«Vinceremo la sfida per la parità di genere quando sarà del tutto trascurabile sottolineare il fatto che una donna raggiunga ruoli di vertice». Marina Marzia Brambilla risponde con sorridente determinazione quando le chiedo cosa significhi essere la prima Rettrice dell’Università degli Studi di Milano. E questo dice già molto di lei. Della sua visione centrata su meritocrazia e inclusione. Del suo metodo basato sul lavoro di squadra. Milanese, 51 anni, professoressa ordinaria di Linguistica tedesca e già Prorettrice delegata alla Programmazione e all’organizzazione dei servizi per gli studenti, si è insediata il 1° ottobre 2024 alla guida della Statale, dopo aver vinto le elezioni di aprile con il 65% dei voti.
Intervista a Marina Marzia Brambilla
Appena eletta ha dichiarato emozionata: «Ci sono voluti 100 anni, ma ce l’abbiamo fatta». Dedicando «questo traguardo alle studentesse, ricercatrici e professoresse che hanno aperto la strada».
«L’ho fatto perché ho avuto il privilegio di incontrare donne straordinarie che hanno sfidato le convenzioni, anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni e senza clamore, rendendo possibile la mia presenza qui oggi. Alcuni modelli li ho trovati anche nella letteratura tedesca, a cui ho dedicato anni di studio. Penso a Effi Briest, protagonista dell’omonimo romanzo di Theodor Fontane, che affronta le rigide convenzioni sociali del XIX secolo. O all’Antigone di Bertolt Brecht, che sfida il potere e la legge per seguire le sue convinzioni personali. Ma mi piace interpretare questo traguardo, che certo segna una discontinuità “storica”, come un messaggio universale, diretto non solo alle donne: che tutti, senza distinzioni, possano trovare “asilo” nella Statale che si appresta a iniziare il suo secondo secolo di vita. Come sa chi mi ha accompagnato in campagna elettorale, fino all’ultimo giorno ho preferito parlare dei miei progetti più che dell’idea di una donna come rettrice. Quando abbiamo vinto, tutte e tutti insieme, non ho resistito e ho festeggiato. Celebrando questa vittoria così cruciale, ma più ancora il lavoro di squadra e le tante battaglie che in questi anni le colleghe e le studentesse hanno condotto».
Cinque atenei milanesi hanno oggi una rettrice: oltre a lei, Donatella Sciuto al Politecnico, Giovanna Iannantuoni alla Bicocca, Elena Beccalli alla Cattolica, Valentina Garavaglia allo Iulm. È un passo avanti verso la parità di genere in ruoli apicali, no?
«Mi limito a sottolineare quanto le anticipavo: è più importante rimarcare il fatto che il riconoscimento delle capacità personali possa sempre restare il comune denominatore della nostra società e che le differenze, di qualunque tipo, siano un valore aggiunto per la realizzazione di un progetto, di una idea, di una visione. Il fatto che più donne occupino ruoli apicali dimostra che il merito può finalmente emergere, a prescindere dal genere. C’è però ancora tanto da fare: il momento in cui tutte le sfide saranno vinte sarà quello in cui questa domanda non avrà più ragione di essere posta».
Il soffitto di cristallo esiste ancora
In un’Italia che è scivolata quest’anno all’86° posto su 146 nel Global Gender Gap Report, le donne non sono messe in condizione di poter esprimere il proprio valore.
«È vero, ci sono ancora molte barriere invisibili che impediscono alle donne di raggiungere i loro obiettivi. Secondo l’indicatore dell’Agenda 2030 dell’Onu che misura la percentuale femminile in posizioni manageriali senior e medie, in Italia è ferma al 23% contro il 77% di quella maschile: la più bassa di 35 Paesi europei. Dobbiamo lavorare per creare ambienti dove la competenza sia valutata senza condizionamenti e dove tutte le persone possano esprimere appieno il proprio potenziale».
A lei è mai capitato di essere “l’unica donna nella stanza”? E, per questo, di essere sminuita?
«Sì, mi è capitato. Ho cercato di affrontare la situazione con fermezza e professionalità, dimostrando il mio valore attraverso i contenuti e i risultati. Credo che con la consapevolezza e il supporto reciproco possiamo trasformare questa dinamica».
Il famigerato soffitto di cristallo non è dunque solo una metafora.
«Esiste ancora, e i dati lo confermano: per esempio, il fatto che solo il 16% dei Rettori italiani sia donna. La metafora è potente perché rappresenta una barriera che non si vede ma che è incredibilmente difficile da superare. Rompere questo soffitto richiede un cambiamento strutturale e culturale, che coinvolga anche gli uomini nel riconoscere e rimuovere gli ostacoli che limitano il percorso femminile. Anche il mondo accademico soffre di una innegabile disparità di genere, soprattutto nell’avanzamento delle carriere. E, proprio perché siamo responsabili della formazione delle future generazioni, questo gap è ancora più grave. L’innovazione nella dinamica sociale non è meno nevralgica, per lo sviluppo del Paese, di quella tecnologica. A questo riguardo, le università hanno responsabilità irrinunciabili. Se fino a poco tempo fa una donna a capo di un ateneo era un’eccezione, il mio obiettivo è normalizzare la presenza femminile nei ruoli di leadership, fino a che non sarà più percepita come qualcosa di straordinario, ma come un segno di un sistema equo e meritocratico».
