Mi sento a casa. Un po’ perché sono nella mia amata Franciacorta, un po’ perché Matteo mi accoglie nella sua azienda agricola con entusiasmo contagioso. Non sono passati che pochi minuti da quando le mie (inadatte) sneakers bianche sono entrate nell’orto, ma il padrone di casa non perde tempo nel suo “home tour” a cielo aperto. Lo seguo goffa, con un occhio sugli appunti e l’altro sul terreno, mentre si muove emozionato da una parcella all’altra, come chi presenta orgoglioso il risultato della propria fatica. E lo fa senza mai smettere di raccontare e raccontarsi. «Tutto è iniziato 11 anni fa, con un’idea alquanto folle…»

Il nonno di Matteo gli diceva che era matto a fare il contadino

Ma te sét mat: ma tu sei matto, in dialetto bresciano. È così che ha reagito il nonno di Matteo Fiocco quando il nipote gli ha detto che avrebbe acquistato un piccolo podere abbandonato in quel di Cellatica per fare il contadino. Un’esclamazione destinata a trasformarsi nel nome – Matt The Farmer – con cui dal 2013 Matteo porta su YouTube la sua passione per l’agricoltura, oggi condivisa con una community di quasi mezzo milione di “farmers”: professionisti e appassionati dai 10 ai 90 anni, con cui Matt scambia quotidianamente consigli, nuove tecniche e relativi esiti. «Ho iniziato raccontando, da novellino, la mia esperienza nei campi» mi spiega. «Era un modo per tenere traccia di ciò che facevo, sbagliavo e scoprivo. Il mio non ha mai voluto essere un insegnamento, piuttosto un diario di bordo».

Un’azienda agricola… allo Stato Brado!

Classe ’88 e una laurea in Scienze religiose (ecco perché coniuga perfettamente teologia, antropologia e sociologia allo studio agrario), Matteo ha insegnato per 10 anni alle scuole superiori – «più che far lezione, preferivo “litigare” con i ragazzi» – e da 2 si occupa interamente della sua azienda agricola Stato Brado, in Franciacorta.

Anche questo nome lo devo a mio nonno, che dice di avermi cresciuto “allo stato brado”. Un po’ selvatico, ma nel senso positivo di “libero”

Oggi la fattoria innovativa e sostenibile di Matteo, con i suoi 3 ettari di terra e mezzo di vigneto, coltiva e vende ortaggi freschissimi e produce vino rosso e bollicine. Sfama circa 80 famiglie e rifornisce alcuni chef della zona, tra cui lo stellato Stefano Cerveni. «Ma, ancor prima di loro, dà da mangiare ai miei due figli» tiene a specificare mentre mi fa strada verso la serra. «Sono loro il primo vero motivo per cui coltivo in questo modo».

L’agricoltura di Matt The Farmer promuove la biodiversità

Matt the farmer
Matt The Farmer al lavoro. Foto: Maggio Diadora – Eco Agency

Il suo modo è l’agricoltura rigenerativa, un approccio che mira a migliorare la salute del suolo e promuovere la biodiversità. «Per me agricoltura non è produzione di cibo, ma gestione e cura di un territorio. E non si tratta solo di ridurre l’impatto ambientale. Qui andiamo oltre: cerchiamo di rigenerare le risorse naturali e creare, con metodologie innovative e continue sperimentazioni, un ecosistema agricolo resiliente agli shock climatici». Per esempio, riducendo l’intervento meccanico. «Non usiamo trattori, perché compattano troppo il terreno. Certo, significa più lavoro manuale e più tecnica, ma anche un terreno più morbido. Guarda» dice allungandomi una zolla. «Tutti questi lombrichi sono segno di una terra in salute». Di esempi di agricoltura rigenerativa qui ce ne sono molti altri: il cippato non viene bruciato ma biotriturato, non si usano prodotti chimici, si sfrutta il letame dei maneggi vicini, si fanno ruotare sia le colture sia i pascoli. E si garantisce agli animali il maggior benessere possibile.

Matt The Farmer, un po’ contadino digitale e un po’ filosofo

No, non è un manuale di orticoltura. Mi chiamo Matteo e faccio il contadino (Cairo) è il racconto dell’amore di Matt the Farmer per la terra, sua e di tutti noi.

«Dobbiamo conquistare una nuova antropologia. Sembra scontato ricordarlo, ma l’uomo non è al centro dell’universo» continua Matteo, mentre apre il recinto. «In natura ci sentiamo bene perché riscopriamo noi stessi solo in ciò che ci contiene». Le sue parole si mescolano al belare sempre più intenso delle pecore ouessant, ora a pochi metri da noi. «Osserva il gregge, è il più grande esempio naturale di democrazia. Le pecore riconoscono la voce del proprio pastore: questa è intelligenza di gruppo, unire gli intenti, sapere quale voce ascoltare». Il suo sogno è che un’università studi e codifichi il suo metodo per creare un modello replicabile, convinto che il cambiamento si trovi laddove ci sia un contagio di coscienze. «Fino a non molto tempo fa si fumava nei ristoranti, oggi è un comportamento che infastidisce. Ecco, si tratta di creare una cultura di consapevolezza tale per cui la custodia dell’ambiente sia data a tutti». Dal passato, citando presocratici e benedettini, verso il futuro. «Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per ricodificare l’uomo nelle sue esigenze, riprogettare il territorio ed esserne i nuovi custodi» conclude Matteo, guardando un ragazzo nel campo. È Samuele, cresciuto con i suoi video, poi diplomato all’Istituto agrario e ora assunto in azienda.

Un cartello che recita “Orto dello chef” ci ricorda che siamo tornati al punto di partenza. Oggi ho scoperto che dentro il primo contadino digitale sbarcato su YouTube in Italia c’è un’anima da filosofo. Perché, come più volte ricordato da Matteo nella nostra lezione peripatetica tra pomodori, capre e letame, «coltura è cultura. È con lei, e con i gesti d’amore, che si cambia il mondo».