quello che non ci viene detto è che spesso queste app raccolgono i nostri dati e l’uso che ne viene fatto non sempre è trasparente».

Oltre alla pillola anticoncezionale, c’è la terapia ormonale sostitutiva per le donne in menopausa.

«Non ne parlo nel mio libro, ma è ovvio che gli ormoni sintetici hanno aperto le porte alla capacità della scienza di trasformare e intervenire sul corpo in modo profondo in vari momenti e in vari contesti: c’è la menopausa, ci sono le terapie ormonali per le persone transgender… Il mio intento non è demonizzare queste tecnologie né celebrarle, ma investigare quale sia la loro storia e cercare di capire in che modo ci permettono di comprendere il rapporto tra il nostro corpo e la scienza. La mia impressione è che sia sproporzionato, e che spesso il corpo delle donne sia oggettificato, infinitamente manipolato e modificato. Credo sia importante la conoscenza di queste tecnologie per avere piena consapevolezza delle trasformazioni che hanno portato. Tornando alla menopausa, non l’ho ancora affrontata perché sono partita dalla mia esperienza diretta con la pillola, però è un tema che viene fuori spesso quando parlo della ricerca che ho fatto».

In che termini?

«Il nostro corpo viene spesso considerato e gestito in termini di riproduzione e non di benessere. Quando una donna smette di essere fertile c’è una minore attenzione da parte della scienza e della tecnologia nei confronti delle sue esigenze».

La scienza ha studiato in modo diverso il corpo delle donne e quello degli uomini

Il corpo dell’uomo non è mai stato oggettificato?

«Sicuramente c’è una diversità nel modo in cui la scienza si rapporta ai corpi delle donne e degli uomini: dipende dal fatto che il sapere scientifico è stato dominato dallo sguardo maschile nel corso di tutta la sua storia. Nella mia ricerca parto dall’800, perché quello è il momento in cui la differenza sessuale comincia a diventare oggetto di studio scientifico. Assistiamo alla nascita delle cure per l’isteria, che oggi sappiamo essere una malattia inventata, il pretesto per sorvegliare le donne: ogni comportamento non accettabile dal punto di vista sociale veniva automaticamente tacciato di isteria. Il mio libro parla del corpo delle donne ma può essere un punto di partenza per una riflessione più ampia, perché tanti altri corpi sono stati oggetto di questo tipo di trattamento: la scienza è stata strumentalizzata per portare avanti principi razzisti, eugenetici. Non solo quelli delle donne, nella storia sono tanti i corpi oppressi».

Le cose stanno cambiando?

«Oggi ci sono una maggiore sensibilità e una maggiore partecipazione delle donne alla scienza a vari livelli, il che segnala la possibilità di un cambiamento positivo. E la scienza stessa sta cominciando a superare alcuni schemi, come la differenza sessuale. Vorrei che le tecnologie, soprattutto quelle digitali diffuse nella nostra quotidianità, potessero diventare più accessibili a tutti e a tutte: sapere come funzionano ci permette di essere non solo oggetti passivi, ma anche soggetti».