La leadership femminile secondo Marina Marzia Brambilla
La leadership femminile ha delle specificità?
«Può averne, per esempio una maggiore attenzione alla collaborazione, all’ascolto e all’empatia, ma questo non significa che le donne siano migliori o peggiori degli uomini. E, francamente, anche le donne sono molto diverse nel loro modo di essere e di interpretare il proprio ruolo professionale. Io credo che la leadership debba essere flessibile, adattarsi alle esigenze del contesto. Io mi ispiro a un approccio inclusivo e collaborativo, dove si valorizzano le diversità e si incoraggiano le persone a dare il meglio».
Quanto conta fare rete?
«Lavorare in rete con le altre Rettrici è fondamentale per condividere esperienze e creare sinergie che possano favorire il cambiamento. La disparità di genere ha radici culturali profonde. Dobbiamo essere di esempio. Dobbiamo impegnarci con un’azione capillare di sensibilizzazione delle giovani generazioni, agendo anche su fenomeni drammatici come la violenza di genere».
Rimuovere gli ostacoli per le studentesse
A proposito di giovani. Le donne si laureano di più e con voti più alti, ma poi lavorano meno e fanno meno carriera degli uomini.
«Rilanciare la leadership femminile significa, a mio parere, anche operare concretamente per rimuovere ostacoli di varia natura che rendono inesigibile il diritto delle donne a sviluppare liberamente i propri talenti. La carriera delle laureate frena inesorabilmente in corrispondenza della fase della maternità. È questo l’incrocio tra vita personale e lavorativa su cui lavorare a livello di sistema, sia con azioni culturali di sensibilizzazione sia con provvedimenti concreti e finanziati».
Va in questa direzione il congedo parentale universitario, istituito dalla Statale all’inizio del 2024, grazie al quale le studentesse (e gli studenti) possono seguire le lezioni da remoto nei 2 mesi precedenti e nei 6 successivi alla nascita di un figlio?
«Sì, è un passo fondamentale per favorire l’inclusione e sostenere le studentesse che decidono di diventare madri durante il loro percorso accademico. Una misura che riconosce il diritto di conciliare lo studio con la vita familiare e permette alle giovani donne di non dover scegliere tra la maternità e il futuro professionale. Spero che possa essere un esempio per altre istituzioni».
Anche per lei è stato difficile trovare un equilibrio tra la vita professionale e quella personale?
«Il work-life balance è sempre una sfida, specialmente in ruoli di responsabilità. E anche per me non è sempre stato facile raggiungerlo. Credo che sia fondamentale parlare apertamente di questo tema, perché molte donne rinunciano a certe opportunità per paura di non riuscire a bilanciare le diverse sfere della loro vita. In particolare il momento della maternità può mettere in difficoltà. Occorre agire per rendere paritari i congedi parentali per madri e padri e per curare la conciliazione. Sarebbe bello non dovere nemmeno più parlare di rientro al lavoro e sapere che tutte le fasi della nostra vita si possono conciliare con la professione».
Bisogna sbloccare l’ascensore sociale
Uno dei suoi obiettivi, nei prossimi 6 anni da Rettrice, è «contribuire, attraverso l’economia della conoscenza, a sbloccare l’ascensore sociale». Vale ancora di più per le donne?
«Sì, per le donne l’ascensore sociale è spesso ancora più bloccato. L’accesso all’istruzione e la possibilità di costruirsi una carriera sono strumenti potenti per superare le barriere socio-economiche. Tuttavia per le donne queste barriere sono spesso doppie, perché devono anche superare ostacoli legati al genere. L’università può essere un motore di cambiamento, offrendo opportunità concrete per tutti indipendentemente dal background o dal genere».
In che modo? Il numero di laureati in Italia è inferiore ad altri Paesi europei, ma comunque troppo alto per essere assorbito dal mercato del lavoro.
«L’università ha un ruolo cruciale nel preparare i giovani al mondo del lavoro, ma anche – come dicevo – nel promuovere una cultura dell’equità. Bisogna lavorare per ridurre il gap tra il numero di laureati e le opportunità lavorative, promuovendo l’orientamento professionale e collaborando con le imprese. Inoltre, è necessario sensibilizzare le aziende sull’importanza della parità di genere e sostenere politiche che favoriscano l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, riducendo le disuguaglianze salariali. Le donne hanno la forza di confrontarsi alla pari con chiunque, ma la vera forza viene dalle opportunità di studio e formazione. Ora dobbiamo essere leader. E leader è anche chi tira la volata, chi sa guardare a chi sta dietro. E guardare a chi sta dietro significa rimuovere ostacoli, come ci chiede l’articolo 3 della Costituzione, uno dei più significativi».